Con della mollica di pane, foglie di salicornia tritata, un po’ di parmigiano, uvetta, un uovo intero e un pizzico di sale, Libera Falco fa delle polpette. Serviranno per farcire alcuni esemplari di granchio blu che lei e le sue compagne dell’associazione SerendipitA3L hanno portato dal Gargano. In sala, una ventina di persone la osserva. Al suo fianco Lucrezia D’Errico illustra i vari ingredienti. Si sofferma sull’uvetta sultanina, arrivata in Puglia con le invasioni saracene. “Ecco un’invasione aliena diventata un’opportunità”, dice. “Proprio come il granchio blu”.

Al granchio blu (Callinectes sapidus in gergo scientifico, ovvero abile nuotatore gustoso) è dedicato l’evento divulgativo organizzato in partecipazione con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) a metà ottobre del 2022 in una biblioteca romana. Negli Stati Uniti, nella baia di Chesapeake – al confine tra la Virginia e il Maryland, dove sboccano i fiumi Potomac e Susquehanna – e nel delta del Mississippi, la pesca di questi crostacei ha un notevole valore commerciale. Solo nel paese nordamericano, dove sono nativi, nel 2021 sono state pescate oltre 53mila tonnellate di granchio blu per un valore di 240 milioni di dollari, circa 220 milioni di euro. Nel Mediterraneo, da qualche anno, questa e un’altra specie esotica molto simile — un altro granchio blu originario dell’oceano Indiano, il Portunus segnis o granchio blu nuotatore — si sono fatti conoscere da chi fa attività di pesca artigianale. Entrambi hanno chele possenti con cui rompono le reti e rovinano il pescato.

Lucrezia Cilenti, responsabile della sede di Lesina, in provincia di Foggia, dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Cnr (Irbim-Cnr), nonché fondatrice con Falco e D’Errico dell’associazione SerendipitA3L, è stata tra i primi a cominciare a monitorare l’insediamento del granchio blu lungo le coste italiane. Arrivato probabilmente con le cosiddette acque di zavorra, che vengono caricate per stabilizzare le grandi navi e scaricate nei porti, il Callinectes sapidus era stato avvistato nell’Adriatico, in particolare nel golfo di Trieste, già nella prima metà del ventesimo secolo. Per diverso tempo, però, non ha ulteriormente attirato l’attenzione. Solo negli anni duemila queste creature dal carapace e dalle zampette blu hanno cominciato a farsi notare con maggiore frequenza nelle lagune di Lesina e Varano, ai piedi del Gargano.

“Il Mediterraneo è cambiato, si è surriscaldato”, ha spiegato Cilenti nel corso dell’evento divulgativo. “E abbiamo specie che arrivano da più parti del mondo a causa della globalizzazione, dei trasporti, per esempio anche per l’apertura del canale di Suez”. Con il riscaldamento globale, alcune specie esotiche che magari erano già presenti nei nostri mari, ma non vi trovavano un ambiente a loro congeniale, incontrano condizioni sempre più favorevoli. Delle oltre 750 che hanno preso casa nel Mediterraneo, alcune, come il granchio blu, sono commestibili.

Iniziative innovative

Solitamente i pescatori sono i primi ad accorgersi della presenza di questi crostacei, dalle dimensioni molto più grandi rispetto ai granchi mediterranei. Oltre che sulla pesca, i Callinectes sapidus hanno un forte impatto sugli organismi che vivono a contatto con il fondale, dai molluschi alle fanerogame. “Mangiano di tutto”, ha spiegato Cilenti nel corso della presentazione a Roma. “Tranciano i pesci mentre nuotano per quanto sono veloci, rapidi e voraci”. E, come molte specie esotiche invasive, hanno pochissimi predatori. Per compensare i danni, nei vari paesi della regione si è dapprima cominciato a valorizzare le catture accidentali, inizialmente considerate scarti; poi a prendere di mira i granchi con strumenti da pesca selettivi; e infine a creare dei canali per il loro commercio. In Spagna si è sviluppato un importante mercato locale; mentre in Tunisia una filiera dedita all’esportazione di prodotti a base di granchio blu nuotatore.

In Italia per ora le iniziative sono sparse, alcune anche innovative. Lungo l’Adriatico, dove il Callinectes sapidus si è insediato da più tempo, biologhe marine e chef sono in prima linea nel cercare di portare questa specie esotica e invasiva a tavola. L’intento è quello di incentivare il loro consumo per limitarne l’impatto su biodiversità, attrezzi e pescato. Il rischio però, non troppo remoto, è che, una volta decollata la pesca, ci sia chi voglia adottare l’invasore come una risorsa in più da sfruttare invece che cercare di contenerla.

Dal 2014, quando Cilenti e la sua squadra hanno trovato dei giovani esemplari di granchio blu e capito che ormai questa specie si era insediata nelle lagune di Lesina e Varano, hanno cominciato a lavorare con i pescatori della zona per valorizzare quello che inizialmente era visto come un problema.

