Questo articolo è uscito il 2 aprile 2022 a pagina 8 del numero 21 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.
A Savoia di Lucania, un piccolo comune della Basilicata, neppure il bar della piazza ha più i giornali. Per comprare un quotidiano bisogna andare fino a Caggiano, a 16 chilometri di distanza. Lo stesso succede in decine di comuni del sud. E più si scende e più la situazione peggiora.
La questione riguarda soprattutto i quotidiani nazionali, molti dei quali hanno rinunciato alla distribuzione nel sud della Calabria e nelle due regioni insulari a causa dei costi proibitivi. Si tratta di un problema strutturale: per garantire la consegna in tempo utile nelle edicole di queste aree del paese, i quotidiani devono essere stampati in tipografie locali, ma non sono molti quelli che riescono a coprire i costi aggiuntivi della stampa sul posto con le copie che vendono nella regione.
E se un quotidiano ad alta tiratura come il Corriere della Sera può permettersi di stampare in sei stabilimenti tipografici (a Milano, Roma, Padova, Bari, Catania e Cagliari) per molti altri è un’operazione in perdita. L’alternativa è spedire le copie per via aerea, ma anche in questo caso per rientrare della spesa serve vendere molte copie.
Negli ultimi dieci anni in Calabria hanno chiuso 500 edicole, alcuni quotidiani nazionali hanno tagliato la diffusione, in particolare nella provincia di Reggio Calabria e nei paesi dell’interno. Quelli che arrivano, spesso hanno ritardi di ore. Fa eccezione Cosenza che è ancora ben servita. E in ogni caso la distribuzione dei quotidiani che non stampano sul posto non va oltre lo stretto di Messina.
I periodici invece arrivano uno o due giorni dopo la data d’uscita. Le copie di Internazionale, per esempio, che partono da Bergamo dove il settimanale è stampato, arrivano in edicola in gran parte del paese il venerdì o il sabato, a seconda delle città, e all’inizio della settimana successiva in Sicilia e in Calabria. L’Essenziale, che è stampato come un quotidiano a Roma e a Milano, arriva ovunque il sabato mattina, tranne che in Sardegna, in Sicilia e in parte della Calabria dove arriva la settimana successiva.
In Sicilia, quotidiani come la Stampa, Domani, il Manifesto e il Riformista non ci sono. Il Foglio invia solo il numero del fine settimana, mentre altri giornali, come il Messaggero e il Mattino, sono diffusi solo tra luglio e agosto per seguire i loro lettori in vacanza. Alcuni di questi quotidiani, di fronte alle proteste, hanno offerto abbonamenti digitali a prezzi ridotti ai lettori delle zone in cui hanno scelto di non arrivare.
Negli ultimi dieci anni le edicole italiane sono molto diminuite. Da quasi 35mila si sono ridotte a 22mila.
Gli editori di questi giornali hanno deciso di sospendere le spedizioni a Catania e Palermo per i costi del trasporto aereo, la difficoltà ad arrivare in orario in gran parte dell’isola e la crisi delle edicole. In Sicilia hanno chiuso 400 edicole in 12 anni e quelle che resistono non guadagnano dalla vendita dei giornali ma dai Gratta e vinci, dalla cartoleria e dai giochi per bambini. “Agli editori non conviene più distribuire in Sicilia, chi decide di farlo lo fa in perdita”, dice Carmelo Ventura, titolare di un’agenzia di distribuzione catanese.
Tra i quotidiani nazionali, nelle edicole si trovano solo il Corriere della Sera, la Repubblica, Avvenire, il Fatto quotidiano, Libero e la Verità, che stampano nelle uniche due tipografie siciliane, quella della Società editrice Sud (Ses), di proprietà dell’editore della Gazzetta del Sud Lino Morgante, e della Sts di Catania. Nei comuni più piccoli o dell’entroterra anche questi quotidiani arrivano in ritardo, come conferma Giovanni Nangano di Aenne Press, un altro distributore siciliano: “Per arrivare nelle sette edicole sparse nei monti Nebrodi, da Gangi a Petralia Soprana, spendiamo 120 euro a settimana di trasporto e, visto che guadagniamo il 5 per cento lordo su ogni copia, per andare in pari si dovrebbero vendere almeno 300 copie a settimana. Ci andiamo solo per spirito di servizio”.
Resiste soltanto il mercato dei quotidiani locali, che però si è dimezzato negli ultimi dieci anni e si divide tra il versante occidentale e quello orientale dell’isola. A Catania, per esempio, è sempre più raro trovare copie del Giornale di Sicilia, che nel 2019 ha chiuso le redazioni orientali, e della Gazzetta del Sud di Messina.
Da luglio a ottobre
Nelle isole minori va ancora peggio. A Pantelleria “i quotidiani arrivano solo da luglio a ottobre, nonostante la Danish Air Transport, la compagnia aerea che collega l’isola alla Sicilia, abbia dato la disponibilità a consegnare i giornali gratis nei mesi invernali”, dice Angelo Fumuso, un ex edicolante isolano. A fine novembre 2020 si sono arresi pure gli ultimi due giornali che distribuivano sull’isola, il Giornale di Sicilia e la Repubblica.
