Il crinale appenninico in questi giorni appare brullo e desolato, quasi spettrale. Prevale il colore marrone dell’erba secca e il grigio delle nuvole basse che si inseguono sospinte dal vento. Più in basso, gli impianti e i cannoni per la neve artificiale sono fermi, a causa delle temperature troppo elevate. Si cammina sul fondo delle piste evitando le pozzanghere quando, in questo periodo dell’anno, il terreno dovrebbe essere stabilmente gelato.
In quota la temperatura non scende sottozero da quasi venti giorni, precisamente dal 17 dicembre. Da allora la stazione meteorologica dell’Arpae Emilia-Romagna, posizionata in prossimità del punto d’arrivo di uno degli impianti di risalita del Corno alle Scale, a 1.662 metri sul livello del mare, ha sempre registrato, giorno e notte, temperature positive anche superiori ai 5 gradi. I 30-40 centimetri di neve caduti a fine novembre sono ormai totalmente fusi. I carabinieri forestali, nelle loro uscite di monitoraggio e valutazione del pericolo valanghe non incontrano più alcun deposito di neve, neanche negli avvallamenti in prossimità del crinale, di conseguenza il bollettino Meteomont, che viene diffuso dall’arma, riporta invariabilmente la dicitura “no snow”.
Il 2023 per quanto riguarda la neve non porta novità, si apre con un 1 gennaio tra i più caldi di sempre sulla vetta del monte Cimone, la montagna più alta dell’Appennino settentrionale. Secondo solo al 1 gennaio 2022 quando le temperature in quota schizzarono su valori quasi estivi.
Le foto di questa desolazione si sono diffuse rapidamente provocando una serie di reazioni, anche al livello politico. Il sindaco di Lizzano in Belvedere, comune dell’Appennino bolognese nel quale ricadono gli impianti del Corno alle Scale, lo scorso 29 dicembre, intervistato da Repubblica, ha affermato: “Il cambiamento climatico? Io credo poco a questi scienziati che guardano il futuro. Quella che è in atto è una vera e propria guerra alla montagna, questa è la verità. Con tutta questa propaganda vogliono soltanto spopolarla sempre di più”. Parole scagliate contro la scienza, che suonano come uno sfogo. Sono pronunciate dal sindaco, ma rispecchiano la difficoltà di un’intera comunità. In queste zone l’economia è rimasta ancorata allo sci da discesa, esploso alla fine degli anni settanta quando nevicava abbondantemente, tanto da ipotizzare impianti anche a quote più basse.
Intensità e frequenza
Oggi le condizioni climatiche sono già cambiate a causa del riscaldamento globale, ma abbiamo anche una conoscenza più approfondita della questione. Abbiamo più dati, più certezze sulle oscillazioni del clima passato e su quello che ci aspetta nel futuro, possiamo pianificare meglio le nostre infrastrutture e diversificare l’economia per adattarci a un clima diverso.
“Io sono nato e cresciuto qui e posso assicurarle che di Natali senza neve ne abbiamo già visti”, ha continuato il sindaco, confidando in una nevicata provvidenziale. Sappiamo invece che non basterà una nevicata a salvare l’Appennino perché la temperatura è già cresciuta troppo e la neve, anche quando scende, dura di meno a terra. La permanenza del manto nevoso dipende dalla quantità delle precipitazioni nevose, dalla loro frequenza, e in larga misura dalla temperatura dell’aria nei giorni successivi alla nevicata.
L’intensità delle precipitazioni non è diminuita, al contrario sopra i 1.500 metri tende ad aumentare per effetto della maggiore presenza di vapore acqueo. In anni recenti ci sono state, paradossalmente, abbondanti nevicate, per esempio all’inizio del 2021 quando gli impianti erano chiusi a causa della pandemia.
Il problema invece dipende dalla frequenza delle nevicate, che è in netto calo specialmente all’inizio dell’inverno: sono troppo intermittenti e troppo avanzate nella stagione, di conseguenza i Natali saranno sempre più verdi e senza neve. Inoltre la temperatura è in forte e costante aumento. Questi fattori annullano il vantaggio dell’aumento dell’intensità delle precipitazioni.
In Emilia-Romagna la temperatura media degli ultimi trent’anni è aumentata di +1,2 gradi rispetto ai trent’anni precedenti . Può sembrare poco ma per ogni grado in più la linea di permanenza della neve al suolo si sposta più in alto di 150-200 metri, rendendo le condizioni necessarie allo sci da discesa sempre più improbabili.
In Italia il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1800, secondo le analisi del Consiglio nazionale delle ricerche. Anche in Emilia-Romagna è stato il più caldo, battendo di quasi mezzo grado il precedente record stabilito nel 2014, come evidenziano i dati dell’Arpae. La linea di permanenza della neve al suolo al momento è stimata intorno ai 1.700 metri sull’Appennino settentrionale, e con l’attuale tasso di aumento della temperatura (+3,7 gradi in cent’anni), tra vent’anni avrà già raggiunto la quota di arrivo degli impianti.
La crisi climatica sembra far già paura e genera un comprensibile senso d’impotenza e spaesamento per la rapidità con cui si sta manifestando. Per questo, prima si prende coscienza del problema più tempo ci sarà per ripensare un diverso modello economico e di vita per l’Appennino, che non potrà più essere basato sulla monocultura dello sci da discesa.
Non basterà la promessa di soluzioni tecnologiche, come i cannoni sparaneve hi-tech che permetterebbero di produrre neve anche a temperature sopra lo zero, invocati recentemente dal presidente della regione Stefano Bonaccini. Non è possibile e sostenibile pensare un Appennino “artificiale” per prolungare l’agonia di un settore che non potrà essere più redditizio, non solo per il clima mutato, ma anche per l’aumento dei prezzi dell’energia e per la scarsità di acqua. Così come appare insensato, alla luce della attuali condizioni, il rinnovamento e l’ampliamento degli impianti di risalita voluto dalle regioni Toscana ed Emilia-Romagna.
Altre possibilità
Bisognerebbe fermarsi, discutere, valutare quali altre possibilità di sviluppo si possano creare, “anche imparando da altre amministrazioni in Svizzera, Austria e Baviera, ma anche in Valle d’Aosta, che hanno saputo guardare avanti e stanno già riconvertendo o pensando di riconvertire aree sciistiche poste a bassa quota”, come afferma in un comunicato l’associazione Coalizione Civica per Bologna.
In tal senso il comprensorio del Corno alle Scale si trova all’interno dell’omonimo parco naturale regionale dove si potrebbe godere di spazi di alto valore naturalistico in maniera diversa e continuativa, a seconda delle condizioni climatiche. Se riportato a condizioni totalmente naturali, lasciando magari un solo impianto per salire in quota, potrebbe diventare una sorta di paradiso per camminatori, scialpinisti, mountain bikers o famiglie in gita lungo i sentieri. Del resto la richiesta di turismo lento è in forte espansione come testimoniato per esempio dal grande successo dei cammini di lunga percorrenza.
L’investimento vero e di prospettiva andrebbe fatto sul trasporto pubblico, con maggiori interconnessioni tra ferrovia e autobus verso i paesi dell’Appennino. Collegamenti che non solo permetterebbero di incrementare il turismo in tutti i periodi dell’anno, ma che sono anche una condizione necessaria per frenare lo spopolamento e cominciare a pensare a un ritorno alla montagna come condizione di vita permanente, magari per sfuggire al gran caldo della pianura.
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