“La polizia ci ha portato in un campo e ci ha circondato”, dice il migrante etiope F., sbarcato a Messina. “Poi ci hanno chiesto le impronte digitali, con la forza. ‘Non vi diamo da mangiare né da bere finche non ci date le impronte’. Mi hanno colpito dappertutto, sul corpo e sulla testa”.

Nati in Italia e in Grecia su pressione di Bruxelles, gli hotspot sono luoghi di detenzione dove la polizia locale insieme a funzionari delle agenzie europee (Europol, Eurojust, Frontex, Easo) ha il compito di trattenere i migranti appena sbarcati per identificarli attraverso il prelievo, anche con l’uso della forza, delle impronte digitali. Gli hotspot dovrebbero servire anche a distinguere e “smistare” i richiedenti asilo dai migranti economici. Al momento in Italia sono cinque: Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Porto Empedocle e Taranto.

Tuttavia, negli ultimi mesi, si è iniziata a delineare la “pratica hotspot”, dove un team mobile procede all’identificazione dei migranti direttamente allo sbarco, come è accaduto a Messina al protagonista di questo video. L’ingresso negli hotspot non è permesso alla stampa: la richiesta in tal senso degli autori del documentario è stata respinta per assicurare ai richiedenti asilo ospitati “la massima tutela dei diritti, anche in materia di privacy”. –Valeria Brigida

Il reportage di Valeria Brigida e Mario Poeta.

Prima puntata della serie Welcome to Italy, un viaggio in cinque video sull’accoglienza dei migranti che arrivano nel nostro paese.

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