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Il salone del fumetto mette al centro i migranti e il Mediterraneo

Terraneo. Un mito illustrato, di Marino Amodio e Vincenzo Del Vecchio. (Gallucci)

Il Mediterraneo è stato il tema centrale del ventunesimo Comicon, il salone internazionale del fumetto di Napoli, che si è svolto dal 25 al 28 aprile 2019. Secondo festival di fumetti in Italia per importanza, dopo Lucca Comics & Games, Comicon ha scelto di mettere in primo piano Corto Maltese, Gipi – come ospite d’onore – e gli autori arabi e africani che raccontano le migrazioni. E tanto altro. In chiusura del festival è emerso un palmarès interessante, anche se non perfetto, compensato da un’ottima selezione.

Il Mediterraneo è qui da intendersi come antica culla di una comune civiltà, di tutti i suoi popoli, ma anche un po’ di tutti gli europei – soprattutto se si tiene conto della storia dell’Italia in cui sono confluite tante culture, a causa di invasioni e occupazioni, e dove però le molteplici influenze si sono risolte in una fusione, in un crogiolo unico di bellezza e creatività, investendo praticamente ogni ambito, da quello culinario all’artigianato, dal pensiero alle arti, comprese quelle popolari. Con tutto quello che ne è conseguito, anche in termini di risorse economiche per il nostro paese.

Oggi il flusso migratorio pone sfide complesse, ma anche nuove possibilità di fusioni, nuove opportunità di arricchimento, se non fosse per questa perenne politica della paura con la quale si svia dai problemi reali rendendoci meschini umanamente e moralmente, per un verso, immobili e incapaci di produrre rinnovamento o d’immaginare un futuro, dall’altro.

La centralità del mare e della migrazione
In vario modo, diverse iniziative e mostre hanno espresso questa centralità del migrante, del Mediterraneo e più in generale del mare. Per la mostra al Museo archeologico di Napoli (dal 25 aprile al 9 settembre 2019), incentrata sul personaggio di Corto Maltese piuttosto che sull’opera di Pratt nella sua globalità, si è scelto di declinare l’esplorazione delle sue storie soprattutto usando il tema del mare, ma anche delle donne, dei viaggi e in qualche modo del migrante.

Non è un caso. Perché Corto Maltese è “animato da una perpetua urgenza di libertà”, che rivela “un uomo leale e libero, cosmopolita, assetato di esperienza, praticamente nullatenente, lo sguardo elevato di continuo su orizzonti nuovi e sconosciuti”, insomma “un giramondo” che “sbeffeggia impavido gli antagonisti potenti senza essere invincibile, e protegge i deboli senza diventare retorico”, scrive il sindaco di Napoli Luigi De Magistris in apertura dell’imponente e lussuoso catalogo-libro, un cartonato su carta patinata, riccamente illustrato, che le omonime edizioni Comicon hanno pubblicato in occasione dell’esposizione.

Nella prefazione – non a caso intitolata Il mare di Corto Maltese – De Magistris mette in rilievo come il personaggio sia indissociabile dal mare nel quale in qualche modo è nato, poiché la sua prima apparizione in Una ballata del mare salato (1967) lo vedeva legato a una zattera nell’oceano Pacifico. “Un mare che nel fumetto di Pratt diventa lo spazio collettivo di un’umanità connessa attraverso la grande metafora del viaggio; un mare che accompagna all’esplorazione del mistero e alla conoscenza dell’altro”, un mare “grande protagonista di questo fumetto, e grande protagonista della storia della città di Napoli”.

Tra gli interventi critici pubblicati nel catalogo, sono significativi, in relazione alla questione mare e migranti, quelli di Elettra Stamboulis e Stefano Cristante su Corto Maltese. Perché non bisogna dimenticare che culturalmente siamo in fondo un po’ tutti meticci anche quando non siamo, come nel caso di Corto Maltese, figli di un marinaio del Galles e di una zingara andalusa.

Isole Yap, 1994, dalla mostra Corto Maltese: un viaggio straordinario.

All’estero, in particolare in Francia, quotidiani e riviste non si stancano mai di parlare dei loro classici del fumetto, vero anche nel caso di Corto Maltese e del suo creatore, Hugo Pratt, che pure sono espressione della storia del fumetto italiano. Da noi, non sempre è così e anche per questo, augurando successo a questa originale mostra, abbiamo voluto citare le parole del sindaco, acute, se non profonde. Rare, da parte di un rappresentante delle istituzioni.

