Il 12 giugno si vota per i referendum abrogativi sulla giustizia. Mancano pochi giorni ma il tema non è ancora al centro dell’agenda di nessun partito, nonostante in quella data si svolgano anche le elezioni amministrative in 978 comuni, tra cui 21 capoluoghi di provincia e quattro capoluoghi di regione: Catanzaro, Genova, L’Aquila e Palermo.
I quesiti referendari sono cinque e riguardano la giustizia penale e le regole organizzative della vita professionale dei magistrati. I primi promotori sono stati la Lega di Matteo Salvini e il Partito radicale, in un’inedita alleanza sul tema definito della “giustizia giusta”.
I cittadini saranno chiamati a esprimersi per cancellare o meno cinque norme di legge. Al momento della presentazione i quesiti sulla giustizia erano sei, ma la corte costituzionale non ne ha ammesso uno, che riguardava la responsabilità civile dei magistrati.
Su cosa si vota
Tre quesiti riguardano la vita interna dell’ordine giudiziario: come sono eletti i magistrati nel loro organo di rappresentanza, come sono giudicati per gli avanzamenti di carriera, e i ruoli che possono rivestire. Gli altri due riguardano invece più in generale questioni di diritto penale.
In particolare, il primo quesito chiede l’abolizione della raccolta di almeno 25 firme per i magistrati che si candidano al consiglio superiore della magistratura (Csm), l’organo che sovrintende alla vita professionale delle toghe.
Il secondo prevede di abolire il divieto degli avvocati di votare nei consigli giudiziari, che sono dei piccoli Csm locali nei quali si valuta la professionalità dei magistrati e dove attualmente votano solo i magistrati.
Il terzo prevede di separare il percorso professionale dei magistrati che scelgono di diventare pubblici ministeri da quelli che invece scelgono la carriera di giudice penale. Attualmente, invece, il magistrato può chiedere di passare da un ruolo all’altro fino a quattro volte nel corso della carriera.
Il quarto referendum interviene per limitare i casi in cui il magistrato può applicare, prima di una sentenza, la misura della custodia cautelare, come la detenzione in carcere e gli arresti domiciliari. Abrogando la parte di articolo del codice di procedura penale oggetto del referendum, si eliminerebbe la possibilità, per i reati meno gravi, di motivare la misura cautelare con il pericolo di reiterazione del reato.
L’ultimo quesito, infine, prevede la cancellazione totale della cosiddetta legge Severino, una legge approvata nel 2012 che stabilisce limiti alla candidabilità e alla eleggibilità di politici, sia nazionali sia locali, nel caso di sentenze di condanna per reati di mafia, terrorismo o contro la pubblica amministrazione. La sospensione dalla carica, inoltre, scatta anche in caso di sentenze di condanna non definitive e che quindi potrebbero essere riformate dal grado successivo.
I primi tre quesiti riguardano questioni che sono attualmente oggetto di dibattito in parlamento. È infatti in corso di approvazione la riforma dell’ordinamento giudiziario, già passata alla camera e ora in discussione al senato. Questo disegno di legge ha alcune parti immediatamente attuative, cioè che entrano subito in vigore senza bisogno di norme attuative. Tra queste c’è anche la nuova legge elettorale del Csm, che prevede di abolire la raccolta delle firme per candidarsi.
Nella parte del disegno di legge che invece avrà bisogno di decreti attuativi, è prevista l’introduzione del voto degli avvocati nei consigli giudiziari ma con alcuni vincoli. Inoltre, si interviene anche sul passaggio da giudice a pm, riducendone la possibilità di cambiare ruolo da quattro volte a una soltanto nel corso della carriera.
