Fatemi un favore, dice Franco Arminio, alla fine di ogni suo incontro con il pubblico, andate a visitare un paese più piccolo del vostro, se il vostro paese conta seimila abitanti visitatene uno che ne ha quattromila, se ne ha quattromila andate in uno più piccolo, e così via, senza motivo, senza che ci sia una sagra, una festa, un evento, andateci e basta. Poi cercate una persona anziana, sedetevi vicino a lui o a lei, e ascoltate quello che ha da dire. “I paesi per prima cosa bisogna guardarli, andare a trovarli con un moto di passione. Attraversarli e guardarli”. Salvarli con gli occhi, come scrive in una delle sue poesie più belle. Chissà se in Italia i paesi in via di spopolamento si salvano in questo modo, chissà se davvero vanno salvati o se interessa a qualcuno farlo. Sono più di vent’anni che il poeta e paesologo Arminio scrive e si occupa di questi temi: il suo oggi può suonare come appello ingenuo, poco realistico, tuttavia non lo è affatto.
Nel 2019 appare più chiaro che la via dell’attenzione sia l’unica possibile. Mescolare geografia e commozione, poesia e etnologia, politica e canti. “Non ho mai creduto alla morte dei paesi. I paesi si trasformano. Soprattutto, non bisogna pensare al paese come città mancata”. L’hanno capito l’economista e politico Fabrizio Barca, il ministro per il sud Peppe Provenzano ascoltano questo signore dell’Alta Irpinia che predica la poesia come forma di conoscenza. Lo aveva capito per primo Gianni Celati che nel lontano 1992 pubblicò Arminio nella raccolta Narratori delle riserve (Feltrinelli), e scrisse che il suo “era un modo del tutto inedito di guardare le cose al sud”.
La paesologia non è altro che una forma di attenzione. E forse non sono le città che salveranno i paesi, ma viceversa. Quelle città che in tutta l’Europa vanno a una velocità diversa dal resto delle province che le circondano. Dovremmo cominciare a pensare che i paesi “felicemente inoperosi” dell’Italia interna, quelli abbandonati dalla politica, quelli di cui si occupa il forum Diseguaglianze diversità presieduto da Barca, sono la ricchezza di una nazione fatta da una miriadi di piccoli comuni e attraversata in verticale da una lunga catena montuosa oggi sempre più disabitata e divisiva.
Un processo
Dal vivo Franco Arminio non ha i toni del predicatore laico, quelli che ti aspetteresti dopo aver letto le sue poesie, poesie che a volte sono scritte in forma di preghiera e fanno pensare talvolta a un nuovo francescanesimo. È un uomo simpatico, insonne, coltissimo, una “creatura dell’urgenza”, come lui stesso si definisce, un’anima svelta, secondo un mio personale distinguo che applico alle persone che incontro. La lentezza non è prevista nei movimenti di quest’uomo vicino ai sessanta, la sua vitalità è quella del ragazzo. Racconta che da bambino non riusciva a stare fermo, né a scuola né in chiesa né in pizzeria: non è cambiato di molto.
A Gubbio arriva in una giornata di diluvio per il festival “Umbria in voce”, quinta edizione di una piccola ma preziosa festa della voce diretta e ideata da Claudia Fofi. In Geografia commossa dell’Italia interna scrisse che l’Umbria è “una terra inchiodata, incastrata al centro d’Italia, terra che non luccica, non freme”.
“Non conosco bene queste terre, ma non sento un grosso fremito, no. L’esito delle elezioni regionali non mi ha stupito per nulla. Per ricostruire le zone terremotate, bisogna che ci siano delle energie telluriche, mentre qui in Umbria non ci sono. Certo, ci vogliono i finanziamenti, le burocrazie, ma se un paese sta morendo è difficile che riesca a ricostruirsi. La ricostruzione è il completamento di un processo che era già cominciato prima del terremoto. Adesso c’è un grande lavoro da fare, non bisogna ricostruire i paesi, ma le cose”.
Arminio ha cominciato a scrivere proprio raccontando la ferita più grande, quella del terremoto dell’Irpinia. “Andare nei paesi è stata una scoperta, un processo che adesso è diventato consapevole. Un tempo andavo nei posti per vedere, non per essere visto. Adesso sono un famoso sconosciuto, ma rimango abituato al vento contrario che di solito mi accoglie nei paesi. Scrivo per riparare il vaso rotto, trasformare le ferite in opportunità”. I viaggi per lui sono uno scarto tra un posto e l’altro. Un modo di sentirsi al confine tra un luogo e l’altro. “Il paese da cui vengo e dove vivo, Bisaccia, è tra Campania e Puglia, e la mia scrittura è tra prosa e poesia”.
Grazie a questa scrittura, Arminio ha conquistato un seguito notevole. Basta andare a sentire uno dei suoi incontri, quasi mai nelle città, raramente nelle librerie – “Le librerie no, non mi piacciono, non c’è mai l’atmosfera giusta” – per rendersene conto. Arminio spiega che lui vende direttamente i suoi libri, che a sua volta compra dalla casa editrice, o alle presentazioni o tramite il baratto: “Mi mandano olio, salumi, regali di ogni tipo, e io spedisco il libro”.
L’impatto che ha sulla gente, anche sui non lettori, è di certo anche frutto di un lavorio continuo e molto pionieristico sulla rete, quella rete che come dice lui “ha unito le città e i paesi”. Autore di una ventina di libri, le sue raccolte di poesie hanno avuto un’accoglienza non comune: Cedi la strada agli alberi ha superato le ventimila copie; L’infinito senza farci caso, uscito da poco per Bompiani, ha già venduto novemila copie. Se si escludono i libri di Guido Catalano o altri “poeti” nati per così dire su internet, nessuno in Italia ha raggiunto un pubblico di lettori così ampio scrivendo in versi.