Gipi è stato nominato Magister di questa edizione di Comicon che si avvale della direzione artistica di Matteo Stefanelli, sociologo, critico e direttore del sito Fumettologica. Il Magister, un po’ sul modello del festival internazionale del fumetto di Angoulême, in Francia, è un autore che, designato come principale ospite del festival, è oggetto di incontri e pubblicazioni, di una mostra personale, ma che può suscitare, in dialogo con il direttore artistico e l’équipe del Comicon, ulteriori mostre o dibattiti. Di solito presiede la giuria, anche se può declinare l’offerta come ha fatto quest’anno Gipi, lasciando così il compito alla disegnatrice e pittrice Cinzia Ghigliano.

Il lavoro di Gipi è stato a lungo al centro di un equivoco tra tematiche e maniera

Ci sono stati tre incontri a lui dedicati (più uno off festival all’accademia di belle arti di Napoli), due da lui condotti, tra cui quello in chiusura del festival sugli autori africani e arabi, e una mostra su alcuni suoi autori prediletti che affiancava la sua personale. Tutti eventi che hanno aiutato il pubblico, tra cui molti ragazzi, a delineare il percorso e la visione di uno degli autori più significativi su scala mondiale.

Il percorso artistico di Gipi, da sempre molto forte e originale, con gli ultimi due titoli (unastoria e La terra dei figli) ha espresso infatti due opere alte, anche rispetto ad altri mezzi espressivi – ricordiamoci della quasi candidatura al premio Strega per unastoria – e anche alte vette di ricerca grafico-espressiva, che ne fanno ormai uno dei maestri del fumetto italiano. Un Magister, appunto.

La mostra Gipi irreale. Sogni, futuri, spettri nell’opera di Gipi, come si può desumere dal titolo sovverte la visione comune, più banale, del suo lavoro: quella di autore ancorato al quotidiano, alla rappresentazione della realtà, nel raccontare il disagio esistenziale, quello giovanile prima, quello di uomo (im)maturo ora. La mostra, grazie a una scelta accurata delle sue tavole, esprime al meglio la sua capacità di creare visioni fantomatiche, esseri quasi dell’orrore dove l’incubo notturno e la realtà si equivalgono, creature espressione di qualcosa di terrificante e inconoscibile nascosto nelle pieghe della quotidianità più banale e, non di rado, più nera.

La lunga intervista che ha concesso alla nuova rivista del Festival, Comicon Plus, rivela come Gipi sappia bene che il fumetto è un mezzo d’espressione che trasfigura in modo naturale la realtà, contrariamente al cinema, che è invece ancorato in maniera naturale alla realtà dalla riproduzione fotografica (anche se gli effetti speciali digitali hanno stravolto questo concetto per quanto riguarda il cinema d’intrattenimento, soprattutto fantastico).

Il fatto che Gipi sia stato nella lunga prima fase della sua carriera il più grande esploratore del territorio e il più grande narratore del disagio giovanile nell’ambito del fumetto, superando in questo anche Andrea Pazienza, riuscendo a dare infine alla provincia un carattere di universalità che non si vedeva dai tempi del cinema di Federico Fellini, ha creato per lungo tempo un equivoco. Si sono confuse le tematiche con la maniera.

Il manifesto dell’ultima edizione del festival.

Mostra e intervista rimettono magistralmente le cose al loro posto. Gli ultimi due titoli pubblicati dal disegnatore toscano portano all’estremo quello che Stefanelli sintetizza perfettamente in apertura dell’intervista riferendosi alle opere della prima fase della sua carriera, quando parla di “un narratore in grado di abbandonarsi, con furore espressivo e disperata pietà, a osservare un’Italia dimenticata e incattivita, densa di energia vitale ma anche schiacciata da una cappa di frustrazione e incapacità di immaginare il proprio futuro”.

L’Italia di Berlusconi e Bossi, prima, di Salvini e Di Maio, ora, è tutta lì, e sono questi i mostri che Gipi disegna, eterei o grovigli di fuliggine d’inchiostro di china, mostri che sembrano crescere a dismisura. La terra dei figli è un’Italia, o forse anche il mondo intero, diventata ormai quasi una terra di nessuno, un’immensa no man’s land.

