Il 24 giugno torna l’ormai immancabile festival bolognese Il cinema ritrovato, giunto alla sua 37ª edizione, con il cinema del passato più che mai attuale, lontano o recente che sia. E sempre con tante eclatanti proiezioni all’aperto, ospiti, rassegne.
Se per esempio l’anno scorso erano stati portati a nuova vita gli originari colori psichedelici di Cantando sotto la pioggia di Gene Kelly e Stanley Donen oppure la folle corsa dei Blues brothers di John Landis (presentato in versione integrale e alla presenza del regista), quest’anno le copie restaurate, spesso proiettate nell’affollatissima piazza Maggiore, riguarderanno opere di Bernardo Bertolucci (The dreamers), Jean Renoir (Tire-au-flanc e The woman of the beach – La signora della spiaggia, del periodo americano di Renoir), Michelangelo Antonioni, Ingmar Bergman, Brian De Palma (Blow out), Jack Arnold (Revenge of the creature – La vendetta del mostro, in 3d), Roman Polanski, François Truffaut (La femme d’à côté – La signora della porta accanto), Wim Wenders, Alfred Hitchcock (Spellbound – Io ti salverò), Howard Hawks (Rio Bravo – Un dollaro d’onore), Yasujirō Ozu, Ernst Lubitsch, Kon Ichikawa (il capolavoro L’arpa birmana), Mario Bava, René Laloux (il film d’animazione Les maîtres du temps con i disegni di Moebius), Elia Kazan (il debutto di James Dean con East of Eden – La valle dell’Eden), David Lynch, Joe Dante, Damiano Damiani (il western spaghetti Quién Sabe, con Gian Maria Volonté). E anche quest’anno saranno molti gli ospiti illustri da poter incontrare: i registi Wim Wenders, Ruben Östlund, Joe Dante, Luca Guadagnino, Barbet Schroeder; la grande montatrice Thelma Schoonmaker; la fotografa e attivista Nan Goldin; il produttore Jeremy Thomas.
Un’energia dirompente
In questa edizione, però, c’è un omaggio speciale. Una rassegna su un’attrice che è stata una grande interprete e insieme un grande volto del cinema e che non somiglia a nessun’altra nel panorama italiano e internazionale: è Anna Magnani, scomparsa quasi cinquant’anni fa, il 26 settembre 1973.
Una veracità, un’autenticità, un’energia dirompente, inarrestabile, la sua. Di più: una Verità con la V maiuscola, assoluta, pur essendo espressione della vita più quotidiana, prosaica, popolare, romanesca per la precisione.
Quella romanità che rivendicava, esibiva, non come volgarità compiaciuta e chiusa, ripiegata su se stessa come lo è una parte dell’Italia contemporanea, e come probabilmente sarebbe anche, se esistesse oggi, un’attrice famosa espressione degli ambienti popolari, ma come un modo d’essere del popolo, dove l’esteriore e l’interiore sono una cosa sola perché non (in)segue modelli, format, preconfezionati e standardizzati, calati dall’alto dall’industria. L’industria – che ancora non sapeva cosa fosse il marketing – si nutriva, si alimentava dal basso, con ciò che si era stratificato per secoli nella cultura popolare, la quale ancora si autogenerava. Un movimento circolare assai produttivo che in seguito è stato spezzato.
Una delle tendenze più stimolanti per il cinema, e quindi per la cultura nel suo insieme, è la riscoperta e la riappropriazione del cinema stesso
E Magnani, pur essendo espressione del popolo, al contempo sembrava quasi osservarlo dall’esterno per metterlo in scena. Questo le permise di essere un’icona del cinema malgrado l’apparente mancanza di raffinatezza. Esprimeva una verità intrinseca. Ben lo capì Roberto Rossellini – del quale nei primi anni del dopoguerra fu compagna e attrice prediletta – regista per definizione dei volti e di un cinema che fossero entrambi veicoli di una verità senza retorica ma frutto nondimeno di un incontenibile sentimento “naturale”, quella medesima naturalezza espressa da Anna Magnani. Gli anni del suo trionfo furono praticamente un secondo rinascimento, quello di rivoluzionari registi italiani, come Fellini, Antonioni, Visconti e, appunto, Rossellini.
