È una domenica afosa di metà giugno, i giardini della stazione di Trento offrono un fresco riparo a diverse persone tra la statua di Dante e il laghetto. Basta alzare lo sguardo e il mausoleo di Cesare Battisti è lì, sulla collina che sovrasta la città, a ricordo dell’irredentismo italiano del primo novecento.
Lucia Martinelli, ricercatrice del Muse, il Museo delle scienze di Trento e presidente dell’European platform of women scientists, rete di circa 15mila scienziate di tutta Europa, è nata poco distante da qui, nella casa dei nonni. La madre, casalinga e molto creativa, “sapeva parlare con tutti e apriva casa a chi ne avesse bisogno. Alla fine degli anni cinquanta arrivavano conoscenti dai paesi vicini, per una visita medica o per cercare lavoro, e lei con la sua grande umanità li accoglieva per un caffè. Io ero poco più di una bambina, ora mi dico che ho preso da lei l’anima empatica”.
Di anime Lucia Martinelli ne ha molte, già dalle elementari era appassionata di musica, ha suonato anche l’antico organo della chiesa di Santa Maria maggiore, ma era anche curiosa di sapere cosa fosse la tubercolosi o come si curassero le allergie: “I docenti dicevano che avevo troppi interessi: la verità è che mi sono identificata molto anche con la razionalità di mio padre, un ingegnere della ricostruzione pubblica del dopoguerra con grandi capacità divulgative. Avevo difficoltà con la matematica e la fisica, ma quando me le spiegava lui esclamavo: ‘Non è possibile che sia così facile!’”.
Un passato di rivolta
Cresciuta nella Trento sessantottina, impara giovanissima a suonare la chitarra per cantare la rivolta e mentre arriviamo al ristorante, locale storico a pochi passi dal Duomo, racconta di quanto sia importante la musica nella sua vita. Durante la conversazione verrà fuori un’intera playlist, con canzoni che vanno da Piazza Grande di Lucio Dalla alle ballate di Claudio Lolli che la riportano con il cuore alla città dei suoi studi a Chove en Santiago, ripresa da un sonetto di García Lorca in gallego e scoperta durante il suo soggiorno a Santiago di Compostela con una borsa Marie Curie, passando per Il suonatore Jones di Fabrizio De Andrè, “che butta all’aria il suo strumento e la sua identità e senza rimpianti va avanti”.
È la filosofia che l’accompagna, da quando, dopo il liceo classico, indecisa fra il Dams e biologia, si trasferisce a Bologna e si laurea in scienze biologiche negli anni degli Indiani metropolitani (la cosiddetta “ala creativa” del movimento del ’77, nato dopo le proteste del sessantotto nell’area della sinistra extraparlamentare) e dell’incidente con la diossina a Seveso: “Andavo a seguire le riunioni a chimica ed ero molto interessata anche alla medicina del lavoro, ma volevo occuparmi di genetica, che in Italia non era ancora molto sviluppata. Così dopo la tesi ho fatto il dottorato all’Università di agraria di Wageningen nei Paesi Bassi, dove si sviluppavano le biotecnologie delle piante. Sarei voluta tornare a Bologna e restarci, invece essendo pioniera di quelle tecniche ho avuto prima un’opportunità di lavoro in California, inviata da Agrimont-Montedison. Poi ho fondato la ricerca nelle biotecnologie nei laboratori di San Michele all’Adige: la provincia di Trento era già all’avanguardia per sostenere la ricerca”.
Martinelli ha attraversato da protagonista gli anni novanta con le polemiche sugli organismi geneticamente modificati (ogm), e ci tiene a chiarire: “Ho fatto parte di una generazione che credeva di poter salvare il mondo con queste tecniche. Il problema però non è la scienza ma il suo uso. All’inizio degli anni duemila la ricerca in questo settore si è spostata dal settore pubblico a quello privato: da un lato le industrie hanno forzato la mano nell’applicazione, e dall’altro la comunità scientifica non è riuscita a comunicare che queste tecniche non servono solo al profitto, ma alla conoscenza”.
Oggi abbiamo sementi e alimenti ogm, ma con regolamentazioni ben precise e rigide in Europa: “È una questione politica: come applichi la scienza, a chi è in mano la conoscenza e come viene comunicata”, spiega Martinelli, “sugli ogm come sui vaccini è necessario non solo chiarire gli aspetti scientifici ma anche quelli personali e sociali. Dove però ci sono posizioni ideologiche è difficile un reale confronto”.