Qui, la preda più tradizionale e ambita è l’anguilla. Per catturarla lo specchio d’acqua salmastra è costellato di bertovelli, delle nasse attaccate a pali di castagno che imprigionano i pesci e quanto ci finisce dentro. Una mattina di fine ottobre, accompagno due pescatori, Emanuele Biscotti e Primiano Augelli, a svuotare (in gergo “scalare”) 54 bertovelli vicino alla foce dello Schiapparo, uno dei due canali che collegano la laguna al mare Adriatico. Al rientro, dopo una prima tappa al mercatino del pesce sul molo, portiamo ai rivenditori latterini, spigole, orate e granchi blu. Li pesano: sette chili. Quattro erano già stati prenotati da un cliente.

Il boom, dice Biscotti, è stato due anni fa. “Ogni bertovello forniva 70-80 chili di granchi. L’anno scorso, il 2022, abbiamo fatto al massimo 60-70 chili in un giorno”.

Un tempo Biscotti e gli altri pescatori ributtavano in mare questi granchi invasori: rovinavano l’attrezzatura; non fruttavano più di un euro al chilo. In alcuni periodi i commercianti neanche li volevano da quanti ce n’erano. Adesso sono entrati a far parte del pescato della laguna di Lesina. Anzi c’è il timore, dopo la forte anossia che ha soffocato la laguna lo scorso novembre, che possano sparire. “Anguille non ce ne sono”, dice Augelli. “Il granchio blu è una buona fonte di reddito”.

Ai ristoratori della zona e a chi li compra al mercatino sul molo, Biscotti, Augelli e gli altri li vendono tra i cinque e i sei euro al chilo. L’azienda Itticoltura meridionale invece glieli prende a tre o quattro euro per poi rivenderli ai mercati all’ingrosso di tutta Italia.

Il granchio blu è in cima alla catena alimentare, quindi praticamente non ha predatori: per riequilibrare le cose andrebbe mangiato

A Chioggia, 540 chilometri a nord di Lesina, il prezzo varia a seconda della stagione. D’estate, quando ce ne sono in abbondanza, dice Sonny Grossato, un giovane pescatore della cittadina veneta, stanno intorno ai due o tre euro al chilo; a novembre, quando solitamente cominciano a vedersene meno, il prezzo sale a sette o otto. Alle 15 le porte del mercato si aprono, un pescivendolo di Abano Terme ne compra tre cassette, al dettaglio li rivenderà tra i 12 e i 15 euro. Sono molto richiesti dai ristoranti cinesi, dice.

Che siano due, tre, sette o otto euro, per i pescatori i granchi blu spesso rappresentano comunque un costo. “Quattro o cinque pescate e devi mettere le reti nuove perché distruggono tutto”, dice Grossato. ”Da due anni a questa parte è pieno, non ci puoi lavorare”. Ultimamente stanno provando a catturarli con nasse e gabbie. “Più li togli, meglio è”, spiega. “Perché qua si è infestato tutto”.

Lo conferma anche la chef Chiara Pavan, che insieme allo chef Francesco Brutto gestisce un prestigioso ristorante stellato sull’isola di Mazzorbo, a circa mezz’ora di vaporetto da Venezia. Lavora nel cuore della laguna da sette anni. In questo arco di tempo ha visto diminuire le seppie e dilagare soprattutto specie non autoctone. Parlando con i pescatori e chi li aiuta a selezionare le materie prime, il duo ha il polso dell’andamento delle specie e della loro popolarità sul mercato. Da tre anni hanno eliminato la carne dal menù e si sono concentrati, oltre che su una prevalenza di piatti a base vegetale, sul pescato locale, proponendo per lo più specie invasive, ovvero quelle che hanno un impatto negativo sugli ecosistemi locali e la pesca. Insieme alla Rapana venosa, una conchiglia di origine asiatica, e il pesce serra, sempre più diffuso con l’aumento delle temperature, il granchio blu è diventato una presenza ormai fissa nel loro menù.

Il granchio blu è in cima alla catena alimentare, quindi praticamente non ha predatori, dice Pavan: per riequilibrare le cose andrebbe mangiato. Quest’anno ha aggiunto nel menù un piatto a base di conchiglia dell’arca, Anadara inaequivalvis, o scrigno di venere, un bivalve di origine indo-pacifica ormai molto diffuso nell’Alto Adriatico che come il granchio blu danneggia la pesca.

“Da quello che sappiamo, ed è stato provato, il modo migliore di controllare una specie non indigena che può essere commercializzata è pescarla”, dice Miguel Bernal, segretario esecutivo della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Gfcm), che fa parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao).

