Secondigliano dista circa cinque chilometri dalla stazione centrale di Napoli. Per raggiungerlo si prende un autobus che parte verso nord, la direzione opposta al centro storico. All’inizio c’è molto affollamento, poi nell’ultima parte del viaggio restano soprattutto gli abitanti del quartiere. A differenza di Scampia, con cui Secondigliano confina, il paesaggio qui somiglia più al centro di Napoli: ci sono palazzi di tre o quattro piani con ampi cortili interni, da cui partono grandi scalinate che arrivano agli appartamenti. In questi giorni Napoli è adornata da bandiere, striscioni bianchi e blu, foto dei giocatori della squadra di calcio del Napoli. Tutta la città è in festa per la vittoria dello scudetto.
Per raggiungere piazza Luigi in Nocera percorro il corso Secondigliano, la via principale del quartiere. Vetrine luminose con grandi schermi digitali mostrano pubblicità di marche d’abbigliamento locali. Nella piazza cerco la sede dell’associazione Larsec, Laboratorio di riscossa secondiglianese.
Sono le 12.15. Antonio è fuori sotto il sole caldo di fine aprile mentre fuma una sigaretta. Salvatore è nella piccola sala dell’associazione che si prepara per pulire la piazza. Mi accolgono con un sorriso. Loro sanno chi sono, io di loro non so quasi nulla. Così per rompere il ghiaccio prima di cominciare a scattare, tengo la macchina fotografica bassa e chiacchieriamo un po’.
Rispettivamente da quattro e cinque mesi, Salvatore e Antonio sono i “portieri del quartiere”. Si tratta di un tirocinio che fa parte del progetto Itia (Intese territoriali di inclusione attiva), finanziato con i fondi della politica di coesione europea (Fse). L’obiettivo è di offrire misure di contrasto alla povertà attraverso la realizzazione di attività di integrazione sul territorio. L’esperienza durerà in tutto nove mesi ed è retribuita.
Salvatore ha 65 anni, non pensava di poter essere scelto, credeva di essere troppo anziano. Sono nove anni che passa da un dormitorio a un altro. Dopo la morte dei genitori, ha perso la casa in cui viveva con loro e la famiglia si è divisa. È curioso, estroverso, loquace. Mi dice di aver sempre avuto il desiderio di studiare teologia. Prima di cominciare a lavorare come portiere, passava la giornata a osservare dipinti e architetture nelle chiese. Era anche un modo per trovare un rifugio, visto che non poteva rientrare al dormitorio fino a sera.
Antonio invece è taciturno. È nato a Napoli, ha più di sessant’anni. Nei suoi occhi mi sembra di leggere una vita difficile alle spalle. Prima di questa esperienza non era mai stato a Secondigliano. Vive nello stesso dormitorio di Salvatore, al centro di Napoli, tra il quartiere Forcella e la Spaccanapoli, una delle strade più importanti della città, che la divide perfettamente a metà.
Dal lunedì al venerdì, raggiungono a piedi piazza Garibaldi dove c’è la stazione, poi prendono l’R5, la linea che raggiunge i quartieri nord della città. Arrivano alla sede del Larsec, un luogo di lavoro e riparo. Indossano la pettorina arancione e a giorni alterni si occupano della pulizia della piazza, delle aiuole e della sede degli ex combattenti e reduci di guerra, trascorrendo il tempo che resta a osservare, e a cercare di interagire con gli abitanti della zona, per integrarsi nel suo tessuto a maglie strette. L’idea è di diventare un punto di riferimento per gli abitanti del quartiere e svolgere alcune funzioni sul territorio: ricevere pacchi e altre corrispondenze, tenere in deposito mazzi di chiavi, trasmettere messaggi tra i residenti attraverso una bacheca in cui si offrono lavori di idraulico o giardiniere.
Per Antonio e Salvatore lavorare a questo progetto significa avere una seconda opportunità. Salvatore mi confessa che il suo più grande desiderio sarebbe avere una stanza tutta per sé, per trovare finalmente un po’ di pace.
Il secondo giorno ho incontrato Vincenzo Strino, il fondatore dell’associazione Larsec. I suoi amici erano i figli delle più grandi famiglie camorristiche di base a Secondigliano. “Oggi quelle persone sono morte o in carcere”, mi racconta. Per qualche anno ha fatto il pendolare tra Roma e Napoli, poi è tornato perché voleva fare qualcosa per il suo quartiere. “Secondigliano è rimasta incastrata per anni tra la Scampia delle Vele e la Napoli dei turisti. Non si è mai parlato di noi e dei nostri problemi, neanche quando veniva ammazzato qualcuno. Oggi ha tra i più alti tassi di dispersione scolastica in Europa”, dice.
Il progetto dei portieri di quartiere ha l’obiettivo di far conoscere la zona per motivi diversi dalla cronaca criminale. “Secondigliano è stata la prima comunità ad aver avviato una raccolta fondi a fine seicento per ricostruire il campanile della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, distrutto dai frequenti eventi sismici dell’epoca”. Oggi sotto la stessa chiesa c’è un ossario poco noto rispetto a quello delle Fontanelle a Napoli, ma altrettanto affascinante e ricco di storia.
Dalla nascita dell’associazione Larsec nel 2014, Vincenzo Strino, insieme ad altri volontari, ha organizzato presentazioni di libri, raccolte alimentari per le famiglie povere o in difficoltà, corsi di cucina, scuole di calcio per bambini e ragazzi, azioni di guerrilla gardening e flash mob, eventi musicali e artistici per la notte bianca. Una lenta ma decisa rivoluzione, che sta costruendo una nuova consapevolezza all’interno del quartiere.
Francesca Leonardi è una fotografa nata a Roma. Lavora a progetti a lungo termine per documentare la relazione tra le persone e il territorio in cui vivono.
Questo articolo fa parte di A Brave New Europe – Next Generation, un progetto di Slow News, Percorsi di Secondo Welfare, Internazionale, Zai.net e La Revue Dessinée Italia finanziato dall’Unione europea.
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