Il movimento lgbt è diviso nella lotta per i diritti civili
Nonostante i progressi sul fronte dei diritti civili, oggi è ancora difficile essere gay. Ma è ancora più difficile essere lesbica, perché le donne omosessuali sono un gruppo discriminato all’interno di un gruppo discriminato. La giornalista britannica Jane Czyzselska parla della lesbofobia come “omofobia servita con un contorno di sessismo”, ma la sua definizione trascura un aspetto più specifico: la lesbofobia da parte degli uomini gay.
Posso dire senza temere di esagerare che negli anni ho sentito centinaia di uomini gay, me compreso, fare battute lesbofobe che vanno da un tono goliardico fino alla violenza verbale misogina “servita con un contorno di omofobia”. Nonostante l’intento apertamente provocatorio, uscite come quelle dell’opinionista britannico gay Milo Yiannopoulos – che a una donna del pubblico ha chiesto: “Sei grassa perché sei lesbica o sei lesbica perché sei grassa?” – mostrano quanto la lesbofobia sia legata alla misoginia. Gay e lesbiche combattono fianco a fianco da decenni, ma tra loro esiste un perenne conflitto sotterraneo.
Storicamente l’attivismo lesbico è sempre stato profondamente radicato nel femminismo, perché i due movimenti condividono l’obiettivo di smantellare il sistema patriarcale. Gli omosessuali maschi, invece, ritengono fondamentale abbattere la discriminazione per l’orientamento sessuale, ma non hanno bisogno di uscire dal patriarcato, perché in quanto uomini ne sono avvantaggiati. Questa differenza di fondo ha creato terreno fertile per il maschilismo all’interno della comunità lgbt.
Si rischia una guerra civile all’interno di un movimento che ha ancora tante conquiste fondamentali da raggiungere
In Italia il conflitto sotterraneo tra gay e lesbiche è riemerso negli ultimi mesi per via della dura presa di posizione di Arcilesbica contro la gestazione per altri (gpa). Anche in questo caso all’attivismo lesbico si è unita una parte del movimento femminista: durante la discussione sulle unioni civili nel 2016 il gruppo Se non ora quando ha pubblicato una lettera contro la gestazione per altri.
La gpa, bisogna ricordarlo, è una pratica a cui ricorrono soprattutto coppie eterosessuali e la legge Cirinnà ne lasciava inalterato il divieto in Italia, puntando solo a regolarizzare la condizione giuridica dei bambini con genitori dello stesso sesso già nati. Ma il tempismo scelto dal gruppo Se non ora quando ha contribuito alla strumentalizzazione del dibattito sulla stepchild adoption e allo stralcio di quella parte dalla stesura finale della legge. Lasciando senza diritti un grandissimo numero di figli di coppie omosessuali, la grande maggioranza dei quali figli di coppie di donne.
Nei mesi scorsi la dirigenza di Arcilesbica è tornata sulla questione, confermando il rifiuto della gpa se non in forma altruistica. Come padre di tre bambini nati con questa pratica, posso dire che l’apertura di un dibattito interno alla comunità lgbt è importante e le argomentazioni proposte da Arcilesbica sono legittime.
In molti però, anche all’interno dei circoli Arcilesbica che hanno rifiutato la posizione della dirigenza nazionale, ci chiediamo se sia strategico e opportuno dal punto di vista politico trasformare un tema così controverso – e che alla fine riguarda pochi eterosessuali e davvero pochissimi omosessuali maschi – in uno dei cardini dell’attivismo lesbico attuale. E rischiare di innescare una guerra civile all’interno di un movimento che ha ancora tante conquiste fondamentali da raggiungere.
Nuove polemiche
Nelle settimane scorse però Arcilesbica ha ulteriormente scaldato gli animi all’interno della comunità lgbt: sul profilo Facebook dell’associazione è apparso l’articolo scritto da una lesbica femminista che si dichiara “arrabbiata” perché le donne trans vogliono mettere a tacere le differenze tra loro e le donne biologiche. “Trans women are not women” (le donne trans non sono donne) è una nuova concezione che si sta diffondendo all’interno del movimento femminista internazionale e che rivendica la differenza tra donne cisgender e donne transessuali.
La scorsa estate la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie è finita al centro delle polemiche per aver dichiarato che, nonostante lei sostenga i diritti delle persone transessuali, sarebbe ipocrita non ammettere che esiste una differenza tra donne biologiche e donne trans. E nelle scorse settimane il partito laburista britannico è stato travolto da un duro dibattito interno dopo aver permesso ad alcune candidate trans di accedere alle liste elettorali riservate alle donne.
Anche in questo caso il dibattito è assolutamente legittimo. È giusto riflettere sulla specificità della condizione trans, ma sarebbe scorretto ridurla a un ennesimo fronte della guerra tra i sessi, perché comunque siamo tutti d’accordo sul fatto che le donne trans non sono uomini. E in ogni caso la vera questione è se sia giusto aprire la discussione proprio adesso: in un mondo ancora in preda al machismo – il caso Weinstein ne è l’esempio più lampante – e dove nascere transessuale è ancora una tragedia dal punto di vista sociale ed economico, è davvero questa la battaglia su cui le femministe si vogliono concentrare?
Ad aumentare questo senso di guerra interna al movimento per i diritti civili ci ha pensato nelle settimane scorse India Willoughby, conduttrice di un telegiornale britannico. Willoughby, che è transessuale, era tra i partecipanti del Grande fratello vip insieme alla drag queen australiana Courtney Act e ha dichiarato di soffrire di dragphobia, cioè paura degli uomini che si travestono da donna per esibirsi. Più che una fobia, però, il ragionamento di Willoughby suonava come una forma di intolleranza: “Visto che le transessuali devono lottare ogni giorno contro lo stigma sulla loro condizione, l’idea di un uomo gay che si veste di paillettes e lustrini per divertire il pubblico non fa che confondere le idee e remare contro di noi”.
Occorre ricordarle però che il problema non sono le drag queen, ma la transfobia della nostra società. Perché il fatto che degli uomini si travestono per intrattenere di per sé non ha nulla che non va, e non abbiamo davvero bisogno di coniare nuove forme di intolleranza.
Infine, per chiudere il cerchio di vittime che diventano carnefici, va segnalata la forma di discriminazione denunciata dal documentario London’s female queens, che esplora il fenomeno delle drag queen donne. “Le cosiddette faux queens (false regine) non sono ancora pienamente accettate nella comunità drag”, scrive The Vice. “Alcuni performer gay credono che sia scorretto che le donne si approprino della loro professione”.
Ricapitolando, quindi: gay contro lesbiche, lesbiche contro padri gay, femministe contro trans, trans contro drag queen e drag queen contro donne. Si ha l’impressione che i gruppi discriminati stiano spendendo troppe energie per darsi battaglia a vicenda invece di concentrarsi sul vero obiettivo: il raggiungimento dei diritti civili e la piena parità di genere. Quando la discriminazione smetterà di essere così grave avremo tempo di ragionare su tutti gli aspetti su cui ancora non c’è accordo. Ma fino ad allora la comunità lgbt e il movimento femminista dovrebbero ricordarsi che l’unione fa la forza.