La mattina di sabato 9 luglio alcune centinaia di attivisti della rete ecologista Rise up 4 climate justice, arrivati alla stazione di Nogara da tutto il Veneto, si sono incamminati verso la zona industriale del paese. Erano diretti allo stabilimento della Coca-Cola per protestare contro le sue politiche “estrattiviste”, basate cioè sull’accaparramento di risorse ai danni della comunità locale. Nel veronese la siccità ha provocato una grave crisi idrica che ha costretto metà dei comuni a limitare l’utilizzo d’acqua. La Coca-Cola invece, per la quale l’acqua è la materia prima principale, non ha rallentato la produzione. Un decreto regionale del 31 luglio del 2020 le consente anzi di aumentare del 37 per cento la “portata media” dell’acqua prelevata dalla falda sotterranea e, poiché la domanda della bibita è in continuo aumento, le linee produttive funzionano a pieno regime. Il tutto a un prezzo irrisorio: un centesimo ogni mille litri d’acqua presi dai pozzi che si trovano all’interno dello stabilimento.
Nei bar lungo il tragitto verso la fabbrica, le bottigliette di Coca-Cola da 400 millilitri “prodotte a Nogara”, che la gente del posto distingue dalle “sottomarche” provenienti da altre regioni, sono in vendita a 3,40 euro. L’azienda ha ridotto le dimensioni delle bottiglie da mezzo litro, ma non il prezzo, un trucchetto che serve a mascherare gli effetti dell’inflazione e a scaricarla sui clienti. Arrivati davanti ai cancelli della fabbrica, gli attivisti climatici hanno bloccato la strada, mostrando cartelli che denunciavano la “speculazione” e urlando slogan contro la multinazionale statunitense. “Si parla di razionamento idrico nelle case e poi ci sono aziende che hanno accesso diretto all’acqua e la usano per prodotti di cui non abbiamo bisogno”, ha detto ai microfoni di Rainews24 una giovane ecologista, Fabrizia Toninello. Un gruppo di militanti dei centri sociali del nordest, riconoscibili dalle tute bianche, ha provato a superare il cancello d’ingresso, ma è stato respinto dalla polizia in tenuta antisommossa. Ci sono stati spintoni, urla ed è volata pure qualche manganellata. “Vogliamo attirare l’attenzione sul fatto che i razionamenti dell’acqua valgono per i privati cittadini e non per la Coca-Cola”, spiega Sergio Zulian, arrivato da Treviso per partecipare alla manifestazione.
Estrattivismo
Il comune di Nogara è l’unico in tutta la provincia di Verona che non ha un acquedotto. Ha una rete di tubature costruita all’inizio degli anni ottanta, ma non è mai entrata in funzione. Quando la società pubblica che gestisce le risorse idriche, Acque Veronesi, ha provato a recuperarla si è resa conto che molti tubi erano rivestiti di amianto ed è riuscita ad allacciare alla rete idrica solo alcune abitazioni del centro cittadino. Due terzi delle 3.500 abitazioni private e perfino l’ospedale prendono l’acqua da pozzi di loro proprietà. Poiché quasi nessuno ha i contatori, l’azienda idrica stima il consumo in 64 metri cubi all’anno, in maniera forfettaria.
La Coca-Cola preleva da sola la sua acqua. Ha ottenuto dalla regione Veneto una “concessione alla derivazione di acque sotterranee tramite pozzo” per “uso industriale, potabile, igienico e sanitario, e assimilati”. In questo modo la multinazionale, pur sfruttando l’acqua a fini commerciali come le aziende che imbottigliano acque minerali, la paga molto meno. In più, è esonerata dai costi di depurazione e di smaltimento, che il resto della popolazione invece paga in bolletta. “È un esempio di come le istituzioni locali siano asservite alla multinazionale”, afferma l’ex sindaco Paolo Andreoli, di Sinistra italiana. “Lo stabilimento di Nogara è uno dei più limpidi esempi di estrattivismo nel nostro paese”, hanno scritto in un comunicato stampa gli organizzatori della protesta. La Coca-Cola, da queste parti, è intoccabile. Quando i lavoratori della logistica organizzati dal sindacato di base Adl Cobas, nel 2017, hanno scioperato per quaranta giorni di fila protestando contro le condizioni di lavoro, le guardie private inviate dai datori di lavoro hanno usato le pistole taser contro i manifestanti e per la prima volta la fabbrica ha sospeso la produzione. L’ambasciata statunitense a Roma ha chiesto all’allora presidente del consiglio Paolo Gentiloni di intervenire per fermare le proteste.
