Il giorno in cui ha pilotato per la prima volta un Boeing 737 della Ryanair, partito dall’aeroporto bergamasco di Orio al Serio, M. non aveva un contratto con la compagnia aerea. Gli avevano fatto aprire una partita iva in Irlanda ed era pagato a cottimo dalla Brookfield Aviation International, un’agenzia di intermediazione che recluta i piloti nel bacino di alcune aziende create apposta per fornire servizi alla compagnia di voli low cost. “Erano società fittizie, mi avevano anche nominato direttore di una di queste”, dice M. con un sorriso ironico alla vigilia dello sciopero europeo del 25 giugno di piloti, hostess e steward della Ryanair. Oltre che in Italia, i dipendenti della compagnia irlandese incroceranno le braccia anche in Belgio, Francia, Portogallo e Spagna. I lavoratori italiani lamentano “le arbitrarie decurtazioni dalla busta paga, il mancato pagamento delle giornate di malattia, il rifiuto della compagnia di concedere giornate di congedo obbligatorio durante la stagione estiva e la mancanza di pasti e acqua per l’equipaggio”.
“È inaccettabile che la Ryanair non applichi i minimi salariali previsti dal contratto nazionale”, dice Fabrizio Cuscito, segretario nazionale della Federazione italiana lavoratori trasporti (Filt) della Cgil. Ma l’azienda non vuole prendere in considerazione le loro richieste e non riconosce le organizzazioni dei lavoratori, al punto da rifiutarsi di inserire in busta paga le quote sindacali. In una nota del 22 giugno la compagnia sostiene che “le sigle che hanno indetto lo sciopero non hanno iscritti tra i nostri equipaggi e per questo motivo non sono riconosciute da Ryanair”.
Come alla lotteria
M. accetta di parlare solo a patto che non si faccia il suo nome. Se lo scoprono rischia un provvedimento disciplinare, anche il licenziamento. Per cinque anni, dal 2012 al 2017, ha prestato servizio in Italia e ha pagato le tasse in Irlanda come lavoratore autonomo. Poi lo hanno “scelto a caso come alla lotteria” e gli hanno proposto un contratto a tempo determinato. Due anni dopo è stato assunto dalla Air Malta, una compagnia satellite con sede nell’omonima isola del Mediterraneo alla quale dal 1 novembre 2019 la Ryanair ha trasferito i dipendenti italiani. Dopo anni di precariato sembrava tutto risolto, ma appena tre mesi dopo è scoppiata la pandemia di covid-19, i voli sono stati azzerati e l’azienda lo ha messo in aspettativa non retribuita senza neppure avvertirlo.
Lo hanno lasciato due mesi senza stipendio. Nel frattempo la Ryanair andava in rosso per la prima volta nella sua storia, perdendo l’80 per cento dei passeggeri e 197 milioni di euro, mentre l’anno precedente nello stesso periodo aveva registrato un utile di 1,15 miliardi di euro. Finito il primo lockdown, M. è rientrato al lavoro. All’inizio di luglio del 2020 la compagnia low cost ha annunciato che avrebbe licenziato tremila dei suoi 23mila dipendenti per far quadrare i conti alla luce delle perdite subite. Ancora una volta, M. ha temuto che il suo contratto di assunzione andasse in fumo.
Non è stato licenziato, ma gli hanno ridotto lo stipendio di un quinto. La compagnia ha firmato un accordo con la Federazione italiana trasporti (Fit) della Cisl, l’Associazione nazionale professionale aviazione civile (Anpac) e l’Associazione nazionale professionale assistenti di volo (Anpav) che prevede un taglio del 20 per cento dei salari, lo stesso imposto anche negli altri paesi europei; in cambio si è impegnata a non toccare il personale. Nel frattempo, nonostante la pandemia, la Ryanair ha aumentato aerei e rotte, prevedendo di trasportare 225 milioni di passeggeri all’anno entro il 2026, contro i 130 milioni attuali che già ne fanno la più grande compagnia aerea d’Europa. Negli ultimi due anni l’Italia è diventata il suo mercato principale. Dei 430 aerei Boeing 737 della flotta, che collegano 216 destinazioni in 37 paesi europei, del Nordafrica e del Medio Oriente, 92 sono nel nostro paese. Il 9 febbraio 2022 il fondatore Michael O’Leary ha annunciato l’acquisto di altri venti aerei. Serviranno a coprire le nuove rotte acquisite dopo il fallimento dell’Alitalia e di compagnie minori come la Blue Panorama e l’Air Italy.
