Ci sono i fatti, e c’è il rumore intorno ai fatti. I fatti sono questi.

Un noto imprenditore italiano ha ideato, verso la fine degli anni ottanta, “una scientifica e sistematica evasione fiscale di portata eccezionale”, “un complesso meccanismo fraudolento ramificato in infiniti paradisi fiscali”, grazie a cui è riuscito a mettersi da parte, per anni, anche quando è entrato in politica, anche quando è diventato primo ministro, “un’immensa disponibilità economica all’estero, ai danni non solo dello stato ma anche di Mediaset e, in termini di concorrenza sleale, delle altre società del settore”. Questo verdetto di primo grado è stato confermato in ben due gradi di appello, in un sistema giuridico tripartito che, ricordiamolo, offre garanzie e tutele all’imputato come in pochi altri paesi al mondo.

Forse è utile ricordare come funzionava questa frode. Perché se i fatti sono importanti, lo sono anche i dettagli dei fatti. Funzionava così. L’imprenditore in questione, Silvio Berlusconi, era a capo di una società che, tra le sue altre attività, possedeva tre canali televisivi di copertura nazionale. Per riempire i palinsesti di questi tre canali e per aumentare l’audience, servivano anche dei film stranieri, soprattutto statunitensi. I diritti televisivi dei film vengono comprati, a prezzi trattabili, come ogni altra merce.

Di solito, si cerca di comprare una merce al prezzo più basso possibile. Però può anche essere nell’interesse di un imprenditore dichiarare un prezzo di acquisto alto perché gli acquisti figurano come perdite, e le perdite diminuiscono l’ammontare delle tasse da pagare a fine anno. Sarebbe bello, si sarà detto l’imprenditore, se potessi pagare poco ma dichiarare tanto, se potessi avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Detto fatto. Vale la pena riportare per intero la parte della sentenza della corte di appello che riassume il meccanismo della frode, perché sono frasi di elegante lucidità:

“I diritti di trasmissione televisiva, provenienti dai produttori, venivano acquistati da società del comparto estero e riservato di Fininvest, venivano sottoposti a una serie di passaggi infra gruppo, o con società solo apparentemente terze, giungevano poi a una società maltese che, infine, li cedeva alle società emittenti. I passaggi erano funzionali solo a una artificiosa lievitazione di prezzi”.

Ribadisco: non è una tesi, sono cose realmente accadute. Dunque, per riassumere: un imprenditore italiano, trasformatosi in uomo politico, ha defraudato il fisco italiano, nel corso di circa 15 anni, di una cifra stimata in 368 milioni di dollari. Ha continuato la frode perfino quando era il primo ministro del paese che stava rendendo più povero.

Questi sono i fatti. Il resto è solo rumore.

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