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A Washington le donne puntano in alto

Una manifestazione contro il presidente statunitense Donald Trump a Los Angeles, l’8 marzo 2017. (Lucy Nicholson, Reuters/Contrasto)

Un anno fa, il 21 gennaio 2017, 500mila persone partecipavano alla marcia delle donne su Washington, e altre decine di migliaia scendevano in strada nelle altre grandi città statunitensi. Non era un giorno a caso: ventiquattr’ore prima Donald Trump, che aveva sconfitto la prima candidata della storia politica statunitense con una campagna elettorale apertamente misogina, si era insediato alla Casa Bianca. I manifestanti volevano sfogare l’indignazione accumulata nei mesi della campagna elettorale, ma cercavano anche di accendere una scintilla che alla lunga portasse alla nascita di un’opposizione alla destra trumpiana.

E in effetti in un anno ci sono state più scintille di quante ci si potesse aspettare: lo scandalo Weinstein ha dato vita a un nuovo movimento femminista che in pochi mesi ha conquistato il centro del dibattito politico; migliaia di donne hanno denunciato violenze e molestie sessuali, e centinaia di uomini di potere (compresi esponenti del congresso) si sono dimessi o sono stati costretti a lasciare i loro incarichi; la rivista Time ha scelto il movimento #metoo come persona dell’anno; le donne di Hollywood hanno parlato con una voce sola per dire che è arrivato il momento di cambiare tutto; e in Alabama il voto delle donne ha messo fine alla carriera politica di Roy Moore, politico di estrema destra accusato di molestie nei confronti di alcune minorenni.

Le donne statunitensi stanno entrando in politica in numeri mai visti prima

Ma in questi dodici mesi è successo anche qualcos’altro di cui non si è parlato molto e che potrebbe avere conseguenze ancora più grandi sulla politica e sulla società statunitensi. Riguarda il fatto che le donne statunitensi stanno entrando in politica in numeri mai visti prima. Lo racconta un bell’articolo nell’ultimo numero della rivista Time: “È in corso un aumento senza precedenti di donne che si candidano a ricoprire incarichi di vario tipo, dal senato statunitense ai parlamenti locali fino ai consigli scolastici. Nella maggior parte dei casi fanno parte del Partito democratico e si candidano a qualcosa per la prima volta in vita loro”.

Nell’anno delle elezioni di metà mandato, in cui si rinnoveranno tutti i seggi della camera e un terzo del senato e si eleggeranno centinaia di funzionari in tutto il paese, questa tendenza potrebbe cambiare il volto della politica nazionale e locale.

Attualmente le donne al congresso sono pochissime (circa il 20 per cento) e su cinquanta stati solo sei sono governati da donne. Il Partito democratico discute da anni di quale sia il modo migliore per aumentare la partecipazione e la rappresentanza politica femminile, ma ora la risposta sembra essere arrivata dal basso, proprio da quei movimenti che sono scesi in strada dal giorno uno della presidenza Trump. “Nel 2016 queste donne si consideravano semplici elettrici, nel 2017 (quando c’era da contrastare il candidato Trump) sono diventate attiviste, e nel 2018 stanno scendendo in campo”.

In movimento
Time spiega che almeno 79 donne stanno pensando di candidarsi per guidare il loro stato, il doppio rispetto al 1994, quando c’era stato il picco di candidate. Inoltre il numero di donne democratiche che nelle primarie per un seggio alla camera sfideranno deputati in carica è aumentato del 350 per cento rispetto al 2016, quando la leader del partito era Hillary Clinton. L’attivismo non riguarda solo i candidati: “Sono sempre di più le donne che danno vita a organizzazioni indipendenti dai partiti per raccogliere fondi, che vanno a lavorare come volontarie per le campagne elettorali o che semplicemente fanno una donazione”.

Quest’attivismo crescerà ulteriormente nei prossimi mesi, in cui il dibattito politico si sposterà spesso su temi che sono particolarmente sentiti dall’elettorato femminile. Primo tra tutti il destino dell’Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Barack Obama. Dopo aver fallito nel tentativo di cancellarla al congresso, Trump e i repubblicani hanno deciso di sabotarla con una serie di provvedimenti minori, ed è molto probabile che da qui alle elezioni di novembre il sistema sanitario statunitense mostrerà segni di difficoltà, facendo aumentare i prezzi delle coperture sanitarie e il numero di persone non assicurate.

D’altro canto, l’evoluzione del movimento nato dalla marcia del 21 gennaio 2017 ha generato anche traumi e divisioni. Con il passare del tempo i vari gruppi di attiviste hanno deciso di seguire temi, priorità e strategie diverse, con il risultato che oggi, come spiega il New York Times, esiste una frattura tra i due gruppi più attivi a livello nazionale: “C’è Women’s march Inc., che ha organizzato la manifestazione dell’anno scorso e ha passato gli ultimi mesi a organizzare campagne contro le espulsioni degli immigrati, contro i bombardamenti statunitensi in Siria e a favore della riforma della giustizia e del sistema carcerario.

E poi c’è March on, nato di recente, secondo cui l’attivismo delle donne dovrebbe essere indirizzato verso la politica, per cercare di eleggere più donne al congresso e nei parlamenti locali, soprattutto negli stati controllati dai repubblicani”. Le attiviste di March on fanno leva sui temi più sentiti dagli elettori nelle zone rurali del paese, come l’aumento del salario minimo e le pensioni, cercando di portare a sinistra le tante donne – prevalentemente bianche della classe media – che nel 2016 sono state determinanti per portare Trump alla Casa Bianca. Il gruppo si sta anche dando molto da fare per aumentare la partecipazione al voto in vista delle elezioni di novembre. Di recente ha lanciato March on the polls, una campagna per aiutare i cittadini a registrarsi nelle liste elettorali.

Queste iniziative, così come quelle che a novembre hanno portato all’elezione di candidati progressisti in zone storicamente conservatrici, sono spesso portate avanti da attivisti che non fanno parte dal Partito democratico. E ormai è sempre più evidente che per recuperare il controllo del congresso la sinistra dovrà uscire dalle sue roccaforti e proporre un’alternativa credibile alle persone che hanno consegnato la presidenza a Donald Trump. Per riuscirci dovranno abbracciare i movimenti nati dal basso nell’ultimo anno.

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