Gipi ha cominciato a fare romanzi a fumetti con una sorta di fantascienza apocalittica e allegorica (Appunti per una storia di guerra) e arriva al suo apice con una radicalizzazione della medesima formula in La terra dei figli. Riesce, però, ad ammaliare e, allo stesso tempo, ad affascinare il lettore. Gipi è un grande pessimista che malgrado tutto ama l’umanità, soprattutto i ragazzi, sempre sperduti e più o meno sempre rappresentati quasi come maschere simboliche dell’infanzia, quest’ultima a sua volta simbolo di purezza primigenia.

Facendoci vedere quello che manca, isolando l’assenza, suggerisce, forse anche oltre le sue intenzioni, quali debbano essere gli anticorpi per una rinascita. Questa è stata forse la prima occasione pubblica per capire meglio Gipi. Si rivela un nemico della realtà creata dal mondo adulto, con la quale arriva quasi alla colluttazione, come fa capire nell’intervista, ma che proprio per questo riesce ad auscultare nel profondo. Trasfigurandola.

Bella anche la mostra dei “figli” di Gipi o suoi fratelli minori (in termini anagrafici) spirituali, Gipi presenta: MNPSZ (che li ha anche visti protagonisti di un incontro moderato da Gipi): Giacomo Nanni (Atto di Dio, Rizzoli Lizard), Roberta Scomparsa (Canicola edizioni), Maicol & Mirco (Coconino press), Enrico Pantani, e la nuova arrivata Zuzu (Cheese per Coconino press). L’alternarsi delle tavole ha permesso di confrontare cinque visioni di autori fuori degli schemi, più o meno anarchici, e molto diversi gli uni dagli altri.

Dalle altre sponde
Migrando, gridando, sognando. Storie di migranti nello sguardo del fumetto mediterraneo è una splendida mostra, anche migliore di una analoga presentata l’anno scorso al festival di Angoulême, su un crescendo di autori e autrici, sia in quantità sia in qualità, che vivono in Africa e in Medio Oriente. Questa è una mostra ispirata proprio da Gipi, che aveva chiesto espressamente qualcosa sull’Africa, e poi affinata e ampliata dalla direzione artistica del festival ai paesi mediorientali come il Libano, ma anche ad alcuni italiani come Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso (Salvezza, Feltrinelli Comics), Gianluca Costantini in coppia con la giornalista Francesca Mannocchi, e lo stesso Gipi (autore dello splendido racconto Dramma marocchino, su un ragazzo marocchino, pubblicato per la prima volta in Italia da Internazionale alcuni anni fa).

Gli autori dell’area erano invece il tunisino Othman Selmi (autore di diverse Cartoline nello spazio di Graphic journalism di Internazionale), Ahmed Ben Nessib (allievo di Stefano Ricci anche lui pubblicato più volte su Internazionale), il libanese Barrack Rima (autore di alcuni lavori pubblicati sempre su Internazionale, ha appena pubblicato in Italia il suo primo libro, Trilogia di Beirut, per le edizioni Mesogea) e la scoperta di alcuni autori, non presenti a Angoulême, che sembrano molto interessanti, come l’algerino Salim Zerrouki, e due autrici, la tunisina Nadia Dhab, e Maya Mihindou del Ghana. Particolarmente sorprendente quest’ultima. Nata nel 1984, Mihindou è una illustratrice, fotografa e “guerrilla reporter”, come si definisce, che lavorando in maniera matura e forte sulla costruzione della tavole per mezzo di uno stile grafico indubbiamente personale, focalizza il suo lavoro sulle “identità precarie, sradicate e sul femminismo sociale”. Un bell’affresco che completa la citata mostra di Angoulême e compensa con queste scoperte l’assenza di autori egiziani, forse in questo momento il vivaio di talenti più interessante in quelle aree del Mediterraneo.

Tango, fughe e pugni
Il fumetto mediterraneo comprende anche chi è esule da lontani paesi latini. Jorge González è nato in Argentina, ma vive da anni in Spagna, ed è certamente un autore di primo piano del fumetto contemporaneo.

