Quando è di turno la mattina, Matteo Tacconi (nome di fantasia per tutelarne l’identità) si alza alle cinque: il tempo di prendere un caffè, saltare nella sua vecchia auto e percorrere i trenta chilometri che separano la casa che ha dovuto affittare dallo stabilimento Amazon di Castelguglielmo, in provincia di Rovigo. A 52 anni Tacconi ha trovato solo due tipi di lavoro nel paese del sud in cui è nato: “Agricoltura o agricoltura in nero”. Entrambi precari e malpagati.

Per questo, dopo un colloquio con una delle agenzie interinali che lavorano per Amazon, non ci ha pensato due volte e si è spostato al nord con la famiglia, per accettare un impiego di tre mesi. “La speranza – ammette – è che dopo qualche altro contratto precario, alla fine si decidano ad assumermi”.

Nello stesso momento in cui Tacconi raggiunge lo stabilimento, migliaia di lavoratori di Amazon percorrono la rete di strade extraurbane dalle loro case nel Polesine e dalle province limitrofe per raggiungere uno dei più grandi centri di distribuzione del gruppo in Italia.

Un edificio a quattro piani nel mezzo del nulla, circondato da campi di soia e barbabietola, in un’area compresa tra i piccoli comuni di San Bellino e Castelguglielmo. Poco più a sud scorre la Transpolesana, una vecchia arteria nota in passato soprattutto per gli incidenti mortali, che da Rovigo sale in direzione di Verona, lungo quello che dovrebbe diventare il nuovo asse della logistica del nord est.

Come altri centri di distribuzione del gruppo Amazon, l’impianto sorge in un’area povera di lavoro, ma anche di infrastrutture e servizi. Nel Polesine raramente i comuni superano i cinquemila abitanti. In molti casi i paesi della zona non sono che un pugno di case raccolte intorno al municipio e al campanile, con poche opportunità di lavoro e tanta emigrazione.

Con una disoccupazione quasi doppia rispetto al resto del Veneto e standard di vita più vicini al Mezzogiorno che alle ricche province del nordest, i paesi dell’area hanno visto l’arrivo di Amazon, nell’autunno del 2020, come un’occasione per invertire la rotta. L’e-commerce era in piena espansione per via della pandemia e gli affari della multinazionale andavano a gonfie vele.

Enrico Ferrarese, presidente della provincia di Rovigo e sindaco di Stienta, un comune di tremila abitanti sulle rive del Po, riassume così quello che allora era lo stato d’animo prevalente: “L’arrivo di Amazon è apparso come un’opportunità per risollevare l’economia della zona e dare lavoro ai nostri disoccupati. Certo non ci aspettavamo uno stravolgimento della situazione, ma un cambiamento importante, sì”.

A due anni e mezzo di distanza, però, l’impatto del sito logistico non ha solo lati positivi. L’occupazione è aumentata e Amazon, da sola, ha assicurato 1.500 posti a tempo indeterminato, diventando il primo datore di lavoro privato della provincia di Rovigo. Ma l’altro lato della medaglia sono l’alto numero di precari che per lungo tempo ha superato quello dei lavoratori con un contratto stabile; i contratti rinnovati di tre mesi in tre mesi come via preferenziale per le assunzioni, che però hanno riguardato appena un quinto dei precari; l’impiego di maestranze in lavori poco qualificati unito a un ricambio continuo di lavoratori. Lo afferma la prima ricerca organica su un impianto di questo tipo condotta dall’Istituto ricerche economiche e sociali (Ires) Veneto e dall’Università di Padova.

Nel dicembre del 2021, a poco più di un anno dall’apertura del centro, i lavoratori erano circa 2.300, ma i contratti attivati fino a quel momento erano stati più di seimila: appena il 37 per cento dei lavoratori inizialmente impiegati continuava a lavorare nello stabilimento, la maggior parte erano stati sostituiti.

Per Francesco Melis, coordinatore nazionale dei precari di Amazon del sindacato Nidil Cgil, questa è una situazione non dissimile da quella di altri centri di primo ingresso della multinazionale presenti in Italia: “La precarietà è strutturale e il turn over talmente elevato da esaurire presto il bacino di lavoratori della zona e innescare un massiccio fenomeno migratorio da altre province e regioni”.