Non va bene, ne è convinta Martinelli, impartire lezioni: “Una delle cose più difficili da accettare per chiunque è che la scienza non dia certezze e questo inquieta molto. Se un medico mi dice che ho il 30 per cento di possibilità di guarire, cosa indica quel 30 per cento per me? È tanto, è poco? Che emozioni mi scatena? La comunità scientifica, di cui mi sento parte, spesso non ha l’empatia necessaria, crede che le spiegazioni tecniche portino le persone ad accettare una tecnologia o un farmaco, mentre le persone hanno bisogno di capire soprattutto il contesto, oltre che il lato tecnico. Un aspetto importante è la fiducia. Il grado di istruzione non necessariamente produce fiducia nella scienza e in chi la propone. La gente vuole essere ascoltata e sentire che tu capisci i loro dubbi. Non possiamo svilire chi hai davanti con una lezione”.
Dopo tanti anni di studio con gruppi internazionali multidisciplinari, Martinelli ritiene che “in Italia continuiamo a separare troppo le materie umanistiche da quelle scientifiche. Con il risultato che la media delle persone ha poche conoscenze scientifiche e la comunità scientifica media ha poco interesse per gli aspetti culturali della scienza e poca capacità comunicativa. Questo contribuisce a rafforzare lo stereotipo dello ‘scienziato pazzo’ o, più in malafede, pagato dalle industrie. Si sente dire spesso che gli scienziati siano atei o agnostici, io preferisco parlare di laicità”.
Laicità significa ascoltare senza pregiudizi, ma senza derogare a valori e metodi solidi e riproducibili. È anche per questo che da anni lavora sulla comunicazione, tessendo insieme scienza e arte. Tra i suoi progetti anche ETERNEeTÀ, la messa in scena di un dialogo tra una scienziata e un’a artista su un tema di grande attualità: la paura di invecchiare.
A che serve vivere a lungo e male?
“Quando ero all’università, avevamo costituito il ‘collettivo dell’ameba’ che è teoricamente immortale. Ma l’idea di questa performance è nata da varie suggestioni, tra cui la storia di Henrietta Lacks, una donna nera morta giovane negli anni cinquanta per un tumore alla cervice dell’utero e che non ha mai saputo che le sue cellule, prelevate con la biopsia, sono ancora oggi utilizzate nei laboratori, e hanno fatto ottenere perfino molti premi Nobel. Ho riflettuto molto sulla sua storia. Condivido l’idea dell’Oms: ‘È meglio aggiungere vita agli anni piuttosto che anni alla vita’. A che serve vivere a lungo ma male? La scienza dovrebbe concentrarsi per migliorare la qualità della vita”.
Non solo, aggiunge Martinelli mentre assaggiamo un piatto tipico trentino: “Ancora tante persone nella comunità scientifica non tengono conto che la scienza attuale deve considerare l’innovazione di genere dal punto di vista sia biologico sia culturale. Per esempio, c’è il rischio di trasferire all’intelligenza artificiale i nostri stereotipi, anche quelli legati al genere”.
“I pregiudizi possono rendere le materie scientifiche poco attrattive per le donne”, spiega. “Se mi rappresenti solo modelli maschili o donne premi Nobel è certo che mi scoraggio! Le scienziate sono donne normali, calate nel nostro tempo. Dobbiamo chiederci in quali modelli una ragazza si può identificare oggi. Non è un caso che da quando Samantha Cristoforetti racconta il suo lavoro nelle scuole, molte ragazze dicono di voler fare l’astronauta o studiare materie scientifiche, perché la sentono vicina”.
Secondo Martinelli tutte noi siamo modelli viventi e si sofferma su un aspetto per lei fondamentale: “Credo che nessuna debba sprecare i propri talenti, né possiamo permettere ad altri di metterli sotto scacco con bullismo o mobbing, li considero delitti enormi. Anche per questo credo sia molto importante il mentoring, lo scambio e il sostegno di altre persone. Nella mia carriera ho vissuto diversi ostacoli, ma ho avuto anche tanti aiuti, anche solo un consiglio o un’opportunità, e provo gratitudine per tutte queste persone: spero anch’io di poter fare come loro”.
La Cantinota
Via San Marco 22, Trento
2 ravioloni al mirtillo con ragù di cervo e funghi misti e porcini 28,00
Verdurina del giorno al vapore 6,00
Fantasie di verdure alla griglia 7,00
Strudel di mele renette in salsa vaniglia 6,50
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Coperto 3,00
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Totale 68,50
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