L’istituto Cervantes di Napoli dedica la mostra Omaggio a Jorge González (dal 27 aprile al 31 maggio) a questo autore dal segno profondo e dai colori pittorici eclatanti, che racconta molto bene temi gravi e impegnativi. Collaboratore anche lui dello spazio di Graphic journalism di Internazionale, è prima di tutto autore, e coautore, di alcuni graphic novel che hanno attirato l’attenzione della critica internazionale, tutti pubblicati in Italia da 001 edizioni. Opere come Fueye, il suono del tango, o lo splendido Cara Patagonia, dove in 300 pagine ibrida romanzo, saggio storico e graphic journalism. Sceneggiato insieme ad Alejandro Aguado, Hernán González e Horacio Altuna, Cara Patagonia, come sottolinea il comunicato stampa, “è un’opera monumentale, stordente, autobiografica e anche etnografica”. O ancora il notevole Ritorno in Kosovo, che dà vita alle memorie dell’amico musicista e fumettista Gani Jakupi. E infine, L’ombra di Allende, in uscita in questi giorni per le edizioni 001, biografia del presidente cileno sceneggiata insieme a Olivier Bras, le cui splendide tavole sono esposte all’istituto Cervantes.

Redrawing stories from the past.

Inoltre, altre mostre significative, di cui diamo conto velocemente, sono state: Redrawing stories from the past (Goethe Institut di Napoli dall’8 aprile al 6 luglio dopo l’anteprima alla Mostra d’oltremare) è la selezione di alcune tavole, davvero molto belle, di giovani autori di talento come l’italiana Alice Socal, la francese (ma residente in Italia) Emilie Josso, la lituana Lina Itagaki e la tedesca Julia Kluge, per “raccontare storie di fuga e migrazione come risultato del nazionalsocialismo” tedesco. Il risultato ci pare davvero fine e interessante, per quello che abbiamo potuto vedere, e speriamo in un’edizione italiana; Serge Clerc (Institut français di Napoli dal 26 aprile al 3 maggio) è dedicata a uno dei nomi mitici della new wave del fumetto francese anni ottanta. Quasi del tutto inedito in Italia, è un maestro della stilizzazione che trova un equilibrio quasi unico tra il design glaciale postmoderno e il fumetto caldo del passato, basato sulle atmosfere. Oblomov edizioni lo porta ora in Italia con uno dei suoi titoli di maggior successo oltralpe, La nuit du Mocambo.

La mostra The art of pugni è un’originale mostra pop che celebra a suo modo i novant’anni di Braccio di ferro (creato nel 1929 da Elzie C. Segar). Mettendo insieme politica e didattica, è dedicata al pugno come icona grafica, a cominciare dal pugno sinonimo di ribellione allo status quo, e di come, in parallelo, il fumetto lo abbia declinato continuamente nei modi più diversi e inattesi. Aneddoto interessante, l’unico pugno nel storia del fumetto dato a un fascista è probabilmente quello di Corto Maltese a una camicia nera in Fiaba di Venezia.

Alcune iniziative permettono di coniugare la connotazione pop, gradita ai più giovani, con un approfondimento di tipo culturale

Nel complesso, prima di dedicare qualche riga ai premi, la prima edizione del Comicon diretta da Matteo Stefanelli era, come ci si attendeva, un primo importante lavoro per riorganizzare un festival già di successo e ampliare la sua dimensione culturale, pur tenendo conto della sua connotazione da sempre un po’ pop, con la già citata esposizione The art of pugni o con Epoxy di Paul Cuvelier, una mostra su una vignetta porno – o presunta tale perché oggi fa sorridere pur mantenendo la sua seduzione – che ha avuto una serie infinita di copiature nel nostro paese perché pubblicizzata dalla copertina di un’enciclopedia del fumetto della Sansoni.

Sono iniziative che permettono di coniugare la connotazione pop, gradita ai più giovani, con un approfondimento di tipo culturale, soprattutto sociologico, evidenziando la dimensione latente, quasi da arte concettuale, presente in questa impostazione. Servirà forse una maggior connessione tra i vari segmenti – compreso quello dei videogiochi sul quale non ci soffermiamo e rimandiamo al sito del festival per ogni informazione – in modo da dare il giusto risalto all’insieme, comprese le esposizioni storiche come quella che ci ha fatto riscoprire l’opera di Casimiro Teja, raffinato e poetico pioniere del fumetto italiano.