Non è chiaro neppure quanti pozzi gestisca. “Ce ne sono almeno cinque”, dice Roberto Malesani di Adl Cobas. “Sono sette, tutti all’interno della fabbrica”, aggiunge con sicurezza Andreoli. Nelle autorizzazioni ne sono menzionati tre, ognuno dei quali è collegato a una vasca di accumulo da 1.400 metri cubi, dalla quale “si dipartono le tre diverse linee di distribuzione dedicate alle rispettive utilizzazioni”. Tutti pompano acqua al ritmo di 173,80 metri cubi all’ora, 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno, per un totale di un miliardo e mezzo di litri all’anno in media, il triplo dei consumi dell’intera popolazione di Nogara. La bolletta finale è di circa 14mila euro all’anno. “Una sproporzione inaudita rispetto ai consumi, molto meno di quanto pagano i privati cittadini”, afferma Andreoli. Per dimostrarlo, tira fuori una bolletta da 39,74 euro per un consumo di 23 metri cubi di acqua. Sono 1,72 euro ogni mille litri, quasi il doppio di quanto paga la Coca-Cola. “Un’abitazione privata consuma tra i 60 e i 70 metri cubi all’anno, mentre lo stabilimento arriva anche a un milione e 700mila metri cubi, l’equivalente di un comune di 25mila abitanti”, calcola.
Rallentare un po’
All’indomani della manifestazione, Sinistra italiana ha lanciato un allarme. “C’è il rischio che non ci sia più acqua e ciò danneggerebbe l’intera popolazione di Nogara, tra cui gli stessi lavoratori di Coca-Cola”, ha scritto in un comunicato stampa nel quale chiede la sospensione della produzione. “Non dico che dovrebbero fermarsi del tutto, magari basterebbe rallentare un po’”, dice Andreoli, per il quale “i manager dovrebbero capire che, se l’acqua finisce, lo stabilimento chiude davvero”.
Una casa consuma 70 metri cubi d’acqua all’anno, lo stabilimento arriva a un milione e 700mila metri cubi
Venti chilometri più a sud il Po è in secca, le falde acquifere sotterranee sono prosciugate dalla siccità, il loro livello si è abbassato e il presidente di Acque Veronesi, Roberto Mantovanelli, già alla metà di giugno è stato costretto a scrivere a tutti i sindaci della provincia, chiedendo di adottare delle misure per limitare i consumi. Il primo a intervenire è stato proprio il sindaco di Nogara, che il 21 giugno ha vietato “l’utilizzo di acqua potabile per fini diversi da quelli domestici e igienico-sanitari”. Il primo luglio, appena eletto, il sindaco di centrosinistra a Verona, l’ex calciatore Damiano Tommasi, ha prorogato un’ordinanza simile del suo predecessore Federico Sboarina, di Fratelli d’Italia, e ha raccomandato ai cittadini “un uso consapevole dell’acqua anche nelle attività quotidiane in casa, riducendone gli sprechi”. Il suo collega del vicino comune di Villafranca, Roberto Luca Dall’Oca, anche lui di centrodestra, ha proibito di riempire piscine, annaffiare l’orto e lavare l’auto per tutta l’estate. Secondo i dati forniti da Acque Veronesi, 40 dei 77 comuni serviti dalla società idrica hanno adottato ordinanze simili, consentendo l’utilizzo dell’acqua solo per “usi igienico-sanitari” e prevedendo multe fino a 500 euro per chi non rispetta le prescrizioni.
La Coca-Cola non ha subìto invece alcuna limitazione. Nello stabilimento di Nogara le dieci linee produttive e quella ad alta velocità, costata 15 milioni di euro e inaugurata nel 2020, non hanno mai smesso di funzionare a pieno regime. Nei magazzini “i bancali sono pieni fino al soffitto”, dice un lavoratore della logistica. “Siamo in una fase di sovrapproduzione”. Dopo una contrazione nelle vendite durante la pandemia, la multinazionale ha ripreso a guadagnare più di prima. In tutto il mondo, nel 2021 sono stati venduti 13,7 miliardi di litri di Coca-Cola nelle sue diverse versioni – originale, Zero e light – il 13 per cento in più del 2020, e l’utile netto ha raggiunto i 547 milioni, il 32 per cento in più dell’anno precedente. In Italia è la bevanda più bevuta. Fattura 870 milioni di euro, occupa 22mila persone tra posti di lavoro diretti e l’indotto, e contribuisce per lo 0,05 per cento al prodotto interno lordo. Cifre da capogiro che fanno risaltare ancora di più il centesimo pagato allo stato per ogni mille litri di acqua consumata.