Un’altra conseguenza negativa è stata l’aumento del 30 per cento del prezzo degli affitti e la difficoltà di trovare alloggi a cifre abbordabili in tutta la provincia di Rovigo. A San Bellino una stanza singola può costare fino a 400 euro. L’incremento dei prezzi si è esteso anche alle aree limitrofe: a Rovigo è dovuta scendere in campo l’amministrazione per calmare le proteste degli studenti , che si contendevano con i lavoratori immigrati i pochi appartamenti disponibili. È anche per questo che Tacconi ha deciso di cercare un alloggio a trenta chilometri di distanza: era l’unico modo che aveva per avere un tetto per sé e la sua famiglia.

Aree svantaggiate

Dal punto di vista dell’azienda, investire in queste aree significa offrire al territorio un’opportunità concreta di sviluppo, creando non solo occupazione, ma anche “buona occupazione”. Il salario di ingresso di un operatore di magazzino – dicono dalla società – è superiore ai minimi salariali previsti dal contratto della logistica, a cui si sommano benefit come l’assicurazione sanitaria e i buoni pasto.

L’accusa del sindacato, tuttavia, è che dietro l’insediamento in aree economicamente deboli e con alti tassi di disoccupazione, come il Polesine (ma anche come Passo Corese, San Salvo, Termoli, Colleferro), si nasconda una strategia precisa dell’azienda: sfruttare al massimo l’esercito di lavoratori “svantaggiati” presenti nel territorio come manodopera precaria e intercambiabile per fare fronte alla variabilità delle commesse.

Lo stabilimento di Castelguglielmo, in provincia di Rovigo, giugno 2023. (Antonio Fico)

La legge impone dei limiti nell’uso dei contratti a tempo e in somministrazione, che possono rappresentare al massimo il trenta per cento degli occupati di un’azienda. Ma la stessa legge riconosce delle deroghe: alcune categorie come i disoccupati da più di sei mesi, le donne (in quei settori come la logistica, dove esiste una significativa disparità nei tassi di occupazione rispetto agli uomini), i giovani under 24, le persone con più di 49 anni senza occupazione e i migranti in fase di inserimento lavorativo, non vengono conteggiati nel calcolo. L’impiego di queste categorie ai margini del mercato del lavoro permette all’azienda una notevole flessibilità, soprattutto nei tre anni successivi all’insediamento.

Nello stabilimento di Rovigo, nel febbraio 2021, a cinque mesi dall’apertura, i lavoratori a tempo e in somministrazione (cioè arrivati tramite un’agenzia interinale) erano l’84 per cento degli occupati. Un anno dopo erano diventati il 53 per cento. Oggi il precariato si è notevolmente ridotto, ma per governare i picchi viene ancora largamente usato e può rappresentare anche un terzo della manodopera complessiva.

Dal canto suo l’azienda rivendica una robusta campagna di assunzioni che ha portato a raddoppiare i dipendenti e a dimezzare i lavoratori interinali già nel primo anno di vita dello stabilimento.

Una filiera complessa

Il centro di Castelguglielmo, che abbiamo potuto visitare, è nel linguaggio della multinazionale un sortable fulfillment center. Un centro di distribuzione per articoli di piccole dimensioni come libri, giocattoli e articoli per la casa che può dare lavoro anche a 1.500 dipendenti. Sono tecnicamente dei centri di primo ingresso: il loro compito è ricevere la merce dai fornitori e sistemarla sugli scaffali. Evadere gli ordini andando a recuperare gli articoli stoccati, usando uno scanner digitale in cui è memorizzata la posizione di ogni articolo. Confezionare i pacchi e posizionarli sui nastri dove gli addetti applicano l’etichetta con i dati dei clienti. Da lì i pacchi raggiungono il reparto dove saranno caricati sui camion.

Il suono dei nastri che trasportano le merci nelle aree di carico e scarico, è la colonna sonora permanente di questi centri altamente automatizzati, “dove il lavoro può essere molto ripetitivo e, in alcuni reparti, molto usurante”, confida Ludovico Sorba (nome di fantasia per tutelarne l’identità), uno degli operai. A differenza però del vecchio impianto di Castel San Giovanni, dove si lavora ancora con i muletti, a Castelguglielmo si riducono i tempi morti con l’impiego massiccio della robotica e l’introduzione degli scaffali mobili nei magazzini. Collegati in tempo reale agli ordini, gli scaffali trasportano i prodotti alle postazioni degli operatori. L’impianto lavora a ciclo continuo su tre turni, con intervalli di mezz’ora, sette giorni su sette.

