Ventisei milioni di italiani sono tifosi o appassionati di una squadra. Quasi metà della popolazione. Ma cosa vuol dire essere tifoso? Per molti è una cosa light. Non vanno allo stadio, guardano le partite in tv, fanno qualche chiacchiera al bar o a scuola. E basta.

Ma per molti altri non è così. L’essere tifoso è una passione e una maledizione al tempo stesso. Una condanna a vita. Non si può cambiare squadra, una volta che hai deciso per chi tifare (una scelta spesso fatta da giovane, abbastanza a caso). E per molti diventa un’ossessione, parte della propria identità, un elemento dominante nelle discussioni.

Perché essere tifoso ha anche a che fare, soprattutto in Italia, con la politica, la società, la cultura, la magistratura e le leggi. Con tutto, sempre, dalla mattina alla sera, sette giorni la settimana. Essere tifoso di una squadra di solito vuol dire odiare altre squadre, gufare, tifare contro.

In alcune città questi odii reciproci sono strutturali: Roma e Lazio, Milan e Inter, Juve e Torino. Quando perde il rivale, si fa festa. Il derby diventa la partita più importante della stagione. Perdere un derby è un disastro, vincere un trionfo.

Non si dimentica niente: un insulto, un festeggiamento, un gol mancato, un gol segnato, un rigore non dato. E il mondo è visto attraverso le “lenti del tifoso”. La verità è legata alla fede per una squadra.

C’è una memoria divisa anche nel calcio. È un mondo di dietrologia, complotti, colpi bassi, arbitri comprati, “sudditanza psicologica”. E quindi Calciopoli (per gli interisti) diventa Farsopoli (per gli juventini), 27 scudetti diventano 29. Sono discussioni infinite, questioni che non si chiudono mai.

Ancora oggi si discute sullo scudetto dato al Torino e tolto per corruzione nel 1927, o la finale di stagione del 1924-1925, quando il Bologna strappò lo scudetto al Genoa. Figurarsi per Calciopoli/Farsopoli, con i processi (incredibilmente) ancora in corso.

Basta guardare qualsiasi discussione tra interisti e juventini su internet. Non sono discussioni, sono scambi di insulti. Nessuno cambia idea, mai.

In questa situazione, come si può scrivere una storia del calcio?

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it