Juan Carrito è un giovane orso bruno marsicano, il più famoso tra i circa cinquanta esemplari della specie che si aggirano tra il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e le zone limitrofe. La sua storia è perfetta per raccontare le difficoltà della convivenza tra animali ed esseri umani in una regione dove il selvatico deve negoziare ogni giorno i suoi spazi con le infrastrutture, l’economia e il turismo.
Tecnicamente, Juan Carrito è un “orso confidente”: la sua educazione animale gli ha insegnato a non avere paura degli umani. Che gli orsi non si sentano più in pericolo è una buona notizia, ma è anche una nuova complessità per un territorio così piccolo. Juan Carrito era uno dei cuccioli di Amarena, che nell’estate del 2020 avevano imperversato nella zona di Scanno: sono stati avvistati di continuo, rincorsi dalle auto, fotografati e nutriti.
Una volta diventato adulto, ha applicato quella lezione e lo scorso inverno ha trascorso il risveglio dall’ibernazione per le vie di Roccaraso, la più affollata destinazione sciistica della regione. Le sue avventure sono un’antologia di video buffi con titoli come “l’orso che gioca col pastore tedesco” o “l’orso che aspetta il treno in stazione”.
“Gli orsi diventano confidenti quando perdono la naturale diffidenza, sono attratti dalle aree abitate perché trovano cibo di facile accesso, alveari, pollai o rifiuti non gestiti”, spiega Marco Antonelli, zoologo del Wwf.
“Sono animali pacifici, non ci sono mai stati attacchi, ma un orso di 150 chili che gira senza paura in un paese pieno di gente è un problema per se stesso e per le persone. Non può stare lì e la colpa è della cattiva gestione umana”. Troppo cibo incustodito, poca preparazione alla condivisione del territorio, spazi limitati.
Cent’anni di parco
L’unica risposta possibile per l’esuberanza di Juan Carrito è stata di catturarlo e rinchiuderlo per qualche settimana in un’area faunistica nel Parco nazionale della Maiella. Ora è tornato libero e la speranza di animalisti, scienziati e amministratori è che si tenga lontano dai centri abitati .
Ma non sarà facile: gli orsi, soprattutto i maschi, sono dei viaggiatori e hanno bisogno di spazio, ma è difficile vivere in un habitat continuamente spezzato da autostrade e impianti sciistici. A volte gli animali entrano nei paesi perché non sanno dove altro andare. Quella del marsicano è la più densa popolazione di orsi al mondo, ma per non rischiare l’estinzione deve allargare il suo areale, cioè il territorio in cui vive.
Se a morire è una femmina è un problema enorme per il futuro della specie, ci vorranno dodici anni a rimpiazzarla
Il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, insieme al Parco nazionale Gran Paradiso, è il più antico d’Italia e quest’anno compie un secolo di vita. “Ormai ha raggiunto la capacità massima per la sostenibilità degli orsi”, spiega Roberta Latini, zoologa del parco. Per avere un futuro stabile, il suo ospite più illustre deve colonizzare spazi più ampi di quelli in cui vive attualmente.
I segnali che la popolazione si sta espandendo ci sono: le femmine, di solito più sedentarie, hanno cominciato a partorire fuori dal parco, mentre i maschi sono stati avvistati in un’area che va dal Molise settentrionale ai Monti Sibillini nelle Marche.
Secondo uno studio dell’università La Sapienza, l’intero Appennino centrale avrebbe spazio per ospitare circa duecento esemplari. Se si sfruttasse tutto questo territorio si potrebbe creare una popolazione resiliente, in grado di reggere annate negative per le poche nascite, le malattie o le morti improvvise.
Pur essendo una specie protetta, spiega Latini, nel 90 per cento dei casi la vita di un orso da queste parti finisce per cause umane, dirette o indirette. “Se a morire è una femmina è un problema enorme per il futuro della specie, ci vorranno dodici anni a rimpiazzarla”.
L’ultimo caso di bracconaggio risale al 2014, un orso fu ucciso per vendetta a Pettorano sul Gizio, dopo l’assalto a un pollaio. Gli investimenti stradali, invece, sono una costante. Come quello dell’ottobre del 2021 sull’A25, tra Avezzano e Celano.
Mettere in protezione le strade è tra le battaglie di Salviamo l’orso, una delle ong attive sul territorio. Servono ottanta chilometri di barriere lungo le due autostrade che tagliano la regione e corridoi ecologici per aiutare gli animali ad attraversare.