Con i non-sortable fulfillment center, i centri di distribuzione per prodotti più grandi come articoli da giardino e tappeti, rappresentano la retrovia di un sistema composto da altri tasselli. I centri di smistamento (sortation center), introdotti da Amazon nel 2014, più piccoli dei centri di distribuzione e con poche centinaia di dipendenti, smistano i pacchi dividendoli in base alla destinazione finale. Quindi ci sono le stazioni di consegna (delivery station), centri più piccoli che rappresentano l’ultimo miglio del sistema di distribuzione di Amazon.

Qui i pacchi ricevuti dai magazzini più grandi sono affidati ai driver, di norma dipendenti delle ditte esterne, per la consegna.

I centri di primo ingresso come Castelguglielmo sono dieci in tutta Italia, a cui si affiancano circa quaranta centri di smistamento.

La collocazione dei magazzini appare legata soprattutto a considerazioni logistiche: mentre le stazioni di consegna sono a ridosso dei clienti finali, vicine alle grandi aree urbane e a quelle più ricche, per quasi tutti gli impianti è cruciale la vicinanza alle grandi infrastrutture stradali e agli hub aeroportuali.

Il sito di Amazon di Castelguglielmo oltre a essere posizionato sulla Transpolesana, è a pochi chilometri dalla Valdastico (A31), un’autostrada che attraversa Rovigo da Sud a Nord e la collega a Padova e Vicenza, e dalla A13, che unisce Padova a Bologna, dove c’è l’aeroporto.

Per Matteo Poretti, segretario dei trasporti della Cgil di Rovigo, contano anche le dimensioni degli impianti: “Uno stabilimento da sessantamila metri quadrati difficilmente si raccorda con le infrastrutture di un interporto come quello di Padova, e il valore dei terreni è più economico a San Bellino che a Segrate”.

D’altra parte la strategia seguita dalla multinazionale fa sì che i centri di distribuzione e di smistamento di Amazon finiscano per essere dislocati – nota Marco Veruggio del progetto editoriale Punto critico – “in aree abitate dalle fasce sociali a basso reddito e quindi più ‘affamate’ di lavoro”.

Per avvalorare questa ipotesi, il gruppo di ricercatori ha provato a disegnare, a partire dal marzo 2022, una mappa degli insediamenti Amazon presenti in Italia, incrociando la tipologia degli impianti con il reddito imponibile medio e i tassi di occupazione delle zone interessate.

La scoperta è significativa: il reddito medio delle aree di insediamento dei centri di distribuzione e di smistamento è compreso tra i 14 e i ventimila euro, con punte di 21-22 mila euro al nord e tassi di occupazione in genere bassi. A Rovigo, per esempio, nel 2020 il tasso di occupazione era al 45 per cento (quella femminile al 34) con un imponibile medio annuo di appena quindicimila euro. Per fare un confronto, una grande città come Roma ha un reddito medio di quasi venticinquemila euro. “Ma anche quando i magazzini sono in aree metropolitane relativamente ricche, come nella capitale, sono collocati dove i redditi sono più bassi e la disoccupazione più elevata”, sottolinea Veruggio.

Flessibilità

I centri come Castelguglielmo hanno bisogno di molta manodopera flessibile. Il “sistema di produzione” di Amazon è apparentemente fordista, con una forte automazione, una rigida divisione del lavoro, ma in realtà basato sul principio della lean production, dove a comandare sono i click e le variazioni nel volume degli ordini.

Per governare il picco autunnale del black friday (il giorno in cui cominciano sconti e saldi per il Natale) e quello estivo del prime day (gli sconti annuali per i clienti Amazon prime), la multinazionale americana inforna un gran numero di precari. “Molto più alto – sostiene Melis del Nidil Cgil – nei nuovi stabilimenti, dove la percentuale di contratti a tempo può superare anche il 70 per cento, mentre in quelli storici di Piacenza o di Passo Corese il rapporto tra lavoratori a tempo indeterminato e quelli in somministrazione tende a stabilizzarsi. Ma anche qui i precari sono un polmone che si espande e si contrae, a secondo dei picchi, e che può arrivare anche al 40 per cento del personale”.

Lo stabilimento di Castelguglielmo, giugno 2023. (Antonio Fico)

Per il sindacalista, che riconosce la significativa presenza di occupati stabili, i tratti costanti in tutti gli stabilimenti sono la precarietà e un turn over esasperato, spiegabile in due modi: “Gli altissimi ritmi di lavoro che vanno a esaurire e ad abbassare la performance del lavoratore. La natura dei contratti a tempo, rinnovabili per un massimo di dodici mesi, dopo di che l’azienda deve giustificare la temporaneità del contratto con una causale. In entrambi i casi la multinazionale preferisce sostituire i lavoratori. Da qui la necessità per l’azienda di allargare sempre più l’area di reclutamento del personale”.