Il più bell’omaggio
La rassegna dedicata al cinquantenario della morte ha quindi un titolo assolutamente perfetto, Anna Magnani, l’irripetibile, e si aprirà con Teresa Venerdì (1941) di Vittorio De Sica, espressione di quella commedia brillante che la rivelò prima dell’incontro con Rossellini, di cui sarà presentato l’imprescindibile Roma città aperta (1945), opera manifesto del neorealismo. Per approfondire una figura così originale non mancheranno filmati e documentari, e naturalmente sarà imperdibile l’appuntamento in piazza Maggiore la sera del 25 giugno con Bellissima (1951) di Luchino Visconti, di recente restaurato.
È significativo rilevare che il film nella sua versione restaurata è stato già visto nella rassegna XX secolo – L’invenzione più bella patrocinata dalla Cineteca nazionale, con un ciclo di titoli che comprendeva le maggiori opere cinematografiche dirette Luchino Visconti, e pochi giorni fa a Trastevere per la rassegna Il cinema in piazza organizzata dalla fondazione Piccolo America. Proprio la proiezione a piazza San Cosimato è stato forse il più bell’omaggio a Magnani e a quel film, dove il cinema riflette su se stesso non solo per il tema di base (una donna di umili origini desidera a tutti i costi che la sua bambina passi un provino cinematografico), ma anche per le bellissime sequenze in cui Magnani guarda ai film proiettati all’aperto in piazzetta come a una finestra verso un sogno “altro” (per l’esattezza Il fiume rosso, capolavoro western di Howard Hawks).
E al di là delle consuete arene estive, il proliferare durante l’anno di tante iniziative di (ri)scoperta e valorizzazione del patrimonio cinematografico mondiale (in particolare nella capitale dove si attende la riapertura del cinema Fiamma, completamente ristrutturato, come nuovo luogo della Cineteca nazionale) ci porta a osservare che una delle tendenze più stimolanti per il cinema, e quindi per la cultura nel suo insieme, è la riscoperta e la riappropriazione del cinema stesso, della sua memoria, visto anche il crescente interesse del pubblico, spesso attirato grazie alle sinergie tra la creazione cinematografica contemporanea e le scuole. Il fatto che Gian Luca Farinelli, già direttore della Cineteca di Bologna e del Cinema ritrovato, sia dall’anno scorso presidente della fondazione Cinema per Roma che organizza la Festa del cinema, e da quest’anno sia anche a capo della Casa del cinema, ne è certamente emblematico.
Se il cinema è il risultato di un equilibrio delicato e miracoloso raggiunto nel novecento, un “luogo” di creazione dove, malgrado l’alto livello di tecnologia, è stata prodotta una quantità considerevole di arte grazie alle figure dominanti di registi e registe sugli altri talenti – contrariamente a quanto accade nelle serie tv fondate perlopiù sulla sceneggiatura – la rassegna dedicata alla sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico (che s’incrocia in più di un caso con quella di Magnani, a cominciare da Bellissima), sarà l’occasione di capire il non meno delicato equilibrio tra regia e sceneggiatura, indagando l’arte di questa donna duttile e dalla netta personalità creativa che ha saldato il suo nome anche a capolavori del neorealismo (Ladri di biciclette di De Sica).
Quanto ai registi, se l’edizione precedente è stata l’occasione di riscoprire i bellissimi film dell’eclettico argentino-statunitense Hugo Fregonese, tanto amato da Martin Scorsese, quest’anno sarà la volta di un altro autore capace di spaziare in vari generi con notevole talento, Rouben Mamoulian, passato alla storia “per l’inestimabile contributo che offrì alla transizione di Hollywood al sonoro, sia liberando la macchina da presa, sia usando i dialoghi come una forma di accompagnamento musicale, fu imitato e invidiato per i suoi sapienti movimenti di macchina”, per dirla con la nota del programma. E molto, molto altro, comprese le incredibili (ri)scoperte dalle cinematografie di tutte le latitudini, sia nello spazio Cinema libero sia sparse nella programmazione e di cui parleremo a festival concluso.
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