“Non è nella nostra cultura”: con queste parole il ministro per la pubblica amministrazione Renato Brunetta ha sintetizzato lo scetticismo del centrodestra nei confronti del salario minimo, la soglia minima di retribuzione che un datore di lavoro è tenuto a pagare ai dipendenti per il lavoro svolto in un determinato periodo. Dopo l’accordo annunciato a Bruxelles per una legge sul salario minimo nell’Unione europea, emergono le resistenze della politica alla proposta di alzare i salari.
Per chi lavora, il salario minimo è una risposta concreta e urgente: i salari sono troppo bassi. L’Ocse sottolinea che l’Italia è l’unico paese europeo in cui la media degli stipendi è diminuita del 2,9 per cento negli ultimi trent’anni, mentre in Germania e in Francia aumentavano rispettivamente del 33 e del 31 per cento. In Italia, inoltre, 4,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 9 euro all’ora, in particolare nei settori della logistica, della ristorazione, del turismo e della cura. Il rapporto Oxfam sul lavoro povero ha dato un’immagine inclemente delle condizioni di lavoro in questi settori, mostrando come l’incidenza dei lavoratori con basse retribuzioni sia in continua crescita. In Italia la deindustrializzazione e l’assenza cronica di investimenti hanno favorito la proliferazione di forme di lavoro atipiche, caratterizzate da bassa produttività e bassi salari. Il rapporto Svimez descrive il lavoro povero come un’“emergenza sociale”: i lavoratori poveri erano circa 3 milioni prima della pandemia e oggi sono circa 3,5 milioni, un dato che promette di aumentare velocemente, complici la crescita dell’inflazione e il caro vita. Un salario minimo di 9 euro all’ora, come prevede la proposta dell’ex ministra del lavoro e della politiche sociali Nunzia Catalfo, porterebbe a un aumento di stipendio per circa il 30 per cento dei lavoratori.
Forse per questo dai sondaggi emerge un grande consenso sociale per questa misura. Il problema è la politica. In questi giorni le obiezioni all’introduzione di un salario minimo sono state le più diverse. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha definito il salario minimo “un’arma di distrazione di massa rispetto ai problemi del lavoro in Italia”, mentre il presidente della Confindustria ha proposto di ridurre il costo del lavoro per mettere “i soldi in tasca agli italiani”. Non sorprende che le destre o le organizzazioni dei datori di lavoro preferiscano ridurre i salari, piuttosto che aumentarli. La vera domanda è come possano i sindacati avere ancora dubbi su cosa sia giusto fare.
Francesca Coin, sociologa, insegna all’università di Lancaster.
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