Donald Trump sembra un presidente a fine mandato
Donald Trump si vanta spesso di essere un presidente particolarmente produttivo.
“Abbiamo approvato più leggi – intendo leggi passate per il congresso – di qualsiasi altro presidente nella storia”, ha detto il 17 luglio. “Per un po’ sono stato dietro a Harry Truman. Ma ora sono davanti a tutti”, ha sostenuto durante la stessa intervista. Solo una volta ha ammesso che forse Franklin Delano Roosevelt ha approvato più provvedimenti di lui, ma solo “perché doveva affrontare la grande depressione”.
Appropriarsi di risultati che non esistono o sono molto meno rilevanti di come lui li presenta sono comportamenti che naturalmente fanno parte dei tratti psicologici di Trump: il narcisismo, il delirio di grandezza, la tendenza a sminuire chiunque non sia Donald Trump. Ma sono anche l’elemento centrale della strategia politica che finora sta tenendo insieme la sua amministrazione.
Con il congresso che non riesce a far passare quasi nessuna delle proposte del presidente e con un indice di popolarità particolarmente basso, tenere compatta la base indignata che l’ha portato alla Casa Bianca è fondamentale, soprattutto in vista di possibili sviluppi sul fronte dello scandalo sulla Russia: un presidente che ha perso il sostegno delle persone che lo hanno portato al potere ha molte più possibilità di venire abbandonato dai suoi alleati e rimanere invischiato in una procedura di impeachment.
L’entusiasmo per il nuovo corso del paese non dipende tanto dalle leggi che Trump dice di aver approvato ma per quelle che sta cancellando
Girando per le zone degli Stati Uniti che a novembre hanno votato massicciamente per Trump si capisce che questa strategia sta funzionando. A Bakersfield, una città agricola e petrolifera nella zona interna della California, la luna di miele tra Trump e i suoi elettori non è mai finita, e in un certo senso nemmeno la campagna elettorale: in giro si vedono ancora i cappellini Make America great again e i cartelli elettorali Trump/Pence, e si sentono ancora discorsi astiosi contro l’ipocrisia dei progressisti di città che vogliono distruggere il paese.
Ma si capisce anche che in quelle zone il motivo principale dell’entusiasmo per il nuovo corso del paese non dipende tanto dalle leggi che Trump dice di aver approvato ma per quelle che sta cancellando. In poche parole, per come sta facendo a pezzi l’eredità di Barack Obama, un presidente che in molte parti conservatrici dell’America profonda è considerato ancora oggi un leader illegittimo che per otto anni ha portato gli Stati Uniti lontani dalla loro traiettoria naturale.
A Bakersfield, come in altre città che basano la loro economia sullo sfruttamento delle risorse naturali, non hanno mai mandato giù le regolamentazioni approvate da Obama – e dal governatore democratico della California – per limitare le trivellazioni, razionare l’utilizzo delle risorse idriche e altre pensate per proteggere l’ambiente e ridurre il riscaldamento globale. Il fatto che Trump si sia scagliato fin dal primo giorno contro un sistema di regole che imbriglia l’economia statunitense gli ha fatto guadagnare un credito politico destinato a durare.
In questi primi sette mesi Trump ha indubbiamente fatto tantissimo su questo fronte: ha bloccato il Clean power act, un piano approvato dalla precedente amministrazione per ridurre le emissioni di anidride carbonica delle centrali elettriche; ha soppresso uno studio sui danni per la salute delle miniere di superficie; ha cancellato il divieto sulle trivellazioni nell’Artico; ha bloccato una regola che imponeva di tenere in considerazione l’innalzamento del livello dei mari prima di costruire infrastrutture in zone a rischio inondazione; ha firmato un ordine esecutivo che ordina le revisione della lista dei parchi nazionali creati negli ultimi vent’anni; ha eliminato una misura che regolava l’estrazione tramite il fracking sui terreni di proprietà del governo federale; ha cancellato il limite ai pesci che possono essere catturati con le reti; ha ritardato l’entrata in vigore dei nuovi standard sull’efficienza energetica delle automobili; ha cancellato una misura che allargava il numero di corsi d’acqua protetti dall’Agenzia per la protezione ambientale; ha bloccato un provvedimento che impediva di riversare le scorie delle miniere nei fiumi. E poi, naturalmente, ha portato gli Stati Uniti fuori dall’accordo sul clima di Parigi, una decisione che potrebbe avere effetti concreti limitati (anche perché sarà contrastata da molti degli stati più grandi del paese), ma che per tutti i sostenitori di Trump che vivono nelle zone rurali del paese è la dimostrazione che il presidente è dalla loro parte.
Lo stesso discorso vale per alcune delle misure che Trump ha adottato in campo economico – come la scelta di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo di libero scambio nel Pacifico. Per questi suoi sostenitori Trump dimostra così di non essersi dimenticato di loro e di voler mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. Questo a dispetto di altre mosse contraddittorie che arrivano dall’amministrazione, come la decisione di affidarsi ai banchieri di Goldman Sachs o quella di provare a fare una riforma fiscale che favorirebbe le fasce più ricche della popolazione.
Distruggere l’eredità di Obama a colpi di decreti finora ha permesso a Trump di mantenere alto l’ottimismo di una parte del paese nei confronti della sua presidenza, e probabilmente è anche una delle poche cose su cui il presidente concorda con la maggioranza repubblicana, che per otto anni ha fatto la guerra a Obama su ogni singolo provvedimento. Ma l’idea di poter governare semplicemente firmando ordini esecutivi, cioè senza doversi sforzare di creare un rapporto con il congresso e sporcarsi le mani sul campo della trattativa politica, è evidentemente un’illusione che potrebbe portarlo alla lunga a rinunciare a molte delle sue proposte più importanti e quindi a pagare un prezzo politico molto più alto. Un segnale eloquente in questo senso è arrivato con il fallimento sulla nuova riforma sanitaria, quando si è capito che il presidente non ha praticamente nessuna influenza sull’ala ultraconservatrice del Partito repubblicano.
In un certo senso Trump sta governando in modo non molto diverso da Obama, che alla fine del suo secondo mandato firmò una serie di ordini esecutivi per aggirare un congresso ostile e consolidare la sua eredità. Con due differenze importanti: Trump è entrato alla Casa Bianca appena otto mesi fa e il suo partito controlla entrambi i rami del congresso. È probabilmente il primo presidente nella storia recente degli Stati Uniti a trovarsi così presto nella posizione dell’anatra zoppa, di un leader che non riesce a esercitare a pieno il potere conferitogli dalla carica.
Generalmente succede ai presidenti a fine mandato, mentre Trump si è infilato da solo in questa situazione commettendo un errore tattico dopo l’altro.