Questa filosofia di rinnovamento comprende, e si riflette, in strumenti comunicativi come la bella ed elegante nuova rivista del festival, la già citata Comicon Plus (otto euro, richiedibile alle edizioni Comicon), sempre diretta da Matteo Stefanelli, che alterna elementi pop, come la fine di Game of thrones o La valigia del Cosplayer, con lunghe interviste, come quella a Gipi, o con interventi critici su Pratt o ancora su Massimo Mattioli, accompagnato da un racconto breve dell’autore del celebre coniglietto Pinky che Coconino press riporta in questi giorni nelle librerie (mentre Comicon edizioni propone un volume che raccoglie lavori disparati e meno noti di Mattioli).

Il successo dell’edizione 2019 – con il record di 160mila visitatori – rispetto a quella scorsa dimostra l’efficacia di questo rinnovamento. Il tutto in un mercato che subisce un’importante evoluzione. Stefanelli ha infatti reso noti i risultati del primo studio sulla produzione a fumetti in Italia nel 2018: 5.963 i titoli usciti, quasi il doppio di quelli spagnoli e superiori a quelli francesi.

Tuttavia non bisogna dimenticare che le tirature francesi restano ancora lontane, soprattutto per il fumetto popolare venduto in libreria, e dove un nuovo Asterix o Lucky Luke, per fare due esempi di serie ben note anche da noi, raggiunge tirature e vendite astronomiche, se confrontate alle nostre. Un obiettivo, quello di Comicon 2019, raggiunto anche senza star del fumetto statunitense ma “solo” con star del fumetto d’autore o del fumetto popolare italiano. Autori come Gipi, Giovanni Ticci, uno dei disegnatori più amati di Tex, l’inglese Dave McKean, Manara.

Comicon, aprile 2019.

E Igort, venuto a presentare in anteprima mondiale nella gigantesca sala dell’Auditorium i primi sei minuti di Cinque è il numero perfetto – protagonista Toni Servillo – tratto dal suo omonimo noir a fumetti, un capolavoro dal successo internazionale. I primi sei minuti del film, quasi terminato nel montaggio, ci sono sembrati sensazionali. Un prologo al limite del pirotecnico, del tutto inedito rispetto al fumetto d’origine, con un notevole lavoro di regia e una fotografia livida e sensuale insieme, con sullo sfondo una città e un immaginario, stanchi, macilenti, ma che nonostante questo sprigionano energia, empatia e poesia. Staremo a vedere per il resto.

Palmarès non del tutto convincente
La serata della consegna dei premi Micheluzzi è stata condotta dallo stesso direttore artistico, Matteo Stefanelli. Il palmarès però, malgrado la competenza e l’intelligenza della presidente della giuria, Cinzia Ghigliano (gli altri membri erano il cantautore Colapesce, lo scrittore Fabio Genovesi, il giornalista Alessandro Beretta e l’attrice Valentina Lodovini), non ci convince del tutto.

Se la selezione dell’équipe diretta da Stefanelli è eccellente – e nella quale a nostro avviso brilla una sola assenza eclatante, quella di Pompei dello statunitense Frank Santoro (001 edizioni) –, non ci convince, per esempio, il premio come miglior graphic novel straniero a La mia cosa preferita sono i mostri della statunitense Emil Ferris (Bao publishing), e questo per due motivi.

Il primo è di opportunità: avendo già vinto due premi analoghi ai festival di Lucca Comics e di Angoulême in Francia si poteva forse lasciare spazio ad altri; il secondo, più profondo, è che l’opera non ci convince realmente sul piano artistico. Non si può negare l’originalità dell’impostazione e il fatto che colga uno spaccato storico complesso, dove il ‘68 americano e la contestazione radicale della società si intrecciano al dramma dell’olocausto, oltre a una disamina della famiglia americana e della questione femminile.

Tuttavia in quest’opera di oltre 400 pagine, troppi sono i segmenti di testo scritto con illustrazioni e troppo pochi quelli di fumetto e, oltre a rendere faticosa e non fluida la lettura, non c’è quasi mai l’osmosi miracolosa tra testo e disegno che rende così difficile dire dove inizi il talento narrativo e quello grafico, e viceversa, talmente fanno corpo unico. Vale a dire che è assente la caratteristica di tutti i grandi del fumetto. Inoltre, il segno grafico di Ferris è di scarsa personalità ed è ben visibile che cerca di supplire a questo mescolando tecniche diverse, compresa la penna biro. A volte riescono anche immagini di rara potenza, più spesso effetti speciali un po’ estetizzanti. Tutti gli altri titoli erano maggiormente convincenti, in particolare Ragazze cattive della sudcoreana Ancco (Canicola), di cui Internazionale ha pubblicato un anticipazione, straordinario spaccato di società e di marginalità, e ancor più, un capolavoro assoluto come Sabrina dello statunitense Nick Drnaso (Coconino Press). Un capolavoro, tra le altre cose, nel rappresentare in maniera universale l’ambiguità e la follia del mondo contemporaneo, partendo dal microcosmo della provincia statunitense. E mantenendo un eccellente rapporto tra testo e disegno.

