È di oggi la [notizia][1] che la Commissione europea si appresta a standardizzare gli sciacquoni in tutti e 28 gli stati membri. Non vi sembra una priorità? Vorreste che a Bruxelles ci si occupasse d’altro? Per venirvi incontro, il Trattato di Lisbona ha dato vita a una cosa chiamata [Iniziativa dei cittadini europei][2] (Ice). L’Ice “consente a un milione di cittadini europei di prendere direttamente parte all’elaborazione delle politiche dell’Ue, invitando la Commissione europea a presentare una proposta legislativa”. Basta creare un comitato organizzatore, proporre un’iniziativa in un campo di competenza dell’Unione e raccogliere in meno di un anno un milione di firme in almeno sette stati membri. A quel punto la Commissione è obbligata a esaminare la vostra proposta e a spiegare perché accetta o rifiuta di darle seguito.
Tra i primi ad aver approfittato di questo “strumento di democrazia partecipativa” c’è il Movimento per la vita, che ha registrato quasi subito un’iniziativa chiamata “[Uno di noi][3]”. Finanziata dalla Fondazione Vita Nova, chiede che l’Ue vieti e ponga fine “al finanziamento di attività presupponenti la distruzione di embrioni umani in particolare in tema di ricerca, aiuto allo sviluppo e sanità pubblica”. Oltre alla ricerca sugli embrioni (ancora illegale in molti stati europei), la campagna prende chiaramente di mira il diritto all’aborto. Ma poiché spetta agli stati membri legiferare sull’aborto, gli organizzatori si sono concentrati su una competenza della Commissione: lo stanziamento dei fondi europei. Basta soldi ai consultori, ai corsi di educazione sessuale, alle ong che tutelano la salute e i diritti riproduttivi. Se vogliono promuovere la distruzione di embrioni, lo facciano di tasca propria.
Domani, per ben [diciassette iniziative][4], scade il termine per la raccolta firme. A quanto pare solo tre hanno superato la soglia richiesta: “[L’acqua è un diritto umano][5]” (che ha raggiunto 1.857.605 firme già qualche tempo fa e ha deciso di chiudere la raccolta prima - ne riparleremo in un altro post), “Uno di noi” e “[Stop vivisezione][6]”. In queste ultime, febbrili ore, gli organizzatori di “Uno di noi” stanno compiendo miracoli: in due giorni, tra il 29 e oggi, hanno raccolto quasi centomila firme, arrivando a quota 1.644.462.
Gli stati membri ora avranno tre mesi per autenticare le firme, poi ci sarà un’imperdibile audizione pubblica sull’iniziativa al Parlamento europeo. Verso marzo, la Commissione dovrà annunciare se intende o meno dare seguito alla proposta. Impossibile, direte voi. E in effetti chi ha esaminato la base giuridica dell’iniziativa - la [sentenza][7] della Corte di giustizia dell’Unione europea sul caso Brüstle contro Greenpeace – è scettico. La corte, dopo aver definito un embrione umano “qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione”, aveva escluso dalla brevettabilità qualunque invenzione richiedesse l’uso o la distruzione di embrioni umani. L’avvocato generale aveva però spiegato, nelle sue conclusioni:
Mi sembra anche utile precisare che la definizione giuridica che propongo si inserisce nell’ambito della direttiva tecnica esaminata e che, a mio avviso, non si potranno ricavarne conseguenze altrettanto giuridiche in altri settori che riguardano la vita umana ma che sono situati ad un livello diverso, e, innanzitutto, al di fuori del diritto dell’Unione.
Un dettaglio che non sembra intaccare le certezze dei sostenitori di “Uno di noi”. Sulla [pagina Facebook][8] italiana, c’è chi si chiede (le maiuscole non sono mie): “Cosa succederà al termine della RACCOLTA? Saranno prese le decisioni PROMESSE? TERRANNO FEDE ALLE PROMESSE?”. Il 4 giugno, sulla stessa pagina, qualcuno annunciava il raggiungimento del numero minimo di firme nei Paesi Bassi, commentando: “L’Olanda, il paese delle leggi contro l’uomo e la donna, della droga libera, di eutanasia per adulti e bambini, del matrimonio e adozione ‘omo’, dell’aborto, del partito dei pedofili, delle peripatetiche in vetrina… è riuscita ad arrivare a questo risultato”. Come mi ha spiegato Ana del Pino (coordinatrice europea della campagna nonché vice-segretario generale della Federazione spagnola delle associazioni per la vita), è tutto merito della chiesa protestante, “che nei Paesi Bassi si è mobilitata prima ancora di quella cattolica”. Pare che anche gli ortodossi abbiano dato un grande contributo alla causa in paesi come la Romania.
Nei prossimi mesi a Bruxelles, dietro le quinte di Commissione e Parlamento, la battaglia tra sostenitori dell’iniziativa e [lobbisti laici][9] sarà accesa. I primi possono contare su alcuni eurodeputati fedelissimi, tra cui [Carlo Casini][10] (Udc), presidente del Movimento per la vita. I secondi dovranno ricordare a chi li vorrà ascoltare che i diritti conquistati non vanno dati per scontati. Sono passati trentacinque anni dall’approvazione della legge 194. Vedendo questo non si direbbe.
Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale. Su Twitter: @ettaspin
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