La marcia su Berkeley dell’estrema destra statunitense
All’inizio di aprile, mentre gli agitatori politici dell’estrema destra progettavano una manifestazione a Berkeley, in California, ho sentito dire che tra loro ci sarebbero stati anche alcuni esponenti del movimento Three Percenters. Visto che l’anno scorso mi sono infiltrato nelle milizie paramilitari attive al confine con il Messico, il 15 aprile sono andato al parco Martin Luther King Jr. per osservare i militanti della destra che si preparavano al raduno “in difesa della libertà di espressione” nella storica città universitaria.
Gli anarchici e gli attivisti di sinistra – convinti che il riferimento alla “libertà di espressione” fosse solo una copertura per organizzare una riunione di suprematisti bianchi e gruppi fascisti – hanno organizzato una contromanifestazione . Ecco il racconto di quello che ho visto.
Alle 10.45 arrivo al parco, che è circondato da una rete di plastica arancione alta un metro. Fa caldo. La polizia controlla le borse e confisca qualsiasi cosa possa essere considerata un’arma. Sequestrano coltelli, spray urticante, una pistola stordente, spray contro gli orsi, il manico di un’ascia e una lattina piena di cemento. Il parco è diviso in due da un’altra rete di plastica che crea un argine di un paio di metri tra il campo degli attivisti di sinistra, dove ci sono soprattutto gli antifascisti o antifa vestiti di nero, e quello dei manifestanti della destra, con i cartelli a sostegno di Trump e le bandiere degli Stati Uniti. Gli antifascisti mostrano un grande striscione con la scritta “Merda fascista è arrivata la vostra ora”. Si sentono molte grida. La polizia in assetto antisommossa forma un cordone a separare i due gruppi.
Nello schieramento di destra ci sono quasi solo uomini
Vado nel settore della destra. C’è un gruppo di uomini bianchi con i capelli pettinati all’indietro che indossano delle maschere da teschio e urlano contro quelli della sinistra. Tiro fuori il telefono e comincio a filmare.
“Sei dei nostri?”, chiede uno. “Sono un giornalista”, rispondo. “Allora togliti dai coglioni”, interviene un altro spingendomi. Continuo a filmare.
“Fake news!”, mi urla in faccia un tizio dentro un megafono. Si allontana e comincia a dire: “Costruiamo un muro!”. Poco lontano sento per caso due uomini che parlano del loro nazionalismo bianco. Uno imbraccia uno scudo costruito con uno skateboard e dipinto con la bandiera del sole nero dell’odinismo, un simbolo pagano usato dai neonazisti. Quando li fotografo, entrambi fanno il saluto nazista. Un altro uomo, con una bandiera americana avvolta intorno alla faccia, mi spiega di essere qui per difendere la “civiltà occidentale”. Nathan Domingo, 30 anni, ex marine a capo del gruppo suprematista bianco Identity Evropa, gironzola tra la folla. Più tardi sarà ripreso mentre dà un pugno in faccia a una donna durante uno scontro. Dopo che il video è diventato virale la donna, Louise Rosealma, ha rivelato di aver subìto molestie e minacce di morte.
Nello schieramento di destra ci sono quasi solo uomini. Alcuni indossano caschi da motociclista, occhiali da sci, guanti e varie maschere. Uno ha una maglietta con la scritta “Fiero sostenitore del muslim ban”, il divieto di entrare negli Stati Uniti per i cittadini provenienti da alcuni paesi a maggioranza musulmana. Un’altra maglietta recita “Orgoglio etero”. Non sono tutti bianchi. Un latinoamericano con una giacca protettiva se ne va in giro urlando “latinos per Trump!”.
In cerca di un nemico
In totale ci sono poche centinaia di manifestanti. Quelli di destra sono leggermente più numerosi. In prima linea tra i sostenitori di Trump c’è un uomo bianco con un elmo da spartano e una cresta rossa, bianca e blu. Ha una videocamera GoPro sul petto, i pantaloni con la bandiera statunitense e una bandiera di Trump sulle spalle, come un mantello. Una donna accanto a lui, con un cappello rosa con lo slogan Maga (Make America great again) e la bandiera statunitense dipinta su una guancia, grida all’antifascista davanti a lei: “Sei un terrorista pezzo di merda!”.
Alla fine della mattinata un gruppo di persone si raduna davanti a un palco. I miliziani del Three percenters, che indossano tute mimetiche, osservano la folla. Tra gli oratori c’è Brittany Pettibone, una scrittrice di destra che sostiene la teoria complottista del “genocidio bianco”. Un uomo del gruppo Based in La si identifica come “gay, cristiano e sostenitore di Trump”, e mi dice: “Se vuoi chiamarmi frocio puoi farlo”.
Kyle Chapman, chiamato anche Based stickman, sale sul palco. È diventato un simbolo degli scontri in strada dopo l’uscita di un video in cui rompe un cartello stradale di legno sulla testa di un attivista antifascista. “È arrivato il momento di reagire all’attacco contro gli americani che amano la libertà!”, spiega. “Questa aggressione viene dai mezzi d’informazione, dai funzionari governativi corrotti, dal capitalismo criminale e dal sistema scolastico che indottrina i nostri ragazzi. È una forma di terrorismo domestico!”, aggiunge indicando il fronte della sinistra. La folla esulta.
In alcuni momenti sembra di essere in una zona di guerra
Verso mezzogiorno un gruppo di persone vestite di nero risale la strada con un impianto audio che diffonde Fdt (Fuck Donald Trump), la canzone di YG. Gli antifascisti si riversano in strada, scandendo lo slogan “Donald Trump vaffanculo”. I sostenitori di Trump rispondono con “Usa! Usa!”. I rivali si guardano dritti in faccia. Cominciano a volare bottiglie e pietre e centinaia di persone si precipitano nella mischia. La battaglia continua per un paio d’ore. La polizia antisommossa non interviene. Due uomini che sembrano poliziotti filmano la scena da un tetto poco lontano. In alcuni momenti sembra di essere in una zona di guerra, ma la violenza diventa presto ritualizzata e prevedibile.
Alle due del pomeriggio i sostenitori di Trump lanciano una carica lungo una strada che porta al centro di Berkeley. Un gruppo di antifascisti piazza una transenna in mezzo alla strada, ma quelli di destra sfondano la barriera. Un uomo con una maschera da teschio sferra un calcio a un antifascista. Tutti tossiscono a causa dei gas lacrimogeni.
Nell’ora successiva gli scontri continuano a ondate. Un tizio di destra urla: “Siete finanziati da Soros! Combattete per lui!”. Un altro tira fuori un coltello ma si ritira quando un gruppo di antifascisti lo circonda. A un isolato di distanza i poliziotti restano in piedi accanto alle loro auto. Mi avvicino a uno di loro e chiedo perché non sono intervenuti nelle ultime due ore. Alza le spalle. “Lo chieda al capo della polizia”. Alla fine della giornata verranno arrestati più di venti manifestanti con accuse come aggressione con arma mortale e percosse.
A metà pomeriggio, mentre il raduno si conclude, molte persone puntano le telecamere verso Chapman: “Boston, Seattle, stiamo arrivando”, annuncia, “non potrete più privarci dei nostri diritti”. Un uomo accanto a lui, con la barba, gli occhiali, un casco da ciclista e una maglietta di Capitan America sfodera il suo miglior grido di battaglia: “Ahh!”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Shane Bauer sarà al festival di Internazionale a Ferrara il 1 ottobre per parlare dell’immigrazione al confine tra Messico e Stati Uniti con Óscar Martínez e Alexandra Délano Alonso.
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista statunitense Mother Jones.