“Anche i boss di Porta Nuova contro il reddito di cittadinanza: ‘Non si trovano più picciuttieddi’”. Titolava così il quotidiano Palermo Today qualche giorno fa, spiegando che i capi mafiosi di Porta Nuova, a Palermo, sono contrari al sussidio ai più poveri perché, da quando è stato introdotto, non riescono più a trovare bassa manovalanza da destinare allo spaccio. La notizia aggiungeva una nuova ragione di allarme nella campagna estiva contro il reddito di cittadinanza, che da settimane presenta l’Italia come un paese adagiato sull’assistenzialismo nel quale la possibilità di accedere a forme di supporto al reddito ha messo in crisi interi settori produttivi. In questo contesto, il rapporto annuale dell’Inps presentato l’11 luglio alla camera ha smentito molti luoghi comuni e ha restituito il ritratto di un paese nel quale il problema più urgente da risolvere non è il reddito di cittadinanza, ma il lavoro povero.
Prendiamo la ristorazione: mentre i mezzi d’informazione ci dicono ogni giorno che mancano lavoratori nella ristorazione a causa del reddito di cittadinanza, il rapporto dell’Inps ci dice che in questi settori il 64,5 per cento degli addetti in alberghi e ristoranti è “lavorativamente povero”, a fronte di meno del 5 per cento nel settore finanziario. I salari sono troppo bassi, insomma, per attirare lavoratori. Di fatto, il lavoro povero è più diffuso in Italia che nel resto d’Europa: in Italia nel 2019 era povero l’11,8 per cento dei lavoratori, contro una media europea del 9,2 per cento. Il 23 per cento dei lavoratori, inoltre, guadagna meno di 780 euro al mese: un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza. Il rapporto dice inoltre che il lavoro è pagato così poco che una parte cospicua dei lavoratori poveri riesce a sopravvivere solo ricorrendo all’assistenza per integrare salari troppo bassi. Se è vero, infatti, che due terzi dei percettori di reddito di cittadinanza sono minori, anziani e persone disabili, il 20 per cento ha continuato a lavorare in questi tre anni, ricorrendo al sussidio per integrare un reddito basso.
Insomma, risulta chiaro che il lavoro povero è la causa della maggior parte dei mali d’Italia. Fa aumentare le diseguaglianze di genere, di territorio e tra italiani e immigrati, e genera la povertà pensionistica, perché chi fa un lavoro povero avrà una pensione povera. È sorprendente che tocchi all’Inps offrire un’analisi a tutto tondo delle cause della disuguaglianza e proporre soluzioni. Speriamo almeno che la politica ascolti.
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