L’11 maggio le ruspe hanno sgomberato il borghetto di Ponte Mammolo, a Roma, un insediamento abusivo dove vivevano circa quattrocento persone. La maggior parte di loro erano rifugiati o richiedenti asilo, altri erano migranti in transito verso il Nordeuropa, tra loro molte donne e bambini.
Lo sgombero è avvenuto senza preavviso, anche se la legge prevede che le persone che vivono in abitazioni abusive siano sempre avvisate prima dell’arrivo delle ruspe. Una cinquantina di migranti dopo lo sgombero si sono accampati nel parcheggio di Ponte Mammolo, altri sono stati rialloggiati presso case famiglia, altri ancora sono partiti per il Nordeuropa.
L’assessora per le politiche sociali del comune di Roma Francesca Danese in un primo tempo ha detto che il comune non era a conoscenza della decisione di sgomberare, poi ha difeso il provvedimento sostenendo che lo sgombero era stato deciso per “il bene dei migranti” che vivevano in pessime condizioni igieniche. L’assessora non ha spiegato, però, come mai gli abitanti del borghetto e le associazioni che li assistevano non sono stati avvisati dell’arrivo delle ruspe.
Danese ha annunciato che l’amministrazione comunale sta lavorando alla costruzione di un centro per l’accoglienza dei richiedenti asilo, in transito verso il Nordeuropa. Ma la normativa europea sull’asilo, il trattato di Dublino, obbliga i richiedenti a fare domanda di asilo nello stato d’ingresso dell’Unione europea, che spesso è uno dei paesi del sud. Questo costringe gli stati come l’Italia a registrare, raccogliendo le impronte digitali, i richiedenti asilo che entrano nel territorio nazionale. Perciò molti migranti che vogliono raggiungere i loro familiari nel Nordeuropa cercano di sfuggire alla registrazione delle impronte nei paesi d’ingresso per raggiungere i paesi del nord. E talvolta entrano in contatto con la criminalità, finiscono nelle rete dei trafficanti di esseri umani o sono costretti a situazioni abitative di fortuna.
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