Braccia incrociate
Il 3 giugno la Ryanair ha superato per la prima volta la soglia dei tremila voli giornalieri. Per la precisione, sono stati 3.074. Cinque giorni dopo i lavoratori italiani hanno incrociato le braccia una prima volta. L’azienda aveva deciso di dimezzare il taglio dello stipendio e non di riportarlo ai livelli precedenti alla pandemia, come i dipendenti chiedevano vista la ripresa del traffico aereo. Nonostante le intimidazioni nemmeno troppo velate della compagnia, ha scioperato il 90 per cento degli 800 piloti e dei duemila assistenti di volo, i primi dipendenti di Air Malta, i secondi contrattualizzati a poco meno di 1.300 euro al mese dalla Crew Link, una società di intermediazione. Per i sindacati “è stata la dimostrazione del grande disagio che vivono quotidianamente le lavoratrici e i lavoratori di questa compagnia”. Lo stesso giorno si sono astenuti dal lavoro anche i dipendenti di altre due compagnie: la britannica EasyJet e la spagnola Volotea, dove la Uiltrasporti ha denunciato “retribuzioni inferiori ai minimi previsti dal contratto nazionale, trasferimenti e distacchi non regolamentati, continui errori nella trasmissione dei dati all’Inps con ritardi di quasi due anni, e ripetute contestazioni disciplinari ingiustificate e contro la legge”.
Con la ripresa massiccia della domanda di voli dopo la pandemia, arrivata al 90 per cento dei livelli del 2019, e l’aumento del prezzo del carburante, le compagnie low cost fanno fatica a mantenere un modello economico che tende a ridurre al massimo i costi per garantire biglietti a prezzi accessibili. E i lavoratori vengono messi sotto torchio. “Lavoro per cinque giorni di fila per un massimo di tredici ore, ma spesso mi chiedono anche un’ora supplementare”, racconta M. Tra gli spostamenti e l’obbligo di presentarsi almeno 45 minuti prima della partenza per avere il tempo di controllare i documenti e preparare il volo, arriva con facilità alle 15-16 ore consecutive. “È chiaro che, con questi ritmi, a fine giornata l’attenzione cala, ma non puoi dire che sei stanco altrimenti devi andare a sostenere un colloquio a Dublino o a Malta per spiegargli perché sei affaticato”, confessa. Ogni pilota può rifiutarsi di volare se si sente in difficoltà, in gergo la chiamano “fatigue”, ma alla Ryanair non succede mai, spiega, “perché tutti hanno paura”.
M. vola in tutta Europa, facendo dai due ai sei scali al giorno. La Ryanair ha ridotto il tempo di sosta dopo l’atterraggio a 25 minuti, che possono salire a 35 nei grandi aeroporti, e lui non può scendere dall’aereo neppure per un caffè. L’acqua e il pranzo a bordo sono a sue spese, come il costo del tesserino di riconoscimento aziendale o il parcheggio dell’auto all’aeroporto. Ogni sera torna a dormire a casa sua. La Ryanair non prevede, salvo casi eccezionali, che l’equipaggio si fermi in uno scalo diverso da quello in cui ha la sua base, così risparmia su alberghi e trasporti.