Lavoro e indotto
Tra gli 8.300 abitanti di Nogara, in pochi osano mettere in discussione il trattamento di favore nei confronti della multinazionale. “Dobbiamo tenere conto che questa è un’azienda che offre lavoro e indotto”, dice il sindaco Flavio Pasini, della Lega. Il colosso di Atlanta è arrivato qui nel 1975 e negli ultimi dieci anni ha investito cento milioni di euro nei 146mila metri quadrati dello stabilimento veneto, il più grande del sud dell’Europa. Ci lavorano 427 persone assunte dalla Coca-Cola, soprattutto impiegati, mentre la maggior parte degli operai dipende dalle aziende e cooperative in appalto. I lavoratori sono in totale 2.244, ai quali se ne aggiungono altri 5.200 dell’indotto. Se dovesse chiudere, si stima che in Veneto la disoccupazione aumenterebbe dell’1,7 per cento.
Secondo uno studio della School of management dell’università Bocconi di Milano, la multinazionale ogni anno distribuisce in Veneto stipendi per 22,5 milioni di euro, appalti alle imprese fornitrici o collegate per 77,8 milioni e paga 400 milioni di tasse, in buona sostanza i contributi versati per i lavoratori dipendenti, visto che quando si acquista una bottiglietta “prodotta a Nogara” i proventi prendono la strada dei paradisi fiscali in cui il gruppo ha le sue sedi: da quella principale nel Delaware, alle Isole Cayman, all’Irlanda, al Lussemburgo, ai Paesi Bassi e a Singapore.
La Coca-Cola Italia Hbc finanzia le giornate ecologiche e la cura dei parchi nel paese del veronese. Ha sponsorizzato il premio letterario Campiello a Venezia, ha finanziato un progetto della Fondazione Arena di Verona per ricostruire 67 colonne della cinta muraria esterna crollate nel 1117 e ha sostenuto iniziative come “Learn your job” dei Giovani imprenditori di Confindustria, con corsi negli ultimi tre anni nelle scuole superiori per dare consigli agli studenti nel passaggio dalla scuola al mondo del lavoro. “Grazie allo stabilimento di Nogara e al lavoro quotidiano degli oltre 400 colleghi responsabili di garantire qualità alla Coca-Cola made in Veneto, abbiamo costruito un solido legame con la regione”, ha detto alle agenzie di stampa il direttore della comunicazione di Coca-Cola Italia Hbc Giangiacomo Pierini.
La multinazionale si mostra molto attenta pure agli aspetti ambientali. Ha investito sei milioni di euro per sostituire gli imballaggi di plastica con altrettanti di carta e produce bottiglie con tappi di plastica che non si staccano, per evitare che finiscano dispersi e non siano riciclati. Gli attivisti climatici sostengono che si tratta solo di greenwashing per mascherare lo sfruttamento a costo zero dei beni comuni e il trattamento di favore da parte delle istituzioni locali. La mattina del 9 luglio, mentre provavano a forzare lo sbarramento di polizia davanti ai cancelli dello stabilimento di Nogara, sulle loro teste un pannello elettronico segnava la quantità di CO2 risparmiata dalla fabbrica dall’inizio dell’anno: 1.196 tonnellate “grazie ai pannelli fotovoltaici” installati nella fabbrica e altre 9.222 tonnellate “grazie all’impianto di cogenerazione”.
La fabbrica produce il 100 per cento dell’anidride carbonica che utilizza nei 735 milioni di litri di bevande gassate imbottigliate ogni anno nell’impianto, dalla Coca-Cola alla Fanta, alla Sprite. Per questo non è stata toccata dalla riduzione delle forniture causata dagli aumenti del prezzo del metano dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che ha reso l’anidride carbonica “introvabile”, come hanno denunciato alcuni produttori di bibite. L’Acqua Sant’Anna di Vinadio, in provincia di Cuneo, è stata costretta a fermare le proprie linee produttive. Invece la Coca-Cola, oltre che sull’acqua, risparmia anche sulle bollicine.
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