In fine dei conti proviamo una certa tristezza. Anche se non ci eravamo particolarmente illusi sulle possibilità del Movimento 5 stelle (M5s) di cambiare l’Italia, non ci dispiaceva che portassero un po’ d’aria fresca nell’atmosfera diventata un troppo stantia della politica: 163 parlamentari, otto milioni e mezzo di voti a febbraio, tutto ciò valeva qualche speranza e un po’ di ottimismo, anche se forzato. Beppe Grillo ci aveva (spesso) irritato, ci aveva fatto arrabbiare, ci aveva (qualche volta) sedotto e raramente ci aveva lasciato indifferenti.

Ma questa volta ha superato il segno. Dopo la brutta prova dell’M5s al primo turno delle elezioni comunali del 26 e 27 maggio (anche se in un contesto di profondo astensionismo che ha coinvolto tutti i partiti), Grillo non sa più contro chi indirizzare la propria rabbia. Gli elettori? I suoi deputati? Tutti si prendono la loro dose di critiche, tranne lui.

I primi sono accusati di aver votato con i piedi (o con la pancia); i secondi di volerlo tradire preparando degli accordi con il Partito democratico (Pd). “Che vadano via!” tuona Grillo. Il suo blog è diventato il barometro del suo umore. E in questi giorni la lancetta indica “tempesta e venti violenti”. Lo stesso Stefano Rodotà, il rispettato professore di diritto costituzionale che voleva portare alla presidenza della repubblica è stato accusato di essere “un ottantenne miracolato dal web”. La sua colpa? Aver spiegato che i parlamentari del movimento devono avere il loro libero arbitrio.

Tre mesi dopo il loro trionfale ingresso al parlamento, i deputati e senatori dell’M5S sono un esercito allo sbando. Mal preparati, sorpresi dal loro stesso successo, inesperti, litigano su tutto e niente: il rimborso spese, la linea politica, i rapporti con i media. Ore di discussioni sterili ed estenuanti che da tempo hanno rinunciato a trasmettere in diretta streaming. Non ci si rende neanche conto che alcuni deputati lavorano e talvolta anche piuttosto bene.

Con i nervi a fior di pelle, stremati, i presidenti dei due gruppi si apprestano a farsi da parte, come prevede la regola dopo un periodo di tre mesi. In una mail inviata mercoledì 29 maggio alle sue truppe, Roberta Lombardi, il portavoce dei deputati, se la prende con lo “stronzo” che ha tradito la confidenzialità della loro corrispondenza interna: “sei una merda, chiunque tu sia!” Abbiamo conosciuto degli addii più commoventi. Qualche ora dopo la mail sarebbe finita sulla stampa.

L’M5S è già sul punto di esplodere, lacerato fra gli zelanti sostenitori di Grillo e chi vuole emanciparsi da loro collerico guru. Che siano bastati cento giorni per arrivare a questo punta fa pensare. Ma di chi è la colpa? Dei partiti tradizionali che si sono messi d’accordo per espellere questo “corpo estraneo” creando un governo di coalizione che può fare a meno del voto dei grillini? Dello stesso Grillo che ha rifiutato le mani tese? Dei media, che si interessano più alle loro divisioni che alle loro proposte, come sostengono Grillo e i suoi fedeli?

La settimana scorsa Nicola Biondo, coordinatore alla comunicazione dell’M5S alla Camera, ci diceva: “Se nessuno parla della nostra attività legislativa è perché la stampa, finanziata in gran parte dallo Stato, non si interessa veramente a questo argomento. Ci presenta come degli idioti impreparati. I giornalisti preferiscono andare a prendere il caffè con un deputato piuttosto che analizzare e giudicare le nostre proposte”.

A dire il vero in tutti paesi (Francia compresa), la stampa si interessa più ai treni che arrivano in ritardo che a quelli che arrivano puntali. Una piccola frase cattiva fa molto più rumore che un lungo e tecnico dossier. È la regola del gioco, e siamo messi abbastanza bene per saperlo. Ma un giornalista non è mai riuscito a far implodere un movimento politico mettendo allo scoperto le sue tensioni interne. Lo sapremmo.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it