Dall’Antigone di Sofocle alla Colombina goldoniana, dalla madre coraggio di Brecht alla Nora di Ibsen: sono tanti i personaggi femminili che hanno fatto la storia del teatro, ma il dato evidente è che sono stati tutti creati da uomini. Oggi, qual è la presenza delle donne nei teatri italiani? Registe: 21,6 per cento. Drammaturghe: 20,7 per cento. Attrici: 37,5 per cento. Curatrici di adattamenti: 31,8 per cento.
Lo rivela la mappatura realizzata da Amleta, associazione fondata un anno fa da 28 attrici per raccogliere dati e contrastare le discriminazioni di genere nel mondo dello spettacolo. L’indagine ha preso in considerazione i sei teatri nazionali, i 18 Tric (teatri di rilevante interesse culturale) e la fondazione Piccolo teatro di Milano: gli enti, dunque, che ricevono i maggiori finanziamenti pubblici, che ospitano gli spettacoli più importanti e che attirano più spettatori.
“Siamo partite dalle stagioni pubblicate dal 2017 al 2020: ci siamo procurate i programmi di sala, prendendo in esame i nomi che comparivano, e abbiamo cominciato a contare”, racconta la presidente di Amleta, Cinzia Spanò, attrice e autrice teatrale. “Abbiamo sfruttato il periodo del lockdown e i numeri ci danno una fotografia reale che conferma una sensazione che avevamo da tempo: quella di una palese inferiorità numerica delle donne”.
Non solo le donne sono meno rispetto agli uomini, ma sono anche meno presenti sui palcoscenici principali. Prendendo in considerazione solo quelli, infatti, le percentuali scendono ulteriormente: registe 17,1 per cento; drammaturghe 14,6 per cento; attrici 35,9 per cento; curatrici di adattamenti 28,2 per cento.
Le stanze di Barbablù
La mappatura rivela anche la sconcertante assenza di donne nei ruoli di direzione: su 25 teatri, solo 6 sono diretti da donne. Nei sei teatri nazionali non ci sono direttrici; o meglio, ce n’era una, poi quel teatro è stato retrocesso a Tric.
“Il paradosso è che in platea il pubblico è formato soprattutto da donne, che pagano biglietti e abbonamenti per sentirsi raccontare storie scelte, scritte e dirette da uomini”, continua Spanò.
“Non è che il punto di vista maschile sia sbagliato di per sé, ma così si perde la funzione del teatro come specchio della molteplicità della realtà”.
Quando poi si tratta di donne non bianche, i numeri rasentano lo zero: “Non c’è una sola protagonista nera né una regista o una drammaturga”, afferma l’attrice e attivista Ira Fronten, venezuelana afrodiscendente. “Gli uomini neri qualche volta salgono sul palcoscenico, ma con ruoli marginali e non nei teatri nazionali.
Quando io vado a fare i provini mi chiedono di impoverirmi, di apparire più sciatta o di parlare male l’italiano, perché le parti riservate alle donne di colore sono sempre stereotipate”.
Oltre alla mappatura, il team di Amleta sta lavorando a due nuove ricerche: è stato elaborato il test sulle drammaturgie, per valutare quanto spazio è dato alle figure femminili e come sono rappresentate, ed è stato stilato un questionario sulle difficoltà della genitorialità nel mondo dello spettacolo. Ma la vera rivoluzione l’ha fatta l’attività di denuncia delle violenze di genere nel mondo del teatro: a novembre, in occasione del mese dedicato al contrasto alla violenza di genere e sulla scia del movimento francese #MeTooThéâtre, Amleta ha lanciato la campagna Apriamo le stanze di Barbablù.
“È stato come scoperchiare il vaso di Pandora”, spiega l’attrice Francesca Turrini, vicepresidente di Amleta. “Ci sono arrivati moltissimi messaggi. La violenza nel teatro è endemica: tutti sanno, ma nessuno dice niente”.
Finto regista e falso provino
Oltre alla campagna di sensibilizzazione, Amleta mette a disposizione uno spazio protetto, Osservatoria, che offre sostegno alle vittime di violenza e attiva percorsi di accompagnamento legale e contributi alle spese processuali, in collaborazione con le avvocate del centro antiviolenza Differenza Donna.
“Ci arrivano due o tre denunce ogni giorno: le violenze spaziano da improperi, commenti non richiesti, molestie verbali, fino all’aggressione fisica o al vero e proprio stupro”, dice Spanò. “Le attrici sono la categoria più esposta, perché lavorano con il corpo e nell’interpretazione si devono spogliare di una serie di limiti e freni e abbandonarsi alle mani del regista: una situazione in cui è difficile capire il confine tra arte e violenza, tra creatività e abuso. Il provino, in particolare, è il luogo della violenza per eccellenza: molti registi sfruttano il ricatto del lavoro per far capire alle attrici che, se sottostanno alle loro condizioni, ottengono la parte”.
Seppur con numeri inferiori, le vittime non sono soltanto le donne: anche alcuni uomini hanno scritto ad Amleta per denunciare abusi, anche se chi commette la violenza è sempre uomo. In un caso si è anche arrivati all’arresto di un finto regista che realizzava falsi provini per aggredire attrici. “Lui era un tiratore libero, agiva da solo”, racconta Spanò. “Un domani sarà più difficile affrontare figure sostenute dal sistema e che hanno alle spalle grandi organizzazioni. Siamo certe che si difenderanno in ogni modo per dimostrare che le ragazze si sono inventate tutto.
Il cambiamento avverrà quando chi abusa verrà rimosso dalle posizioni di potere, in accademie o teatri che, tra l’altro, ricevono finanziamenti pubblici. Non è un problema solo delle donne, ma anche del ministero e della società intera”.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it