Che ci sia un problema di spazzatura lasciata per le strade, almeno in alcune grandi città, è ben noto a molti di noi, spesso costretti a cambiare marciapiede per aggirare i cumuli d’immondizia. Che ci sia un problema di spazzatura nel cielo intorno alla Terra, è invece qualcosa di poco noto.
Dallo Sputnik 1 nel 1957 a oggi, sono stati lanciati migliaia di satelliti, alcuni dei quali – a seguito di esplosioni o collisioni – hanno generato una moltitudine di frammenti, grandi e piccoli, che orbitano intorno al nostro pianeta a diverse altitudini: bulloni, scaglie di vernice, polveri, stadi di razzi.
A questi si aggiungono oggetti persi durante le missioni spaziali: il guanto di un astronauta, una macchina fotografica, un paio di pinze. Oggi si stima che intorno alla Terra ci siano 36.500 oggetti più grandi di 10 centimetri, un milione con dimensioni tra 1 e 10 centimetri, 330 milioni tra 1 millimetro e 1 centimetro. A causa della loro alta velocità, l’impatto con un detrito spaziale può provocare danni importanti a satelliti operativi.
Negli anni settanta un consulente della Nasa, l’astrofisico statunitense Donald J. Kessler, ha previsto che i detriti aumenteranno al punto che la Terra sarà avviluppata da una coltre di rifiuti che impedirà le attività spaziali per molte generazioni future.
È uno scenario apocalittico, ma certamente non irrealistico se non si adottano delle regole per stabilire come sbarazzarsi dei satelliti al termine della loro vita operativa. È altrettanto fondamentale sviluppare opportune strategie di mitigazione per minimizzare i danni che possono essere causati dai detriti spaziali, eventualmente spostandoli in regioni sicure, come le cosiddette orbite cimitero.
Dunque, lo studio delle traiettorie dei detriti spaziali è di grande importanza per la salvaguardia del nostro pianeta. Di questo argomento si occupa il progetto di ricerca europeo Stardust Reloaded, nato con lo scopo di esplorare lo sfruttamento degli asteroidi e rendere l’uso dello spazio sostenibile.
Insieme ai ricercatori Giuseppe Pucacco e Tudor Vartolomei, ho studiato un metodo matematico per associare gruppi di detriti spaziali ai satelliti che li hanno generati. In altre parole, l’esplosione di un satellite produce frammenti che, con il passare del tempo, si sparpagliano nello spazio. Diventa quindi difficile capire da quale oggetto provengano. Qui entra in gioco la matematica attraverso la teoria delle perturbazioni, usata già nel diciottesimo secolo per studiare le orbite dei pianeti.
Questa teoria consente di calcolare delle quantità matematiche, chiamate “elementi propri”, che rimangono invariate nel tempo. È come se a ogni frammento si associasse un’impronta digitale, l’elemento proprio, una quantità che assume lo stesso valore al momento dell’esplosione, dopo mesi o addirittura anni.
Il calcolo degli elementi propri può essere un efficace strumento per ricollegare i detriti al satellite che li ha generati, consentendo quindi di rintracciare l’oggetto che ha causato l’aumento di spazzatura spaziale, il “responsabile”. Speriamo accada il meno possibile ma, se dovesse servire, sapremo a chi chiedere di fare pulizia nello spazio!
Alessandra Celletti è professoressa presso il dipartimento di matematica dell’università di Roma Tor Vergata.
A. Celletti, G. Pucacco, T. Vartolomei, Reconnecting groups of space debris to their parent body through proper elements, Nature Scientific Reports (2021)
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