“Sono stato ad Agape, la comunità valdese nell’alta val Germanesca”, “È morto Fausto Coppi! Mio padre certo piangerà, ma anch’io ho pianto”, “Nel pomeriggio ho visto Notte e nebbia di Resnais (più serio di Hiroshima!)”, “Ho visto finalmente in un cinema verso San Giovanni Il posto delle fragole”, “Eccomi a Parigi da ieri mattina, con impressioni confuse”…Gli artisti possono permettersi degli aggettivi a loro nome quando l’immaginario che hanno evocato diventa più grande della loro stessa opera – vedi felliniano, kafkiano, lynchiano – oppure quando il loro stile diventa più una maniera che un modello.
Ora, è uno strano caso di aggettivazione dal vivo quello che è toccato in sorte a Goffredo Fofi: cosa vuol dire fofiano? È un termine che sta per cose diverse, come gli inizi dei racconti che abbiamo appena citato: è un atteggiamento di ironica idiosincrasia nei confronti della società contemporanea; sta per una forma di militanza culturale che mescola curiosità tanto infinita da sembrare una gioventù inesauribile; ricorda quella che è una piccola tradizione (minore più che minoritaria) nella storia culturale italiana degli ultimi sessant’anni che ha unito mondi culturali, politici, sociali, prima distanti; e soprattutto contraddistingue un modo di stare in una rete di amici e compagni, mettendosi a lato, venendo dopo. Fofiano è sicuramente anche Emiliano Morreale, il curatore di Son nato scemo e morirò cretino, una raccolta di scritti di Goffredo Fofi che parte dal 1956 e arriva al 2021. Si tratta di una scelta antologica dichiaratamente arbitraria che cerca però di essere rappresentativa: un’introduzione per quei lettori che non hanno conosciuto Fofi o non conoscono la sconfinata moltitudine di interessi che la sua anima rabdomantica ha toccato.
L’asistematicità dello sguardo che Morreale sceglie è una forma di pedagogia della parzialità nel merito e nel metodo: quelli di Fofi certo sono “tutti approdi parziali, perché Fofi, come sa chiunque lo conosca, è in viaggio quasi quotidiano attraverso l’Italia, fiducioso in un contatto diretto con le varie realtà, di casa nei posti più improbabili: una figura che nell’era dei contatti virtuali porta ostinatamente avanti una ricerca fisica di luoghi e persone”.
Doppio romanzo di formazione
Si può leggere quindi Son nato scemo e morirò cretino come un doppio romanzo di formazione: di uno dei più importanti intellettuali europei e del nostro paese, che passa dalla prima marcia Perugia-Assisi del 1963 a una dimensione culturale ridotta quasi del tutto a comunicazione.
È questo uno dei temi su cui Fofi insiste di più negli ultimi anni, non solo nei suoi numerosi interventi sui giornali, ma anche in modo più articolato nel libro L’oppio del popolo (Eleuthera 2019), ed è questa anche la traccia morale che si può seguire leggendo l’antologia all’indietro come andando a riconoscere quello che costituisce il suo lascito politico più importante: la capacità di mettere in connessione generazioni diverse.
È per questo commovente leggere insieme a Son scemo… un’altra antologia di scritti di Fofi appena uscita per e/o: Cari agli dei. È una serie di ritratti di intellettuali, attivisti, artisti, soprattutto compagni di strada e maestri scomparsi che vengono ricordati come stelle di riferimento. Fofi scrive: “Ho conosciuto, per mia immensa fortuna, tanti grandi intellettuali italiani dal dopoguerra in avanti, e ne sento grande la mancanza nell’Italia di oggi, di fronte alla mediocrità e al conformismo che caratterizzano l’enorme maggioranza (una massa) degli intellettuali italiani di oggi, con ben rare eccezioni. Dove sono finiti i Calvino e i Silone e i Bobbio e i Calamandrei […] e le Zucconi e le Cherchi e Dolci e i don Zeno e i padre Davide e i padre Camillo e i Dossetti e i Carretto eccetera, eccetera, eccetera… […] ai quali ho avuto modo di voler bene sia pure in modi a volte conflittuali come è giusto che sia?”.
Ci sono pagine commoventi nei ricordi di Fofi, non solo per la memoria della perdita, ma per la cognizione che ogni persona che se ne va si porta via un mondo intellettuale e culturale per cui toccherà a chi resta provare, faticosamente alle volte velleitariamente, a tenerne traccia.
Questo merito morale va dato a Fofi, che da sempre ha raccontato le sue relazioni pubbliche non per mettersi al centro di una qualunque scena, ma perché si è reso conto che di molte di quelle esperienze sarebbe stato difficilissimo rammentarne la complessità. Il ricordo più struggente è quello dedicato ad Alessandro Leogrande, l’ultimo della raccolta, Fofi stesso lo ammette, caricandosi il peso di un’eredità che non si sarebbe voluta: “Racconto tutto questo in sostanza per dire due cose. La prima è che Alessandro era molto più intelligente di me e più studioso e meno superficiale. Io sono sempre stato e rimango un empirico. […] La seconda è che Alessandro è stato una delle presenze più acute e morali non solo della sua generazione”.
C’è molto da imparare da queste pagine, c’è molto da conservare, e soprattutto sta a noi, farle conoscere a altri.
Goffredo Fofi, Son nato scemo e morirò cretino – Scritti 1956-2021, minimum fax, 496 pagine, 18 euro
Goffredo Fofi, Cari agli dei, Edizioni e/o, 160 pagine, 15 euro
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it