Anche agli inizi di aprile di tredici anni fa, la primavera italiana tardava ad arrivare.
Pioggia, vento, temperatura media appena sopra i dieci gradi.
Un tempo simile incombeva sull’ospedale di Sampierdarena, reparto grandi ustionati, mentre Ion Cazacu perdeva la vita dopo un mese di sofferenza.
Cittadino romeno, laureato in ingegneria, operaio edile in quel di Gallarate. Bruciato vivo dal suo datore di lavoro il 14 marzo 2000, per aver chiesto un contratto regolare, una paga migliore, diritti.
Cosimo Iannace, l’assassino, fu condannato a trent’anni in primo e secondo grado (evitando l’ergastolo grazie al rito abbreviato). Ma la cassazione annullò la sentenza per un “vizio di motivazione”. Tre anni dopo, la corte d’appello dimezzò la pena: sedici anni. Cadde l’aggravante del “motivo abietto” perché l’omicidio era nato da questioni di lavoro, e dunque non aveva un movente “che suscita disprezzo in ogni persona di moralità media”. Oggi Iannace è in regime di semilibertà, mentre la vedova e le figlie di Cazacu lottano ancora per avere giustizia.
Oggi come tredici anni fa, non c’è primavera per tanti cittadini stranieri che vivono e lavorano in Italia.
Pioggia e vento freddo anche il 23 marzo, quando tremila persone, in prevalenza migranti, hanno manifestato a Bologna per cancellare la legge Bossi-Fini. Il giorno prima, molti di loro avevano partecipato allo sciopero della logistica: corrieri, facchini, spedizionieri. Cariche di polizia per far uscire i camion dai magazzini. Una notizia che ha fatto poca notizia: si sa che i radar dei media segnalano un migrante solo quando è vittima o delinquente.
Mare forza 5 e acqua gelida anche una settimana dopo, nel canale di Sicilia, quando una motovedetta della capitaneria di Lampedusa ha intercettato un gommone con novanta persone a bordo. Due ragazzi di 25 anni sono morti assiderati prima di arrivare a terra. A bordo della nave non c’era un medico che potesse soccorrerli. E a bordo non c’era un medico perché a dicembre 2011 è scaduta la convenzione con chi forniva il servizio e nessuno l’ha più rinnovata. Eppure, come ci ricorda il presidente della repubblica, abbiamo un governo in carica, tuttora operativo. E da qualche settimana, pure un nuovo parlamento.
Il 28 febbraio scorso – tre giorni dopo le elezioni – sono scaduti i termini dell’Emergenza Nord Africa. Migliaia di profughi, giunti nel nostro paese due anni fa – dalla Libia, dalla Tunisia, dall’Egitto – hanno dovuto lasciare le strutture di accoglienza con 500 euro di buonuscita. In tanti non hanno nemmeno completato le procedure per la richiesta di asilo. Servizi e progetti di accompagnamento sono rimasti per lo più inattivi. Un enorme parcheggio, un’anticamera lunga due anni per poi approdare a nulla di concreto, se non i fondi stanziati: le strutture hanno percepito, in media, circa 46 euro al giorno per ogni profugo parcheggiato.
Il 18 febbraio – una settimana prima delle elezioni – ha compiuto dieci anni il Regolamento di Dublino II, quello che toglie ai richiedenti asilo il diritto di scegliere il paese dove presentare la domanda di protezione. In maniera del tutto arbitraria, con scarsa considerazione per i legami familiari o culturali, il Regolamento obbliga il rifugiato a fermarsi nella prima terra europea che gli capita di toccare. Con tanto di impronte digitali per incastrare chi non ci sta e rispedirlo al mittente. Tutto questo per fronteggiare una situazione che viene sempre descritta come “emergenza”, ma che in realtà non lo è né per i costi né per il numero di richiedenti asilo. Nel 2012, 332mila domande per 27 paesi dell’Unione europea, e un totale di 71.245 persone “protette”. Individui costretti a sottoporre le loro storie all’insindacabile giudizio dell’Uomo Bianco: se fuggi da un paese che l’Europa giudica pericoloso, allora hai diritto ad essere protetto. Se fuggi da un dittatore amico dell’Europa, quel diritto verrà messo in discussione. Se poi fuggi da un paese vessato dalla dittatura economica dell’occidente, allora sei soltanto un migrante economico. Così il diritto d’asilo finisce per ottenere gli stessi risultati del razzismo: una divisione gerarchica della forza lavoro utile allo sfruttamento. Utile a padroncini come Cosimo Iannace, che infatti “impazziscono” quando la si mette in discussione. Ma la pazzia, come sempre, è una giustificazione troppo facile. Come del resto l’ignoranza. Se il razzismo fosse “soltanto” ignoranza, se non fosse anche funzionale al nostro sistema economico, allora sarebbe più facile superarlo, come si è superata l’astronomia tolemaica.
Il 23 febbraio – dell’anno scorso – l’Italia è stata condannata dalla corte europea per i respingimenti in alto mare, previsti dall’accordo di amicizia italo-libico, sottoscritto dal governo Berlusconi e approvato in parlamento dalla maggioranza delle forze politiche. Il governo Monti ha poi stretto un nuovo patto con la Libia, ma a quanto pare si tratta di un accordo verbale, visto che il testo non è ancora di pubblico dominio, nonostante le pressioni di Amnesty international e altre associazioni, che temono una sostanziale riproposizione dei respingimenti.
Eppure, sebbene incalzati da tante ricorrenze, prima e dopo le elezioni, i partiti del nuovo parlamento sembrano non avere nulla da dire sull’immigrazione. Argomento tabù, troppo rischioso. L’unica ad aver rotto il silenzio è Laura Boldrini, che non a caso è una “figura istituzionale”, super partes. Le forze politiche preferiscono non avere opinioni in materia.
Se proviamo a guardarlo con gli occhi dei migranti, il grande cambiamento politico dell’Italia, la fine della seconda repubblica, l’avvento della democrazia digitale non sembrano più svolte epocali, ma pesanti continuità.
Se la guardiamo con gli occhi dei migranti, questa nuova stagione, ci rendiamo conto che essa continuerà a tardare – per tutti quanti – se ci limiteremo ad attenderla chiusi in casa, per paura di buscarci un malanno.
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