Il fatto che alcuni temi oggetto di referendum siano contenuti nella riforma ha una serie di effetti. Nel caso in cui la riforma venga approvata prima del referendum (cosa probabile ma non certa, perché il senato vorrebbe chiudere l’esame al più presto), il primo quesito potrebbe cadere. Gli altri due, invece, rimarrebbero validi perché la riforma non è immediatamente applicabile. Inoltre, i quesiti referendari e le nuove norme sono simili ma non sovrapponibili. Proprio questo percorso parallelo della riforma dell’ordinamento giudiziario in parlamento e della stagione referendaria è stata una delle cause del cortocircuito politico, che ha contribuito a far calare il silenzio sulla campagna referendaria.
Le scelte dei partiti
I partiti si sono divisi sul sostegno al referendum. La posizione più peculiare è quella della Lega, che ha promosso i referendum ma solo ora ha cominciato una campagna per sensibilizzare gli elettori. Molti hanno sottolineato il fatto che la Lega fa parte della maggioranza di governo e dunque ha discusso e approvato l’attuale riforma dell’ordinamento giudiziario. L’interrogativo, quindi, è come si concili la volontà di promuovere un referendum quando, parallelamente, si sta sostenendo in parlamento una riforma sugli stessi temi.
La Lega sostiene che l’attuale riforma della giustizia è frutto del compromesso di un governo tecnico come è quello di Mario Draghi, in cui necessariamente ogni partito ha dovuto accettare mediazioni con partiti oggi alleati ma normalmente avversari. Per questo ha ritenuto che i quesiti referendari rispecchino le posizioni del partito in materia di giustizia più della riforma. Forza Italia sostiene il referendum, e anche Italia viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda si sono espressi a favore dei quesiti. Fratelli d’Italia, invece, ha fatto un distinguo: sostiene i tre quesiti sull’ordinamento giudiziario, voterà no invece all’abrogazione della legge Severino e alla modifica della custodia cautelare.
Le posizioni dentro il Partito democratico sono diverse. II segretario Enrico Letta ha dichiarato che la posizione è contraria a tutti i quesiti perché “aprirebbero più problemi di quelli che si vogliono risolvere”, tuttavia ha lasciato libertà di coscienza a chi ha una diversa sensibilità: “Il Partito democratico non è una caserma, c’è la libertà dei singoli”.
La sovrapposizione con le riforme parlamentari ha favorito un cortocircuito politico
Una parte del Pd, che fa riferimento al costituzionalista Stefano Ceccanti e a Enrico Morando, ha dichiarato che voterà sì ai tre quesiti sull’ordinamento giudiziario perché vanno nella stessa direzione della riforma presentata in parlamento. Esiste poi il cosiddetto “partito dei sindaci” interno al Pd, composto dagli amministratori locali che hanno sollevato la questione della legge Severino. Formalmente il sindaco di Pesaro Matteo Ricci ha dichiarato che seguirà la linea di Letta sui cinque no, ma ha chiesto che subito dopo il referendum si affronti la questione della riforma della legge Severino, almeno nella parte in cui prevede la sospensione dalla carica anche in caso di sentenza di condanna non passata in giudicato. Anche il Movimento 5 stelle si è detto orientato a respingere tutti i quesiti referendari.
Oltre alla politica, anche la magistratura e l’avvocatura si sono interrogate su un referendum che riguarda in modo diretto proprio la carriera delle toghe. Sul fronte della magistratura, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), Giuseppe Santalucia, ha bocciato tutti i quesiti, sostenendo che “non aiutano le riforme” pur necessarie della magistratura. L’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione camere penali italiane, ha invece annunciato che l’indicazione ai penalisti è di votare sì, anche se il referendum contiene “alcuni temi importanti e altri molto tenui”.
La campagna elettorale
Al di là degli schieramenti, la mobilitazione per informare gli elettori è stata poca e le probabilità che sia raggiunto il quorum del 50 per cento più uno dei votanti sono considerate molto basse. Questo è dovuto a una serie di fattori. La principale è la complessità dei quesiti molto specifici e tecnici. Questo rende complicato spiegarli, formare un consenso forte e convinto e mobilitare la grande massa di elettori che serve a raggiungere il quorum.