“È un intervento necessario per la sicurezza degli animali e degli automobilisti”, dice Stefano Orlandini, presidente di Salviamo l’orso, che in questi anni ha piazzato sulle strade che attraversano il parco dei cartelli per avvertire gli automobilisti e delle barriere luminose e sonore per fermare gli orsi.
Non basta mettere in sicurezza le strade per garantire un futuro stabile all’orso marsicano: serve la partecipazione di tutta la comunità. Il modello proposto da Salviamo l’orso si chiama bear smart community, una strategia importata dalla provincia della Columbia Britannica, in Canada. Il primo luogo in cui è stata sperimentata è proprio Pettorano sul Gizio. L’obiettivo è creare le basi per una convivenza pacifica tra gli animali e le attività economiche che li potrebbero attirare.
A Pettorano sul Gizio oggi ci sono recinti elettrificati per le stalle, porte blindate per i pollai e una gestione consapevole della spazzatura, per far sì che gli orsi non cerchino il cibo nelle aree agricole. A questo scopo si è deciso di curare dei frutteti abbandonati – meli, peri e ciliegi – senza valore commerciale, ma ottimi per sfamare gli orsi avventurosi. La sperimentazione è andata bene e il modello sarà applicato a un’altra decina di comuni: “Vorremmo che tutto l’Abruzzo diventasse una bear smart community”, conclude Orlandini.
C’è un altro ostacolo alla convivenza tra umani e orsi: l’industria sciistica è in espansione, nonostante la neve sia irregolare e imprevedibile a quote basse come quelle appenniniche. Dal Terminillo alla Maiella, è un fiorire di ampliamenti delle infrastrutture per gli sport invernali, che frammentano ancora di più l’habitat dell’orso.
Turismo senza limiti
Luciano Sammarone, direttore del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è consapevole che la conservazione dell’orso va oltre i limiti geografici e operativi del parco.
“La tutela la dovrebbero fare tutti, non solo gli agenti forestali e i guardiaparco, ma anche i residenti e i turisti. È stato più facile spingere i nostri nonni boscaioli e allevatori a fare un passo indietro nell’interesse della biodiversità che convincere i turisti ad affrontare la natura con rispetto. È difficile insegnare al turismo il senso del limite, che ci sono luoghi dove non andare, che in foresta non si può fare tutto”.
Negli ultimi anni il numero dei turisti è cresciuto e anche la pressione sugli animali. “Tutti i pacchetti turistici oggi sono finalizzati all’avvistamento dell’orso o sulle tracce del lupi o nel regno del camoscio. La stagione dell’amore e dei bramiti dei cervi è diventata un assedio. Il turismo sta diventando uno dei disturbi principali agli equilibri del parco”, spiega Roberta Latini.
La ricerca della giusta distanza tra territori antropizzati e spazi selvatici riguarda tanti grandi mammiferi italiani. La popolazione dell’orso marsicano è rimasta stabile nell’ultimo secolo, ma quella degli ungulati (cervi, cinghiali, daini) è esplosa insieme alla conquista di territorio del bosco.
I lupi sono tornati a partire dagli anni settanta, quando si è passati dal cacciarli alla protezione integrale: oggi ce ne sono circa duemila, ben distribuiti in tutto il paese.
Sulle Alpi l’orso bruno era praticamente scomparso negli anni novanta, prima del ripopolamento iniziato con il programma Life Ursus nel 1996. Erano tre, oggi sono un centinaio, sparsi tra Trentino e Friuli, spesso accompagnati, anche più che in Abruzzo, da tensioni sociali.
Per l’orso bruno marsicano, l’obiettivo è raddoppiare la popolazione entro il 2050. Servono spazio, strade sicure, modelli di convivenza e turismo consapevole.
L’Ursus arctos marsicanus è una sottospecie dell’orso bruno e vive solo nell’Italia centrale. Ha un udito molto sviluppato e un olfatto acutissimo che lo aiuta nella ricerca del cibo. La vista è invece mediocre.
Classe Mammiferi (mammalia)
Ordine Carnivori (carnivora)
Famiglia Ursidi (ursidae)
Verso Ruglio
Dimensioni In media un maschio adulto pesa tra i 140 e i 210 chili e può essere lungo fino a 1,80 metri
Quanto vive 35-40 anni
Habitat Vive principalmente nei boschi, ma frequenta anche le praterie in alta quota o i terreni coltivabili a fondovalle
Cosa mangia È onnivoro, ma la sua dieta è costituita per l’80 per cento da vegetali
Fonte: parcoabruzzo.it
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