L’assenza di una significativa formazione di sinistra nel paese che ha avuto il partito comunista più forte dell’occidente resta uno dei misteri politici italiani, oltre che un’anomalia rispetto al resto dell’Europa meridionale (Portogallo, Spagna, Francia, Grecia). Oggi questo vero o presunto spazio elettorale è diventato il terreno di caccia del Movimento 5 stelle, che a Mario Draghi ha presentato un conto tutto sul terreno dei diritti sociali e della difesa dei ceti più deboli.
Sarebbe però un equivoco pensare, come ha fatto qualcuno, a un nuovo “partito laburista”. Quel modello si basava su un blocco produttivo omogeneo (la classe operaia) al cui centro c’era appunto il lavoro. Al contrario, il Movimento 5 stelle può solo tentare di mettere in rete disagi sociali diversi e non in contatto tra loro: precari, lavoratori poveri, disoccupati, neet, partite iva ai minimi, ceto medio impoverito. Né ha una catena di trasmissione con il sindacato, nonostante il recente gioco di sponda con la Cgil. E neppure è radicato nei corpi intermedi territoriali, come sono stati per la vecchia sinistra l’Arci, le Case del popolo e altri. Infine, le istanze sociali dei cinquestelle sono sempre state non già laburiste ma semmai redditiste: fondate cioè sull’idea che la robotica e l’intelligenza artificiale elimineranno il lavoro e quindi i salari, pertanto l’unica possibilità di salvare il meccanismo di produzione-consumo sta in un reddito sganciato dal lavoro, tratto dalla fiscalità sui profitti delle “over the top” digitali.
Detto questo, resta molto incerto se quella dei cinquestelle è una vera trasformazione identitaria o solo una tattica per non sparire alle prossime elezioni. Nel primo caso servirebbe una costruzione seria e faticosa per radicare una nuova cultura economico-sociale e generare un gruppo dirigente che di quella cultura si faccia portatore in politica. E servirebbe un intreccio quotidiano con l’universo dei corpi associativi che nella loro storia il movimento ha finora snobbato, ispirandosi al principio opposto, quello della disintermediazione digitale e individualista.
Rischia quindi di essere più probabile il secondo scenario, cioè una “svolta” sociale e socialista di breve durata, una campagna di marketing in vista delle elezioni. Se così fosse, si tratterebbe di un’ennesima beffa per la base della piramide sociale, da anni orfana di una rappresentanza politica e per questo ondeggiante tra populismi, astensionismi ed effimeri innamoramenti verso capi carismatici di destra.
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