In Belgio anche le donne vogliono essere protagoniste del carnevale
“Il virus carnevalesco non abbandona mai del tutto il sangue binchois. Risorge così facilmente! La più piccola festa di famiglia gli permette di manifestare il proprio vigore. Rari sono gli eventi felici del luogo ai quali non s’intreccia l’ombra più o meno sfumata del carnevale”. Così scriveva nel 1975 il folclorista belga Samuël Glotz a proposito del più celebre carnevale del paese, quello della cittadina vallona di Binche, dove lui stesso era nato nel 1906.
Se è vero che uomini e donne contraggono lo stesso virus alla nascita, il modo in cui vivono il carnevale è molto diverso. Prendiamo la figura del Gille, il simbolo di Binche, che sfila solo il martedì grasso (la domenica il costume è a libera scelta, mentre il lunedì i Gille si riposano). Questa maschera dalle origini antiche, pagane e popolari, nei secoli si è arricchita di elementi più scenografici (Glotz li definisce “abbellimenti borghesi”) come i copricapi coronati di piume di struzzo e le arance offerte – o meglio lanciate – al pubblico.
Il Gille di Binche deve seguire regole precise e molto rigide, che riguardano il costume, ma anche i comportamenti, i passi di danza, gli spostamenti (gli è vietato uscire dalla cittadina) e il sesso: deve essere imperativamente un uomo. Le donne non sono ammesse nelle società che riuniscono gli oltre mille Gille di Binche.
Monopolio accettato
“Questo monopolio maschile è un elemento rivelatore”, spiega Glotz. “Testimonia del carattere rituale e magico che avevano in origine la danza e gli usi” associati a questa maschera. Una danza arcaica, che Glotz descrive come “una specie di marcia fortemente cadenzata con, in certi momenti, delle giravolte dei danzatori e dei gesti del braccio che accompagnano il ritmo” dei tamburi (dei tanti video che si trovano online c’è questo degli archivi della Sonuma, che ripercorre i tre giorni del carnevale particolarmente freddo del 1991, arrivando al corteo dei Gille al minuto 21.22).
Oltre alle società di Gille esistono delle società dette “di fantasia”, che animano le strade di Binche soprattutto il lunedì grasso. Anche quelle però sono riservate quasi tutte agli uomini (in alcune le bambine sono ammesse fino a una certa età).
La maggior parte delle donne di Binche non ha mai vissuto questo monopolio maschile come una discriminazione. Dietro ogni Gille che sfila, spiegano studiosi e profani del posto, c’è una donna, la femme de Gille (può essere la moglie o la compagna, ma anche la madre, la sorella, un’amica…), che cuce il costume della domenica e assiste il suo Gille durante tutto il periodo del carnevale, aiutandolo a vestirsi, preparandogli da mangiare, assicurandosi che non gli manchi nulla, perché la perfezione dell’esibizione sarà motivo di orgoglio per entrambi.
Difficile per chi non è di Binche scivolare dietro le quinte e osservare queste donne all’opera. Sono soprattutto i fotografi ad averle rese visibili, ultimo tra i quali Anthony Malagoli, che a dicembre ha pubblicato il libro Femme de Gille, presentato di recente alla fiera del libro di Bruxelles. Anche il giornalista Patrick Haumont, lui stesso Gille, nella prefazione al volume collettivo del 2004 Le carnaval de Binche vu par 30 photographes, rende omaggio alle donne dei Gille, che li aiutano a “essere all’altezza”.
Il tono è diverso nel libro Carnaval de Binche. Fête d’hommes, regard de femmes, firmato nel 2007 da due binchoises, la studiosa Christel Deliège e la fotografa Nathalie Hupin. “L’unico motivo per cui mi dispiace non essere un uomo”, confessa nel libro Hupin, “è che non potrò mai ‘fare il Gille’”. E non essendo diventata femme de Gille, ha compensato tempestando di scatti fotografici le maschere del martedì grasso. “La fine del ‘mio’ carnevale”, ricorda invece Deliège in un’intervista a La Libre Belgique, “ha coinciso con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Per quanto traumatica, questa esclusione mi ha permesso, inaspettatamente, di trovare un certo orgoglio nella funzione ‘subalterna’ che mi veniva imposta: il ruolo della femme de Gille”.
Ruolo codificato
All’epoca dell’uscita del libro, Deliège era stata da poco nominata direttrice del Museo internazionale del carnevale e della maschera, fondato nel 1975 a Binche da Samuël Glotz. Non stupisce quindi la sua difesa di un ruolo codificato da un rito folcloristico così antico. Ma altre donne di Binche non lo mandano giù, come Emma (nome di fantasia), una giovane intervistata nel 2018 da Vice, piena di rabbia verso la sua cittadina di origine che, dopo averle trasmesso il virus, non le permette di vivere liberamente il carnevale: “Io non abito più a Binche ma adoro il carnevale, ce l’ho nel sangue. Non posso permettermi di dire troppo come la penso. Spero solo che le binchoises finiscano per fare delle azioni, e che riusciremo ad avere delle donne il martedì grasso”.
Si racconta che in passato alcune donne siano riuscite a infilarsi nei cortei di uomini, per esempio Gillette, nata nel 1948, che con un nome così era destinata a infrangere la regola (peccato non se lo ricordi, dato che aveva solo due anni quando la fecero sfilare il martedì grasso con indosso una versione femminile e in miniatura del tradizionale costume).
Lo strappo ufficiale è avvenuto solo due anni fa, quando un gruppo di binchoises ha fondato la prima società esclusivamente femminile, le Ladies, “non per mettere in ombra i Gille”, spiegava la presidente Joëlle Brison, “ma semplicemente per divertirci”, sfilando mascherate il lunedì grasso. “Perfino io non concepirei, come binchoise, di avere una società nostra il martedì grasso. Ma il lunedì, a chi potremmo fare torto?”.
Uno strappo timido, e forse inutile, a sentire la rabbiosa Emma, che così ha commentato: “Sfilano il lunedì, ma è il giorno che nessuno vuole. Tutti se ne fregano”. Ma è pur sempre una svolta dopo secoli d’incrollabile monopolio maschile. L’edizione del carnevale di quest’anno, che si svolge dal 3 al 5 marzo, potrebbe riservare altre sorprese. E chissà che tra qualche decennio (o secolo), il museo fondato da Glotz non accolga una sala dedicata alle Gillette.