Sporcare il riposo
Il 20 giugno la EasyJet ha annunciato la riduzione dei voli, in particolare dagli aeroporti di Amsterdam e Londra, perché non ha personale di terra a sufficienza dopo i licenziamenti fatti durante la pandemia e non ha abbastanza equipaggi per soddisfare l’aumento della domanda. In un comunicato diramato alle agenzie di stampa, la compagnia britannica parla di “un mercato del lavoro molto teso”. Per reclutare nuovo personale in fretta, è arrivata a offrire un bonus d’ingresso in denaro, ma il rischio è che quest’estate molti voli vengano cancellati. Nel frattempo, ha ridotto la capienza degli aerei per impiegare meno hostess e steward a bordo. “Sono sotto organico e fanno turni assurdi”, dice M. “La differenza con la Ryanair”, aggiunge, “è che se ‘sporchi il riposo’, come diciamo in gergo quando allunghi l’orario di lavoro, ti pagano lo straordinario e ti danno la diaria giornaliera anche per pochi minuti, invece da noi non accade e anche se il volo fa un ritardo di quattro ore ti pagano allo stesso modo”. Per il calcolo dell’orario di lavoro contano le ore in volo e non le soste negli aeroporti. Per far fronte all’emergenza la Ryanair ha anche sospeso fino a ottobre i congedi obbligatori per accudire i figli o un familiare con disabilità.
È inaccettabile che la Ryanair non applichi i minimi salariali previsti dal contratto nazionale
Tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate i ritardi sono diventati la normalità. I licenziamenti di massa durante la pandemia hanno provocato il caos in molti aeroporti, con bagagli che si accumulano e code agli ingressi, in particolare nei paesi che hanno misure di difesa del lavoro più deboli, come il Regno Unito e i Paesi Bassi. Secondo i dati di Eurocontrol, i ritardi nella gestione del flusso del traffico aereo hanno raggiunto i centomila minuti tra lunedì 30 maggio e sabato 4 giugno, e la metà è stata causata da problemi legati alla carenza del personale. Il 21 giugno negli Stati Uniti ci sono stati novemila voli in ritardo e 4.500 cancellazioni, risultato dei centomila licenziamenti, soprattutto del personale di terra, avvenuti quando gli aeroporti erano bloccati dalle restrizioni per il covid-19.
La bolla della ripartenza
In Italia è andata meglio. Finora gli aeroporti sono riusciti a reggere l’impatto dell’aumento di voli e passeggeri. “Ci ha salvati la cassa integrazione, che ha consentito di evitare i licenziamenti e di richiamare le persone al lavoro appena i voli sono ripresi”, dice Nicholas Dormia del dipartimento nazionale trasporto della Filt-Cgil. “Gli interventi del governo, che ha garantito la cassa integrazione e 800 milioni di euro per aiutare il settore a venir fuori dalla crisi, hanno consentito al nostro sistema di farsi trovare pronto per la ripartenza, soprattutto garantendo la fidelizzazione della maggior parte del personale”, ha spiegato all’Ansa il presidente dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) Pierluigi Di Palma.
La ripresa del turismo ai livelli precedenti alla pandemia rischia di mettere in crisi solo il settore del cosiddetto handling, il carico e scarico dei bagagli, dove i sindacati denunciano un “far west” contrattuale e lavorativo. All’aeroporto Marco Polo di Venezia, che è tornata a essere una meta internazionale dopo il deserto dei lockdown, insieme ai piloti, alle hostess e agli steward di Ryanair, Easyjet e Volotea, sabato 25 giugno hanno deciso di scioperare anche i facchini della Aviation Service, una delle due società che si occupano dei servizi a terra per compagnie e passeggeri.
“Alla Save, che gestisce lo scalo, mancano circa 80 persone, sia stagionali sia diretti, su un organico di circa 400. Ai due handler mancano cento lavoratori a testa, su un organico di 400 impiegati in Gh e di 260 in Aviation Service. E la Triveneto Sicurezza sta cercando più di cento figure professionali su un organico di circa 350 unità”, ha spiegato alla stampa locale il segretario della Fit-Cisl Ivano Traverso. “Purtroppo scontiamo i tagli e molta impreparazione, ora sarà molto difficile trovare personale qualificato in così poco tempo”, dice Cuscito.
Se esplode la “bolla della ripartenza”, come viene definita dagli addetti ai lavori questa ripresa accelerata dopo due anni di chiusure, durante l’estate chi viaggia rischia di vedersi annullare il volo all’improvviso o di perdere le valigie per strada.
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