Costruire una bambola, passeggiare insieme, disegnare una mappa di sé, impegnarsi nel teatro degli oppressi, fare un collage. Queste sono solo alcune delle pratiche raccontate nel libro Metodi creativi per la ricerca sociale, che sistematizza e introduce in Italia una serie di metodi ormai affermati a livello internazionale. Si definiscono “creativi” nel senso che coinvolgono chi partecipa nel fare e nel creare qualcosa, costruendo insieme i risultati di ricerca.
Gli aspetti centrali sono tre. Primo, si tratta di fare ricerca con le persone invece che sulle persone: è importante quindi riconoscere il valore di tutte le voci di chi partecipa, non solo quella di chi fa ricerca di mestiere. Secondo, si intende la ricerca come un processo, un incontro per restare aperte all’inatteso e imparare anche dai silenzi, dai dubbi, dalle crisi. Terzo, le persone sono corpi, non solo mente: con il corpo si fa esperienza del mondo, si produce e riproduce la società.
L’intenzione è costruire studi in grado di considerare le esperienze sensoriali oltre alle parole, per cogliere la complessità dell’esperienza. Anche perché non tutto si riesce a esprimere verbalmente. Sono metodi complementari agli approcci tradizionali, capaci di innescare forme nuove di partecipazione, generare risultati inaspettati, rivelare associazioni non altrimenti evidenti e consentire la rappresentazione della complessità dell’esperienza umana e sociale.
Situare nella silhouette del proprio corpo cosa si prova a camminare per strada da sole in alcuni luoghi delle città, per esempio, restituisce un quadro di come le donne vivono gli spazi urbani molto più ricco di quello che si potrebbe cogliere solo con le parole. I metodi creativi si rivelano utilissimi anche per diffondere i risultati delle ricerche: l’uso del fumetto nella ricerca medica ne è un ottimo esempio.
Questi metodi sono influenzati soprattutto da quello che arriva dai margini, che sono spesso i luoghi più creativi. Della prospettiva femminista sono qui centrali gli elementi dell’etica della cura e della reciprocità, e l’importanza del posizionamento, bisogna cioè esplicitare sempre “da dove” si parla, dove si è situati nell’infrastruttura sociale (età, provenienza culturale, genere, ecc.). Gli approcci indigeni e postcoloniali invitano a trattare con rispetto chi partecipa e a considerare che il modo nordoccidentale di conoscere e organizzare il sapere non è l’unico possibile.
Importanti sono anche i metodi di ricerca partecipativa, come per esempio quelli che usano l’arte. L’Italia, grazie anche alle tradizioni dell’inchiesta sociale e della conricerca e alle innovazioni di tante ricercatrici dentro e fuori dalle università, è uno spazio fertile per l’uso dei metodi creativi nella ricerca.
Per noi si tratta di mettersi in gioco e aprirsi all’insolito. Per chi partecipa è un modo per esplorare sé e il mondo impegnandosi in pratiche diverse da quelle abituali, per chi fa ricerca è uno stimolo all’innovazione, al pensiero laterale, all’attraversamento di confini. Per questo i metodi creativi sono uno strumento utile in particolare nei momenti di crisi e trasformazione, come quello in cui siamo immerse in questo periodo.
Alberta Giorgi è ricercatrice presso il dipartimento di lettere, filosofia e comunicazione all’università degli studi di Bergamo.
Alberta Giorgi, Micol Pizzolati, Elena Vecchi, Metodi creativi per la ricerca sociale. Contesto, pratiche, strumenti, Il Mulino (2021)
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