Non a caso, la speranza dei promotori era che la corte costituzionale ammettesse anche gli altri quesiti referendari presentati: quello sulla legalizzazione della cannabis e quello sul fine vita, che invece sono stati bocciati dalla corte perché la stesura dei quesiti non è stata ritenuta conforme alla previsione costituzionale in materia di referendum. Se questi due referendum, su temi molto più comprensibili ma soprattutto polarizzanti per l’opinione pubblica, fossero stati ammessi, le possibilità di raggiungere il quorum sarebbero state molto maggiori.
Inoltre, il governo ha deciso che si voterà in un’unica giornata, domenica 12 giugno, invece che in due giorni: fine settimana estivo e un solo giorno di votazioni potrebbero contribuire a ridurre ulteriormente il numero di persone che andranno alle urne. Al momento dei risultati andranno osservati con attenzione i dati del voto referendario nelle città in cui si è votato anche per le elezioni amministrative, perché l’affluenza sarà maggiore rispetto alle città in cui si vota solo per il referendum.
L’ultima serie di referendum abrogativi ad aver raggiunto il quorum in Italia, con il 54 per cento dei votanti, si è svolta nel 2011 e ha riguardato l’acqua da mantenere come “bene comune” e quindi non affidabile a privati, lo stop alla produzione di energia nucleare e il legittimo impedimento per le alte cariche dello stato.
● La scheda verde prevede l’abrogazione dell’obbligo di raccolta delle firme, tra le 25 e le 50, per il magistrato che vuole candidarsi al consiglio superiore della magistratura (Csm). Secondo i promotori, in questo modo si riduce il peso dei gruppi associativi, le correnti, nella scelta dei singoli magistrati che decidono di candidarsi al Csm, e che così saranno più liberi di farlo. Secondo i contrari, già la riforma dell’ordinamento giudiziario prevede questa modifica, quindi il referendum è una mera ripetizione.
● La scheda grigia prevede l’abrogazione del divieto di voto degli avvocati nei consigli giudiziari, che si occupano della valutazione della professionalità dei magistrati.
Secondo i promotori, il diritto di voto di un soggetto terzo rispetto ai magistrati nel collegio renderà più equilibrata la valutazione della loro professionalità. Secondo i contrari, i magistrati non possono dipendere professionalmente dal giudizio anche degli avvocati, che potrebbero avere ragioni professionali di contrasto con i magistrati del loro distretto e quindi penalizzarli.
● La scheda gialla riguarda l’introduzione della separazione tra la carriera di giudice e quella di pubblico ministero. Secondo i promotori, questo riequilibra il sistema della giustizia, evitando commistioni tra il magistrato che giudica e che deve essere imparziale e quello che invece rappresenta la pubblica accusa. Secondo i contrari, non esiste un problema di commistione tra le due figure professionali. Anzi la separazione delle funzioni isola il pubblico ministero e riduce la possibilità dei magistrati di aumentare la loro esperienza professionale attraverso lo svolgimento di funzioni diverse.
● La scheda arancione riguarda il quesito che modifica l’articolo 274 del codice di procedura penale, restringendo i casi in cui si possono disporre misure cautelari nei casi di reati non gravi. Secondo i promotori, così si riduce il numero di indagati e imputati che finiscono in carcere senza essere stati ancora processati. Secondo i contrari, questa modifica rischia di generare l’effetto contrario, riducendo la possibilità di applicare misure cautelari in casi in cui è fondamentale agire con urgenza.
● La scheda rossa riguarda l’abrogazione dellalegge Severino in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo per persone condannate in via definitiva (e in alcuni casi non definitiva) per reati di mafia, terrorismo e reati gravi contro la pubblica amministrazione. Secondo i promotori, questo automatismo va eliminato e restituita al giudice la valutazione di aggiungere nella sentenza la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Secondo i contrari, la legge Severino andrebbe modificata in modo chirurgico per correggere alcuni elementi (come la sospensione dalla carica degli amministratori locali anche con sentenza non passata in giudicato), ma non cancellata del tutto.
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