Proprio sul granchio blu la commissione Fao che Bernal dirige sta lavorando per arrivare a individuare, entro il 2024, delle linee guida per la pesca delle due specie di granchi che stanno colonizzando il Mediterraneo. Non conosciamo l’esatta entità delle loro popolazioni in quest’area, dice Bernal, ma entrambe le specie sono in aumento. Stanno comparendo in tutte le subregioni del Mediterraneo, con popolazioni particolarmente numerose in Spagna, Tunisia ed Egitto. Il Portunus segnis, tipico dell’oceano Indiano, si trova in prevalenza nel bacino sud-orientale del Mediterraneo; il Callinectes sapidus, originario delle coste atlantiche che vanno dal Canada a nord dell’Argentina, nel lato nord-occidentale.

Stabilire le regole da adottare per la pesca di specie non indigene, soprattutto se invasive, è un terreno ancora poco esplorato, a cavallo tra la gestione della pesca e la conservazione. Alcuni ricercatori sottolineano che servono obiettivi chiari fin dall’inizio. Le opzioni sono essenzialmente due: se i danni per la presenza dell’invasore sono maggiori dei benefici, attuare una sovrappesca che miri a ridurre il più possibile la popolazione della specie in questione; se invece prevalgono i benefici, ricorrere a una gestione più tradizionale che punti a mantenere la presenza della nuova risorsa nel tempo. Per i granchi blu il dibattito è in corso, dice Bernal: “Ci sono molti aspetti da bilanciare”. Da una parte bisogna infatti considerare il potenziale impatto di queste specie sugli ecosistemi nativi; dall’altro il fattore socio-economico. Per sapere a quali conclusioni arriverà il gruppo di esperti che lavorano al programma di ricerca della Gfcm bisognerà dunque aspettare.

Nel mentre alcuni paesi hanno comunque intrapreso una propria strada. La Tunisia, per esempio, in pochi anni ha sviluppato un’importante filiera legata alla lavorazione di questo crostaceo. Nel 2021, con 7.560 tonnellate esportate, ha fatturato 75,9 milioni di dinari tunisini (oggi 22,7 milioni di euro). Il prodotto viene spedito per lo più in Asia, Oceania e Stati Uniti, dove il granchio blu è conosciuto e apprezzato, oppure in Europa. Pescatori e imprenditori del settore ormai chiedono una regolamentazione che protegga gli stock di questa nuova risorsa.

Voci di pescatori che ributtano in mare le femmine con le uova per favorire il ripopolamento si sentono anche in Italia. Lucrezia Cilenti da anni propone esattamente il contrario: una pesca selettiva per ridurre il proliferare del granchio, in linea con le attuali normative nazionali ed europee che puntano al controllo e alla prevenzione delle specie invasive.

Un’altra iniziativa italiana spinge invece per il consumo massiccio di questa e altre specie in espansione per provare a contenere numeri e danni. L’idea è di Carlotta Santolini, biologa marina alle prese con un dottorato in Cambiamento climatico e sviluppo sostenibile presso la scuola universitaria superiore Iuss di Pavia. Nel 2021, subito dopo la magistrale, ha trascorso tre mesi e mezzo in barca a raccogliere dati sui cambiamenti climatici e i loro effetti sulla pesca lungo la costa italiana e croata. Durante una tappa a Policoro, in Basilicata, ha visto le nasse catturare solo granchi blu: nessun cefalo, nessun altro pesce. Secondo i pescatori era il momento di cominciare a consumarlo.

Tornata a Rimini ha coinvolto quattro amiche con competenze diverse e fondato una società benefit, una forma imprenditoriale che persegue sia obiettivi economici sia finalità di bene comune. In onore delle loro nonne o bisnonne che un tempo vendevano il pesce, e ispirandosi alle raccoglitrici di frutti di mare galiziane che lottano per i propri diritti in un settore a forte prevalenza maschile, hanno deciso di chiamarsi Mariscadoras. In poco meno di un anno, con un’azienda di trasformazione di Mestre specializzata da generazioni in stoccafisso, hanno sviluppato sughi pronti e polpa in vaschetta a base di granchio blu.

Per ora la materia prima viene prevalentemente dalla zona del delta del Po. Ma l’idea sarebbe quella, in cambio anche di nasse per catturarlo, di convincere il maggior numero di pescatori artigianali dell’Adriatico a vendere loro il granchio blu a un prezzo fisso. Consumandolo, dice Santolini, vogliamo ristabilire l’equilibrio e mitigarne gli effetti.

Al termine dell’evento, l’associazione SerendipitA3L fa assaggiare le moleche di granchio blu che Cilenti e il suo team hanno prodotto a Lesina.

Il pubblico sembra apprezzare. Se culinariamente il granchio blu ben si presta a essere accolto nella dieta mediterranea, resta più complessa una gestione della pesca consapevole e trasparente, in grado di rispondere tempestivamente ai cambiamenti e alle sfide che la biodiversità del mare sta attraversando.

Questo reportage è stato realizzato grazie al sostegno del Pulitzer center.

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