Il piano per risolvere in maniera definitiva la dipendenza italiana dal gas russo circola da qualche mese nei palazzi delle istituzioni europee a Bruxelles. Si tratta di un gasdotto sottomarino lungo 714 chilometri che dall’impianto di Barcellona dovrebbe far arrivare a Livorno dai 15 ai 30 milioni di metri cubi all’anno di gas, una quantità equivalente a quella importata ogni anno in Italia dalla Russia. Il costo previsto dell’opera si aggira tra i 2,5 e 3 miliardi di euro e per realizzarla ci vorrebbero uno o due anni.
Il progetto è stato annunciato per la prima volta dalla Società nazionale metanodotti (Snam) il 17 marzo, a margine dell’approvazione della trimestrale di bilancio. È stato discusso al consiglio europeo del 25 marzo e accolto dalla Commissione europea, che l’ha inserito nel piano RepowerEu per superare la dipendenza dal gas russo. Una settimana prima, il presidente del consiglio Mario Draghi ne aveva parlato a Roma con il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez. Nella conferenza stampa al termine dell’incontro, Draghi aveva accennato all’argomento, dicendo di aver “discusso anche delle interconnessioni” del gas. Il premier spagnolo, del Partito socialista, avrebbe dato il via libera a due condizioni: che la costruzione del gasdotto sia pagata con fondi europei o dall’Italia, e che Bruxelles finanzi pure il Midcat, un secondo gasdotto che porterebbe il gas dalla Catalogna alla Francia, attraverso i Pirenei.
Un “tubo” tra Spagna e Italia
Al “tubo” tra Barcellona e Livorno, come lo definiscono i giornali spagnoli, si accenna pure nella relazione sulle “conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina nell’ambito della sicurezza energetica”, presentata alla fine di aprile dal comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir). Nel documento, firmato dalla deputata Federica Dieni (Movimento 5 stelle) e dal senatore Paolo Arrigoni (Lega), si legge che esso “consentirebbe l’afflusso del gas immesso in rete dal vasto e attualmente sottoutilizzato sistema dei rigassificatori spagnoli”. La relazione spiega che il gas naturale liquefatto arriverebbe nella città catalana da Argentina e Stati Uniti, e allunga a quattro anni i tempi per la realizzazione dell’opera, il doppio di quello che prevede il progetto presentato a Bruxelles.
L’11 maggio l’Enagás e la Snam hanno firmato un protocollo d’intesa per verificare la fattibilità del gasdotto. Una settimana dopo la Commissione europea ha pubblicato il piano RepowerEu. In uno dei documenti allegati si fa riferimento al gasdotto, annunciando “ulteriori investimenti per collegare i terminali di importazione di gas naturale liquido nella penisola iberica e la rete dell’Ue”. L’indomani il quotidiano spagnolo El País ha scritto che il governo italiano avrebbe utilizzato il suo “potere” a Bruxelles per far passare il progetto, sostenendo pure che sarebbero in corso colloqui “ad alto livello” per la sua realizzazione.
A Livorno però nessuno ne sa nulla. Il sindaco Luca Salvetti, di centrosinistra, dice di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione. I cittadini non sono stati informati e gli ecologisti, che negli anni scorsi si erano mobilitati contro il rigassificatore offshore, finora non si sono fatti sentire.
La Olt Offshore, che gestisce la nave metaniera ancorata a 22 chilometri dalla costa e convertita in rigassificatore, si concentra sul proprio impianto. “Riceviamo gas da molte aree del mondo, dall’Algeria al Qatar, agli Stati Uniti”, dice il manager Giovanni Giorgi, amministratore delegato della compagnia, partecipata dalla Snam e dalla First Sentier Investors, un fondo globale di investimento con sede a Sidney, in Australia. Il rigassificatore ha una capacità di 3,75 miliardi di standard metri cubi di gas all’anno e soddisfa il 5 per cento del fabbisogno italiano, quattro volte di più di quello di Panigaglia, in Liguria. Le navi gasiere scaricano il gas liquefatto e mantenuto a 162 gradi sotto zero, che viene riportato allo stato gassoso e poi immesso in una conduttura che, dopo 36 chilometri, si collega alla rete nazionale del metano. Di questi, 29,5 chilometri sono in mare, cinque in un canale scolmatore e altri due sulla terraferma.
Nel frattempo il governo ha predisposto alcune misure provvisorie per fronteggiare l’emergenza. Alla fine di marzo il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani ha approvato il decreto sullo stoccaggio per il 2022-2023, nel quale si invita la Snam a organizzare rifornimenti via mare dalla Spagna verso il rigassificatore di Panigaglia, “tenendo conto della necessità di giungere a un livello di stoccaggio più alto” per ridurre la dipendenza dal gas russo.
“Stiamo lavorando alle riserve invernali”, ha spiegato il ministro al Tg1. Le navi cariche di gas naturale liquefatto a -162 gradi partono dal rigassificatore di Barcellona, un impianto da 800 miliardi di metri cubi di gas, e arrivano sulla costa ligure, dove si trova l’unico impianto di rigassificazione sulla terraferma in Italia, a un chilometro dal borgo marinaro di Fezzano e a poche centinaia di metri dal parco naturale di Porto Venere. Fino all’approvazione del decreto il rigassificatore lavorava a scartamento ridotto, dopo le proteste di sindaci e ambientalisti preoccupati per l’impatto sul turismo e per la sicurezza dei cittadini, immettendo nella rete nazionale due milioni di metri cubi al giorno di gas invece dei dieci previsti.