I dati raccolti da Ires Veneto e Università di Padova sembrano confermare questa ipotesi. “Nonostante la provincia di Rovigo abbia tassi di occupazione sia maschile sia femminile inferiori alla media del Veneto e tassi di disoccupazione molto più alti, appena il 42 per cento degli occupati sono del posto, mentre sei su dieci provengono da altre province venete, o da fuori regione”, spiega Chiara Gargiulo di Ires Veneto. “Per un lavoro che in sette casi su dieci è di addetto di magazzino. Appena il 4 per cento è assunto con una qualifica professionale intellettuale”.

Per il direttore di Confindustria, Paolo Armenio, la retorica della buona occupazione si infrange contro i numeri: “Qui a Rovigo non abbiamo le teste pensanti o gli ingegneri, ma solo magazzinieri: così non si fa sviluppo”.

Amazon ribatte citando uno studio di Nomisma secondo cui dall’apertura dell’impianto ci sono state ricadute positive sulle attività commerciali della zona e sulle aziende manifatturiere che servono lo stabilimento, spinte ad adottare sistemi più efficienti di produzione.

Nonostante ciò, nella percezione di gran parte delle istituzioni locali e dei rappresentanti di categoria, sentiti dai ricercatori, Amazon e il Polesine continuano a rimanere realtà separate. Se Amazon da un lato si dice pronta al dialogo, gran parte dei soggetti territoriali sostengono di non essere a conoscenza della strategia di sviluppo dell’azienda né di essere mai stati coinvolti in progetti in cui Amazon è capofila.

Un gigante nel territorio

Eppure, le questioni di cui discutere non mancherebbero. Nel caso specifico dello stabilimento di Castelguglielmo, si uniscono a questi problemi quelli legati al territorio. “Amazon, decidendo di aprire a Rovigo, incontra un tessuto istituzionale ed economico non preparato”, osserva il segretario della camera del lavoro, Pieralberto Colombo. “Castelguglielmo ha 1.300 abitanti, San Bellino poco più di novecento e così gran parte dei comuni della zona, mentre Amazon è un colosso che dà lavoro solo qui a quasi tremila lavoratori. Serve un maggior coinvolgimento nella gestione delle conseguenze che uno stabilimento di queste dimensioni si porta dietro”.

A cominciare dalla carente viabilità, non adeguata alla portata dei mezzi che entrano ed escono dall’impianto.

Questo implica una seconda difficoltà: quella che gli stessi lavoratori sperimentano quotidianamente per raggiungere la struttura. “Nessuno si è preoccupato di capire come sviluppare un servizio di trasporto locale che possa portare la gente a lavorare dalle principali città limitrofe a un impianto costruito in mezzo ai campi. Un migliaio di persone che si muove non è poca cosa per un territorio come quello”, sottolinea Poretti.

Il terzo problema è la carenza di alloggi. I comuni della zona, quelli da cui si può realisticamente pensare di raggiungere lo stabilimento, sono di piccole dimensioni e “soprattutto all’inizio – racconta Sorba - era praticamente impossibile trovare un appartamento libero a prezzi accessibili”.

Con un contratto di lavoro di tre mesi, risultava difficile fornire le credenziali necessarie per ottenere un contratto d’affitto. Si sono quindi moltiplicati i bed and breakfast di fortuna e altre soluzioni più flessibili.

Quando Amazon arrivò, fece scalpore il caso di Massimo Straccini, 58 anni, che pur di lavorare si era visto costretto a vivere in un camper con la moglie, all’esterno dello stabilimento. Allo scadere del suo primo contratto, Amazon decise poi di non rinnovarlo.

Da allora qualche amministrazione ha tentato di attrezzarsi: la città di Rovigo sta puntando su progetti di social housing e di welfare locale. Ma non esistono ancora forme di coordinamento territoriale ed è arduo chiedere ai piccoli comuni del Medio Polesine di fare altrettanto.

Il quarto problema è quello delle condizioni di lavoro nell’impianto. Se, a livello nazionale, i sindacati registrano una prima apertura dell’azienda a discutere di forme contrattuali che garantiscano una maggiore continuità occupazionale, secondo Poretti “resta l’opposizione di Amazon ad aprire tavoli di contrattazione locale, in cui discutere di applicazione del contratto e di flessibilità, che sappiamo essere il cuore del loro sistema”.

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