Da allora, per gran parte dell’anno gli ottomila residenti sono tagliati fuori dall’informazione quotidiana su carta. L’Assostampa Sicilia si è mobilitata per riportare i quotidiani sull’isola, ma senza successo. “L’informazione è un diritto di tutti i cittadini italiani e per gli abitanti di Pantelleria, che si trovano già in una situazione di marginalità geografica, lo è ancora di più”, ha scritto sul sito dell’associazione il vicepresidente Vito Orlando.
I quotidiani non arrivano neppure ai settemila abitanti di Lampedusa. Quando la società di distribuzione ha annunciato agli edicolanti con un’email che dal 16 settembre 2021 i giornali non sarebbero più stati consegnati sull’isola, il sindaco Salvatore Martello ha protestato per “l’inaccettabile disparità di trattamento rispetto al diritto di tutti i cittadini a un’informazione completa e plurale”. L’appello del sindaco a far tornare i giornali – perché “non tutti i cittadini di Lampedusa hanno uno smartphone, un computer o un tablet per leggere online” – non ha però avuto alcun effetto.
In Sardegna la situazione è simile. Nel sud della regione si stampano nove giornali nazionali, al nord due. I periodici arrivano via nave a Olbia e da lì tre agenzie distributive li caricano sui loro furgoni e li trasportano alle edicole. “A reggere tutto il sistema da queste parti sono i quotidiani locali”, dice Giuseppe Piras, titolare di una società di distribuzione con dodici dipendenti che serve 150 edicole tra Sassari, Alghero e una parte del nuorese.
Si riferisce all’Unione Sarda, 25mila copie vendute soprattutto tra Cagliari e Oristano, e alla Nuova Sardegna, 19mila copie in particolare a Sassari, in Gallura e in Barbagia, che da febbraio è passata dal gruppo Gedi a Sapere Aude Editori (Sae). I due centri stampa sardi sono di loro proprietà. “Nessun giornale a tiratura nazionale può permetterselo, per non andare in perdita dovrebbe vendere oltre cinquemila copie, e in Sicilia e in Sardegna nessuno raggiunge queste cifre”, spiega Marco Melillo della Reds, distributore del Manifesto, che in Sardegna ha deciso di non andare più.
“Si parla tanto di digital divide, ma qui siamo in presenza di un taglio netto di cultura e informazione”, dice la direttrice del Manifesto Norma Rangeri. “Ci abbiamo provato in tutti i modi, ripetutamente, per due anni abbiamo deciso di distribuire il giornale in Sardegna e Sicilia solo d’estate, poi, pur vendendo qualche migliaio di copie, siamo stati costretti ad arrenderci perché ci costava troppo”.
Riconversione
Negli ultimi dieci anni le edicole italiane sono molto diminuite. Erano quasi 35mila, si sono ridotte a 22mila, di cui poco più di mille sono all’interno di supermercati e della grande distribuzione. Molte di quelle sopravvissute hanno dovuto riconvertirsi. Ora vendono di tutto e i giornali non rappresentano la fonte principale di guadagno.
Nel centro di Cagliari tante sono chiuse e in quelle aperte spesso ci sono soprattutto giocattoli o souvenir per turisti: tazze con i quattro mori, calamite, strofinacci. L’edicola davanti al consiglio comunale non ha più neppure la stampa estera. “Avevamo i giornali inglesi, francesi, spagnoli e tedeschi, ora più nulla”, spiega la titolare. Sul banco fronte mare ora ci sono le riviste di cucina e i cruciverba, “che sono quelli vecchi, a causa dello sciopero dei camionisti per il caro bollette”.
A Sassari si è puntato all’edicola come presidio culturale e negozio di quartiere, aperto sette giorni su sette. “In tanti hanno retto, si sono informatizzati e offrono nuovi servizi, come il ritiro pacchi”, spiega il distributore Piras. Nei paesi dell’interno la vendita dei giornali è diventata marginale. Nella rivendita che gestisce da ventitré anni ad Armungia – 400 abitanti, nel sudovest della Sardegna – Gigi Prasciolu ora vende sigarette, casalinghi e all’interno ha una ricevitoria e un distributore di bibite. Vende i quotidiani sardi, pochi nazionali. “Sono quasi tutti in caduta libera, tranne i giornali di ricette, gossip ed enigmistica. Nessuno prende più gli sportivi, si legge online”, afferma. Da qui il pensiero di concedersi il giorno libero, la domenica: “Da cinquanta copie sono sceso a quindici, massimo venti d’estate”.
Con la guerra in Ucraina e gli aumenti del gas e dell’elettricità, la situazione rischia di precipitare. Il 15 marzo 2022 la Federazione italiana editori giornali (Fieg) ha lanciato un allarme sulla distribuzione dei quotidiani in Italia. Il costo della carta è cresciuto del 100 per cento e in più ci sono difficoltà nel trovare la materia prima, visto che in Italia non si produce carta per i giornali ma la si importa in gran parte dalla Scandinavia.
Alcuni giornali hanno ridotto tiratura e foliazione, mentre le proteste dei trasportatori contro i rincari del carburante hanno impedito la consegna per alcuni giorni nelle edicole della zona di Olbia, in Sardegna, e nel salernitano. “La distribuzione della stampa costituisce il presupposto per l’esercizio di due fondamentali diritti costituzionali: il diritto di informare e quello di essere informati”, ha scritto la Fieg in una nota.
Questo articolo è uscito il 2 aprile 2022 a pagina 8 del numero 21 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it