Il presidente della Figc Carlo Tavecchio a Roma, l’11 agosto 2014. (Alessandro Bianchi, Reuters/Contrasto)

Il caso Tavecchio ha letteralmente dell’incredibile. Si stenta a credere che alla fine di luglio un candidato alla massima carica del calcio italiano, la presidenza della Federazione italiana giuoco calcio (Figc), abbia potuto dire a proposito della facilità con cui, a suo avviso, si arruolano i giocatori extracomunitari in Italia: “L’Inghilterra individua i soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare – noi, invece, diciamo che ‘Optì Pobà’ è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio”.

Le parole di Tavecchio sono razziste, e non c’è altro modo di interpretarle. Parlare di una “gaffe”, come hanno fatto molti mezzi d’informazione, significa sminuirne la gravità. Inventare un nome finto africano come Optì Pobà, per poi definire questo giocatore fittizio un mangiatore di banane, non è una gaffe. La gaffe è un errore imbarazzante commesso da chi non è sufficientemente informato sui fatti. Non rivolgersi a una principessa nel modo previsto dall’etichetta è una gaffe. Darle della troia è un insulto.

Tavecchio si è giustificato dicendo: “Se qualcuno ha interpretato il mio intervento come offensivo, me ne scuso. Tra l’altro la mia vita è improntata all’impegno sociale, al rispetto delle persone, tutte, e al volontariato, in particolare in Africa”.

Prendiamo pure per buone le scuse e l’impegno di Tavecchio nel volontariato. Concediamogli anche l’attenuante che, come hanno ripetuto in molti, “è una brava persona” con il solo punto debole di non saper comunicare (volendo essere pignoli: ma saper comunicare non rientra tra i requisiti principali dell’uomo che deve rappresentare il calcio italiano nel mondo?).

La frase “infelice” del candidato alla dirigenza delle Figc nasce da un paragone tra l’Inghilterra e l’Italia. “Mi riferivo al calcio inglese che sugli extracomunitari ha regole precise”, ha precisato dopo, come se questo bastasse per spiegare le banane.

Ma se vogliamo veramente fare un paragone tra l’Italia e l’Inghilterra (e chi mi legge abitualmente saprà che sono tra i primi a criticare il mio paese d’origine quando lo merita), prendiamo un episodio accaduto dieci anni fa. Il 21 aprile 2004, pensando di aver spento il microfono al termine della telecronaca di una partita di Champions league, l’ex allenatore di Manchester United e Atletico Madrid Ron Atkinson disse del difensore del Monaco Marcel Desailly: “È quello che qualcuno potrebbe definire un fottuto negro pigro e stupido”.

Lo stesso giorno Atkinson non solo si è scusato ma, sapendo che in un caso del genere le scuse non cancellano il torto, ha dato le dimissioni da commentatore sportivo del canale Itv. Anche la sua rubrica sul Guardian è stata cancellata “di comune accordo”. Da allora Atkinson non ha più lavorato in televisione, a parte un paio di tristi reality show e qualche commento sui mondiali del 2006 e la serie A italiana per piccole emittenti digitali o via cavo.

Atkinson era solo un commentatore televisivo. Tavecchio era l’aspirante presidente di una federazione nazionale. Atkinson pensava che il microfono fosse spento. Tavecchio sapeva che era acceso e che non stava parlando a un’assemblea della Lega dilettanti, ma ai mezzi d’informazione che seguivano la sua candidatura e quindi agli italiani e al mondo. Si potrebbe obiettare che il commento di Atkinson era più offensivo di quello di Tavecchio, ma misurare il razzismo su una scala da 1 a 10 significa aggiungere al danno la beffa.

Che ha fatto Tavecchio dopo la sua gaffe? Non solo non ha ritirato la sua candidatura, ma si è impuntato e si spacciato come martire, dichiarando che “l’assassino di John Kennedy non ha subìto quello che ho subìto io in questi giorni”.

A questo punto la Fgci sarebbe dovuta intervenire. Ma il successore di Giancarlo Abete era stato designato da tempo dal sistema calcistico italiano, e rimettere mano a tutte le alleanze, soprattutto in piena estate, sarebbe stata una grande seccatura.

Così si è fatto finta che Tavecchio non avesse mai pronunciato quella frase. Se proprio erano costretti a parlare della vicenda, i vertici del calcio italiano l’hanno fatto contrattaccando, denunciando l’eccesso di

politically correct (concetto che è finito pure sulla pagina di Tavecchio su Wikipedia), oppure, come Marco Tardelli, si sono dati a un altro sport molto popolare in Italia, buttandola sul complotto: “Contro Tavecchio c’è una corazzata mediatica allucinante. È sotto attacco, ma il problema non sono le banane o qualche frase uscita male”.

L’11 agosto, come da copione, Tavecchio è stato regolarmente eletto presidente della Figc con il 63,63 per cento dei voti. Quindici giorni dopo il procuratore federale, la figura che deve risolvere i contenziosi riguardanti il calcio italiano, ha stabilito che “non sono emersi elementi disciplinari a carico di Tavecchio sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo”.

La Uefa la pensa diversamente. Forse per un eccesso di politically correct o più probabilmente per via di un complotto, ha deciso che la frase di Tavecchio è razzista. Il 7 ottobre è arrivata una sentenza attesa, che copre l’Italia di ridicolo davanti a tutto il mondo: Tavecchio è sospeso per sei mesi dai lavori della federazione europea e non potrà partecipare al congresso della Uefa nel marzo del 2015.

Quando penso a questa vicenda mi arrabbio perché per l’ennesima volta in Italia non sono state applicate regole di comportamento che dovrebbero essere chiare, inappellabili e matematiche.

Ammettiamo che Tavecchio non sia razzista, ma che sia stato posseduto per un attimo dal razzismo, come la ragazza del film L’esorcista. Ammettiamo pure che Ron Atkinson non sia razzista, e anche lui sia stato vittima di momentanea possessione demoniaca a microfono spento. Resta il fatto che tutti e due hanno pronunciato delle frasi razziste. Uno, a distanza di dieci anni, ha un ruolo del tutto marginale nel mondo del calcio. L’altro è ancora, incredibilmente, presidente della Figc. E c’è addirittura chi ha accolto la sua decisione di non fare appello alla sentenza Uefa come “grande gesto di responsabilità”.

L’unico grande gesto di responsabilità da parte di Tavecchio sarebbe dare le dimissioni. Ma non lo farà. Ancora una volta il messaggio mandato agli italiani è: “Il razzismo sarebbe meglio evitarlo, ma non è poi così grave. È normale che ogni tanto capitino queste gaffe innocue, fanno parte della nostra natura e della nostra cultura. Che ci possiamo fare?”.

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