Berlino, 13 maggio 2014. Le foto di questo articolo sono prese dalla pagina Facebook e dal blog “Freedom not Frontex”.
In questo momento alcune centinaia di persone, partite dalla Spagna, dall’Italia, dai Paesi Bassi e dalla Germania, si stanno dirigendo verso Bruxelles. Il principio della Carovana dei sans-papiers e dei rifugiati è lo stesso del progetto “Io sto con la sposa”, che Gabriele Del Grande presentava su questo sito pochi giorni fa, o del No Borders Train che questo sabato partirà dalla stazione Centrale di Milano: attraversare l’Europa come se non esistessero frontiere, sfidando il ricatto delle politiche migratorie e di asilo dei governi europei, che vorrebbero vedere tutti i richiedenti asilo in docile attesa di un sospirato pezzo di carta e i sans-papiers zitti e buoni a fornire manodopera in nero.
Le varie delegazioni arriveranno qui tra il 20 e il 22 giugno e ripartiranno il 28. Le date non sono state scelte a caso. Il 26 e il 27 giugno il Consiglio europeo si riunirà per definire, tra le altre cose, “gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. In altre parole, verranno decise a grandi linee le politiche migratorie e di asilo europee dei prossimi anni. I diretti interessati ovviamente non sono stati consultati, ma in quei giorni si faranno sentire.
La prima edizione della Carovana si è svolta nel 2012, su iniziativa della Coalizione internazionale dei sans-papiers e migranti (CISM). “Era dall’inizio degli anni duemila che si cercava di mettere in piedi una rete europea”, racconta Sebastian, un attivista impegnato nell’organizzazione della Carovana a Bruxelles. “Io all’epoca ero in Svizzera, ricordo che c’erano stati dei contatti, in particolare al Forum sociale europeo di Saint-Denis, seguiti da altri incontri tra collettivi di paesi diversi. Poi è nata la CISM, che ha lanciato l’idea della marcia. È stata un’azione soprattutto simbolica, con pochi risultati sul piano politico. Non abbiamo previsto subito di farne una seconda”.
Attraversando il confine tra Perl (Germania) e Schengen (Lussemburgo), 1 giugno 2014.
La seconda marcia ha cominciato a prendere forma nel 2013. “C’è stata una convergenza tra la CISM e i collettivi di rifugiati in Germania e nei Paesi Bassi, che volevano organizzare anche loro un’azione a Bruxelles”, spiega Sebastian. Partiti da Berlino il 17 maggio, i “tedeschi” hanno ribattezzato il corteo March for Freedom, documentando le tappe del viaggio sul loro blog. “Siamo riusciti a lanciare un appello comune che esprime una visione molto ampia. Ma non è facile capire fino a che punto questa visione sia davvero condivisa da tutti nei vari movimenti”, riconosce Sebastian.
La settimana di azioni prevista a Bruxelles non servirà solo a dare visibilità a queste lotte. Sarà soprattutto un momento di confronto tra movimenti che portano avanti cause in parte diverse. “Rifugiati e sans-papiers a volte tendono a considerarsi incompatibili”, osserva Sebastian. I primi chiedono un’accoglienza migliore e denunciano il regolamento Dublino, che nega ai richiedenti asilo la possibilità di spostarsi all’interno dell’Unione europea, i secondi si battono soprattutto per una regolarizzazione dei lavoratori sans-papiers. “Questa distinzione, che fa comodo ai governi perché non rimette in discussione le basi delle loro politiche migratorie, può sembrare artificiale. Ma è stata interiorizzata dalle persone. Lo stesso è successo con i disoccupati e i lavoratori, che appartengono invece a un’unica categoria. Sul piano teorico siamo tutti d’accordo, la distinzione non esiste. Ma sul piano pratico è sentita e per superarla serve un lavoro politico”.
