In queste settimane in Germania sta avendo attenzione sulla stampa l’agile libro di uno dei maggiori linguisti europei, Jürgen Trabant: Globalesisch, oder was? (Il global english oppure che altro?).
L’attenzione è dovuta certo alla qualità del libro, ma anche alla sistematica attenzione con cui la stampa tedesca e i politici – dal presidente Joachim Gauck ad Angela Merkel – seguono le questioni del multilinguismo, dagli asili nido all’intera vita sociale. La questione della lingua si pone oggi in Europa come una questione politica, anzitutto di politica democratica, e non solo come questione istituzionale di rapporti ufficiali tra gli stati per la vita formale delle istituzioni dell’Unione. Ma è anche una questione di cultura e di scuola.
Stati dispotici come i grandi imperi del passato non ebbero difficoltà ad ammettere e perfino a favorire che i popoli soggetti parlassero ciascuno una lingua diversa. È però difficile costruire una grande comunità politica democratica se i cittadini non dispongono di una stessa lingua per elaborare scelte e decidere loro, non i loro delegati e governi. Se vogliamo che l’Europa a 28 si trasformi in uno stato federale non è più eludibile la questione della lingua come questione politica di democrazia.
Trabant critica l’idea che un inglese di servizio, senza radici nella cultura, risolva da solo il problema. Il
Globalesisch è accettabile solo se lo faremo convivere con la ricchezza intellettuale della molteplicità di lingue dell’Europa.
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