Canto, poesia, stile
Al festival di Gubbio è arrivato per un reading-concerto assieme ai figli Livio e Manfredi. Lui insiste sempre sull’importanza del canto. Il canto e la poesia sono forme di conoscenza, ripete, la letteratura è una forma di conoscenza. Di più, sono forme di politica: spazi che possono riconnettere le persone per un tempo più o meno breve e attraverso una comunanza di intenti. Momenti in cui si costruiscono quelle che lui chiama “intimità provvisorie”.
Arminio lavora moltissimo sulla lingua e non lascia mai la presa della frase: “Sono molto legato alla lingua, alle sue sfumature. La lingua è la mia stella polare. La letteratura è come si dicono le cose. Il mio ultimo libro è una raccolta di poesie d’amore scritte in un linguaggio semplice, ma a me non interessa l’amore in sé, m’importa della lingua. Anche in prosa, non faccio reportage, ma introduco sempre un elemento incongruo, immaturo, arbitrario”.
A differenza di uno scrittore come Roberto Saviano – che lo ha definito “uno dei poeti più importanti di questo paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato” –, Arminio interpreta l’impegno in un modo diverso, non gli interessa denunciare . “Non penso che i paesi moriranno o comunque non mi interessa. Il punto non è un paese morto in più o in meno. Il punto è che la nostra cultura politica, i nostri intellettuali non s’interessano dell’Italia interna o lo fanno in maniera terroristica. Non serve denunciare, ma fare le politiche giuste. Invece le politiche liberiste sono miopi perché hanno puntato sul risparmio, sui tagli. Mentre bisogna valorizzare il capitale umano virtuoso, bisogna premiare chi fa cose belle. Ci vuole più politica, non meno politica, perché per premiare devi essere forte. Per questo mi sono candidato”.
Una strategia
Franco Arminio si è candidato ben tre volte senza mai essere eletto: una con il Partito democratico al tempo di Walter Veltroni, cinque anni fa con la lista Tsipras e una nel maggio scorso come sindaco di Bisaccia, il paese dove vive, in Irpinia, con una lista civica.
“Alla sinistra manca completamente una narrazione sui paesi e sulle zone montuose. Non sa letteralmente che dire, il Pd pensa che il distacco sia una qualità, non lo è. La Lega invece ha una radice popolare, poco salottesca. Lo dico sempre a Peppe Provenzano: potete fare tutti i dispositivi legislativi che volete, ma se il vostro partito non ha una narrazione sui luoghi e non considera giovani e vecchi, non serve a nulla”.
Che cosa bisogna fare dunque? “L’importante è coinvolgere tante persone nella strategia contro lo spopolamento: penso ad artisti e intellettuali cha vadano nei piccoli luoghi e motivino le persone a restarci. Non credo sia solo una questione di opportunità economiche. Bisogna che ci siano giovani agenti di sviluppo locale che vadano fuori a fare esperienze e poi siano chiamati a risiedere per lunghi periodi nei paesi. In un piccolo centro spesso il capitale umano va alla malora. Provenzano deve avere il coraggio di individuare dei meccanismi per premiare i virtuosi. E gli intellettuali non possono stare alla finestra, devono assumere la questione delle aree disagiate dell’Italia come una questione cruciale. Poesia e impegno civile a servizio dei piccoli paesi. I paesi li salvano persone che vanno e vengono, che portano intimità e distanza”.
Per i paesi ci vogliono pensieri impensati, dice Arminio. Di fronte alle notizie delle sardine che hanno invaso le piazze, viene da dire che a volte i pensieri impensati sono quelli giusti. Tuttavia, il nuovo movimento si esprime di più nelle piazze della città, mentre la Lega – per fare l’esempio di una regione dove si andrà al voto a gennaio 2020 – in Emilia-Romagna prevale nei piccoli paesi, in vaste aree dell’Appennino, in varie zone della Bassa e nel delta del Po. Il fatto è che in Italia le aree interne rappresentano il 52 per cento dei comuni; il 22 per cento della popolazione e circa il 60 per cento della superficie. Il territorio montano rappresenta il 35,2 per cento della superficie nazionale, ma ci abita solo il 12,2 per cento della popolazione.
Il problema della mobilità è enorme. Nell’entroterra le strade e le linee ferroviarie non funzionano o scarseggiano; mentre in senso verticale, quelle che collegano il sud con Torino o Milano, funzionano. “È l’Italia voluta da Agnelli. L’Italia interna era più collegata ai tempi dei romani”. In questa Italia, lo spopolamento è molto forte anche nel nord. “Nel settentrione l’effetto dei paesi vuoti è ancora più grande perché le persone stanno meno in giro, anche per via del freddo. Eppure, le città di quelle regioni sono più attrattive rispetto a quelle del sud. A Bisaccia restano quasi quattromila persone, perché intorno a noi le città vicine sono Foggia, Avellino, Benevento, Potenza: città dove non trova lavoro neppure chi ci abita”.
Alcuni paesi stanno scomparendo. Altri sono stati snaturati da una modernità che porta solo desolazione, ma qualcosa c’è ancora. Un tessuto da cucire c’è. Proviamo per questi anni futuri ad ascoltare l’insegnamento di Franco Arminio, non resta che pensare un po’ meno alla storia e un po’ più alla geografia: “Amare è un impegno da geografi, /esploratori che mentre vengono accolti / si fanno terra da esplorare”.
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