Il movimento di lotta per i diritti dei sans-papiers in Europa è ancora giovane, se si prende come data di nascita l’occupazione della chiesa di Saint-Bernard a Parigi nel 1996 (negli anni settanta, sempre in Francia, ci furono dei movimenti di lotta dei lavoratori immigrati, “ma se n’è persa la memoria”, osserva Sebastian). E in alcuni paesi, come il Belgio, i sans-papiers faticano a organizzarsi. “Nel 2012 siamo stati colpiti dal movimento francese, che ha una struttura gerarchica forte e un’organizzazione efficace. Si può criticare sotto alcuni punti di vista, ma non se ne può negare l’impatto”. Il problema, per Sebastian, è l’assenza di leader con sufficiente esperienza: “Spesso per molti sans-papiers questa è la prima esperienza di impegno politico. Se ottengono i documenti se ne vanno, hanno altro a cui pensare, una vita da costruire. Resta solo chi ha una coscienza politica molto forte. E così bisogna spesso ricominciare da zero. In questo senso c’è un lavoro sulla memoria da fare, per tenerla in vita, per non dover reinventare sempre tutto”.
Lussemburgo, 5 giugno 2014.
Tra le coscienze politiche forti rimaste anche dopo aver ottenuto i documenti c’è Bachir, del Collectif Sans-Papiers Belgique, che prima di arrivare in Europa militava nell’Unione nazionale degli studenti del Marocco. A maggio, intervenendo a una giornata di studi su “Migrazioni e lotte sociali”, aveva spiegato che esistono vari ostacoli all’impegno dei migranti: l’assenza di strutture solide, i problemi di comunicazione, la diffidenza tra le comunità, la paura. “Alcuni migranti vengono da percorsi così difficili”, aveva detto, “che non osano neanche uscire di casa una volta arrivati in Europa. Non ha senso incoraggiare queste persone a politicizzarsi, serve prima un sostegno psicologico, bisogna dar loro gli strumenti per diventare autonome. E bisogna prepararle al post-papiers: i documenti non sono tutto, una volta ottenuti tocca affrontare problemi come la discriminazione, la precarietà…”. E aveva concluso: “Il termine ‘sans-papiers’ è un’etichetta messa su un universo eterogeneo, fatto di persone che appartengono a comunità e culture diverse. Ma si possono trovare dei punti di contatto, delle rivendicazioni comuni”.
La conferenza di maggio aveva messo in luce un’altra linea di frattura che attraversa il movimento di lotta per i diritti dei migranti, la “tensione irrisolta tra i sans-papiers e chi li sostiene”, per dirla con Sebastian. “Anche gli attivisti che potremmo chiamare europei, comunque, tendono a non rimanere nel movimento: sono giovani, spesso studenti, che mettono tanta energia nella lotta. Poi sono confrontati alla delusione, all’assenza di prospettive politiche, e prendono altre strade. Ci sono anche i movimenti anarchici e libertari, che invece rimangono a fianco dei sans-papiers, senza però contribuire a rafforzarne l’organizzazione. Alcuni attivisti migranti hanno finito per teorizzare un’autonomia molto forte, ma per come la vedo io è un approccio sbagliato, perché porta a isolarsi dagli altri movimenti”.
Dal 20 al 28 giugno a Bruxelles si cercherà invece di “rafforzare i rapporti a livello europeo, di preparare il seguito. Proveremo anche a presentare un documento comune che getti le basi per il futuro”. Un testo sembra già mettere d’accordo un po’ tutti, a giudicare dalla frequenza con cui viene citato: “Quello che dobbiamo ai ‘sans-papiers’”, discorso pronunciato dal filosofo francese Etienne Balibar nel 1997. Nel 2013, in sostegno ai rifugiati che protestavano nel Sigmund-Freud Park e nella Votivkirche di Vienna, il testo è stato tradotto in tedesco. In una nota rivolta per l’occasione ai rifugiati di Vienna, Balibar scriveva:
Le società contemporanee, che pretendono di trarre tutti i benefici dalla globalizzazione delle comunicazioni e degli affari, dovranno decidersi a istituire un nuovo diritto alla circolazione degli uomini, della loro residenza, del loro lavoro, della loro protezione sociale, che s’instauri al di sopra delle frontiere. Se dev’essere democratico (e a dire il vero non potrà esistere se non come progresso della democrazia), questo nuovo diritto dovrà non solo proteggere i rifugiati e i migranti dall’arbitrarietà degli stati e dalle opinioni xenofobe, ma anche poggiare sulla loro esperienza e sulla loro competenza, così come lo esprimono loro stessi attraverso le loro legittime richieste di libertà e sicurezza.
Il programma della settimana di azioni a Bruxelles è sul blog della Carovana.
Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale. Su Twitter: @ettaspin
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it