Da quando Galileo Galilei ha teorizzato il metodo scientifico nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo nel 1632, la scienza è diventata un modo per guardare il mondo con occhi nuovi, interpretando gli eventi secondo un insieme di leggi che ne predicono l’andamento.
Molti degli studi attuali sul linguaggio, che si rifanno alle teorie del linguista statunitense Noam Chomsky, cercano di formulare delle leggi universali in grado di spiegare e predire i fenomeni linguistici osservabili nelle lingue del mondo.
Uno dei contributi fondamentali della ricerca linguistica chomskiana è stato individuare dei princìpi condivisi da tutte le lingue naturali e dei parametri che governano la variazione linguistica. Un esempio di principio comune a tutte le lingue è rappresentato dal fatto che ogni frase deve avere un soggetto. Le lingue variano in base al parametro che determina se il soggetto di una frase deve essere pronunciato oppure no.
Questi princìpi e parametri non vengono violati nemmeno nella grammatica di pazienti affetti da vari tipi di malattie cerebrali e in quella di bambini che stanno acquisendo la lingua materna (e non). Le stesse conclusioni valgono quando si considerano i dialetti e le varietà “non standard”: questi sistemi linguistici mostrano regolarità e schemi grammaticali analoghi a quelli osservabili nelle lingue di cultura. Potrebbe inoltre sorprendere che i dialetti, al momento, costituiscono uno dei migliori laboratori virtuali per comprendere i meccanismi intrinseci del linguaggio.
Il metodo scientifico è basato sulla possibilità di costruire un esperimento manipolando un unico fattore e mantenendo gli altri costanti. Questo permette di scindere un sistema complesso multifattoriale in fenomeni ascrivibili a una regola relativamente semplice.
Per ragioni etiche, non è possibile costruire esperimenti insegnando ai bambini lingue inventate in cui una sola proprietà viene manipolata come richiesto dal metodo scientifico.
Per isolare i singoli fattori che determinano la complessità dei sistemi linguistici, è possibile però sfruttare il fatto che i dialetti possono essere lingue grammaticalmente molto simili tra loro e che non sono modificate a tavolino dalla grammatica normativa.
La variazione tra dialetti ci permette di mimare un laboratorio in cui le variabili alla base del linguaggio vengono scisse e i singoli fattori possono essere osservati e studiati al microscopio. Similmente, l’acquisizione dei dialetti permette di raffinare le nostre ipotesi su come i bambini apprendono le lingue.
Studiando l’acquisizione dei dialetti si ritrovano esattamente gli stessi meccanismi e le stesse fasi che osserviamo nell’acquisizione di lingue standard.
Inoltre è possibile studiare la competenza di parlanti italiano-dialetto come caso particolare di bilinguismo, calcolando non solo il grado di bilinguismo ma anche il modo in cui le due lingue, italiano e dialetto, contribuiscono a sviluppare capacità cognitive nelle funzioni esecutive, cioè processi di pianificazione, controllo e coordinazione del sistema cognitivo, più efficaci di quelle in parlanti monolingui.
Emanuela Sanfelici è professoressa associata presso il dipartimento di studi linguistici e letterari dell’Università degli studi di Padova.
Cecilia Poletto è professoressa ordinaria presso il dipartimento di studi linguistici e letterari dell’Università degli studi di Padova.
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