Impianti al massimo
Il piano del governo italiano prevede che le quantità di gas trattate in Italia aumentino di sei miliardi di metri cubi, sfruttando al massimo delle capacità i tre rigassificatori attivi: oltre a quello di Panigaglia, le piattaforme offshore di Livorno e di Porto Viro, in provincia di Rovigo, un’isola artificiale che da sola rigassifica il 10 per cento del gas italiano.
Il decreto stabilisce di acquistare due nuove navi rigassificatrici, una da sistemare nel mar Tirreno, all’interno del porto di Piombino in Toscana, e la seconda nel mare Adriatico, a Ravenna. In più, l’11 aprile il governo ha stipulato un accordo con il governo algerino per aumentare di tre milioni di metri cubi la quantità di metano da inviare in Italia attraverso il gasdotto Transmed che, attraversando il canale di Sicilia, sbuca a Mazara del Vallo.
Maggiori quantità di combustibile dovrebbero arrivare via gasdotto anche da Libia e Azerbaigian, e via nave da Israele, attraverso l’Egitto, e dal Qatar, che è già il primo paese fornitore di gas naturale liquefatto all’Italia. Il governo pensa pure di rivedere il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), aumentando le estrazioni nei giacimenti già attivi e avviando nuove trivellazioni, in particolare nell’Adriatico. Nessuna di queste misure riuscirà però a sostituire del tutto le importazioni di gas russo, che nel 2021 ammontavano a 29,07 miliardi di metri cubi, il 38,2 per cento del combustibile acquistato dall’Italia.
Fabbisogno nazionale
Il primo giugno la Snam, grazie a un finanziamento di Mediobanca, ha acquistato per 350 milioni di dollari la prima delle navi rigassificatrici prevista dal decreto Cingolani. Si tratta della Golar Tundra, una nave metaniera norvegese con una capacità di stoccaggio di circa 170mila metri cubi di gas naturale liquefatto. L’imbarcazione, costruita nel 2015 e di proprietà della Golar Lng, una compagnia con sede nelle isole Bermuda, potrà rigassificare 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, due in più dell’impianto di Panigaglia.
L’amministratore delegato della Snam, Stefano Venier, annunciando l’acquisto l’ha definito “essenziale” per l’Italia, perché la piattaforma “da sola potrà contribuire a circa il 6,5 per cento del fabbisogno nazionale, portando la capacità di rigassificazione italiana a oltre il 25 per cento della domanda”. La nave, lunga 300 metri, sarà sistemata lungo una banchina del porto di Piombino. I tempi della crisi energetica non consentono di metterla al largo e attendere la costruzione di una conduttura come a Livorno. “Non riteniamo opportuno fare opere a terra perché la tempistica di sostituzione del gas russo è molto stringente, 5-6 miliardi di metri cubi quest’anno, l’anno prossimo 18 miliardi e nella seconda metà del 2024 saremo a regime sui 25 miliardi”, ha detto il ministro Cingolani alla camera dei deputati il 30 maggio. Il 15 giugno la Gazprom ha annunciato il taglio del 15 per cento delle forniture all’Italia e due giorni dopo l’Eni ha fatto sapere che, di fronte a una richiesta di 63 milioni di metri cubi di gas al giorno, la compagnia russa ne garantirà solo il 50 per cento.
Nella cittadina toscana però nessuno vuole la Golar Tundra. Il presidente dell’Autorità di sistema portuale del mar Tirreno settentrionale, Luciano Guerrieri, sostiene che occupare lo scalo con una enorme nave piena di gas equivale a bloccarlo e a fermare “ogni tentativo di rilancio”, rischiando di provocare anche una crisi occupazionale. L’Unione sindacale di base (Usb) in una nota scrive che l’arrivo della Golar Tundra “sarebbe uno shock per tutta la città” e “fermerebbe la riconversione industriale”. I pescatori, già in agitazione per il caro carburante, temono ripercussioni sulla loro attività. Il 14 giugno una barca da pesca si è scontrata in mare con un’altra imbarcazione che aveva a bordo alcuni tecnici della Snam impegnati a fare dei rilievi e ci sono stati momenti di tensione.
Il “bombolone” e la politica
Il 17 giugno il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani (Partito democratico), nominato dal governo commissario straordinario per i rigassificatori, ha incontrato il sindaco Francesco Ferrari (Fratelli d’Italia), proponendogli delle opere compensative in cambio del via libera al rigassificatore. Tra queste, la costruzione di nuove strade e la bonifica di alcune aree industriali dismesse. Ma sarà difficile far digerire alla città un “bombolone”, come lo definiscono da queste parti, così ingombrante e pericoloso.
Di fronte all’obiezione che, a causa della pericolosità dell’impianto, diventerebbero inutilizzabili anche le banchine circostanti e che verrebbe limitata l’attività di un porto che nel 2021 ha registrato il passaggio di 2,8 milioni di passeggeri, 12.603 navi, 82mila camion spediti via mare e 4,2 milioni di tonnellate di merce, il ministro Cingolani in un’audizione alla camera dei deputati, il 6 aprile, ha risposto che si tratta di un “sacrificio necessario” per uno o due anni, “il tempo di completare un po’ più a largo il punto di innesco e di attacco alla tubazione”. Lo stesso tempo stimato dal governo italiano per costruire il nuovo gasdotto Barcellona-Livorno.
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