Passando invece al premio per il miglior fumetto italiano – il premio principale del festival – andato a Super Relax di Dr. Pira, se non è il titolo migliore della selezione è tuttavia un’opera molto riuscita nel suo insieme, di una bella profondità dietro l’apparente semplicità, originale e fortemente empatica, oltre a rilassare davvero. Inoltre ci piace che sia andato un riconoscimento a un autore simpatico e umile, uno dei pochi casi realmente riusciti in questo abuso ormai straripante di fumetti dal disegno-scarabocchio e minimale, una tendenza che nasconde una facilità e una povertà nella complessità dei piani di lettura. Anche qui altri titoli della selezione erano più forti, come Atto di Dio di Giacomo Nanni, che però già beneficiava della spinta di Gipi, e lo straordinario L’incanto del parcheggio multipiano di Marino Neri (Oblomov).

L’esempio calzante di questa tendenza in negativo è Romanzo perfetto di Fumettibrutti (Feltrinelli Comics) a cui è andato il premio della miglior opera prima; mentre per la miglior edizione di un classico, se tutta la selezione era notevolissima avremmo preferito che fosse segnalato al pubblico la Storia della Santa Russia di Gustave Doré (Eris edizioni), anche se non abbiamo davvero nulla contro lo spassosissimo e profondo Diario di un giovane mediocre di Gérard Lauzier, tanto più che l’edizione di Rizzoli Lizard è curatissima; nulla da dire invece sugli altri premi, dei quali vogliamo salutare lo straordinario e iconoclasta Tramezzino di Paolo Bacilieri, premiato per il miglior disegno, volume dal formato gigante edito dalle coraggiose edizioni Canicola; il premio alla miglior serie, è andato a Mercurio Loi (Sergio Bonelli Editore), un capolavoro del seriale, anche se paragonato al livello internazionale, in cui lo sceneggiatore Alessandro Bilotta, complici le copertine acquarellate di Manuele Fior, costruisce in realtà un fumetto sia popolare sia d’autore. Un fumetto di poesia e filosofico, surreale, profondo e divertente, notevolmente ben scritto, ambientato nella Roma papalina di inizio ottocento – tra moti carbonari ed enigmatici assassini – della quale è mostrata l’implacabile macchina repressiva quasi scissa dal mondo ecclesiastico. Ora la serie si è appena conclusa in edicola, ma torna in questi giorni in libreria.

Il premio giovani letture è invece andato ad Ariol vol. 1 e 2 di Emmanuel Guibert e Marc Boutavant (Becco Giallo), uno dei più bei fumetti per l’infanzia degli ultimi trent’anni al livello mondiale, finalmente tradotto anche in Italia. Le sceneggiature di Guibert entrano con finezza nella dinamica della psicologia infantile, Boutavant ha un segno raffinato, preciso e dall’espressività perfetta. Un fumetto per i bambini più piccoli, ma imperdibile anche per ragazzi e adulti.

Il premio Nuove strade, in collaborazione con il Centro fumetto Andrea Pazienza, che in passato ha lanciato molti talenti (come Marino Neri), è stato assegnato alla giovane e talentuosa Eliana Albertini. A Giovanni Ticci, uno dei padri grafici di Tex, al quale era dedicata una mostra, è andato il premio Speciale alla carriera assegnato dalla direzione del festival, incantando per la sua umiltà di altri tempi durante la premiazione. Complimenti e auguri a loro e appuntamento a Comicon 2020.

Il catalogo Corto Maltese. Un viaggio straordinario, con testi di Francesco Boille, Laura Scarpa, Elettra Stamboulis e Stefano Cristante, sarà distribuito da Messaggerie e in vendita in libreria e online dal 23 maggio.

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