Il 28 marzo 2023 il consiglio dei ministri ha approvato “con procedura d’urgenza” un disegno di legge che vieta la vendita, commercializzazione, produzione e importazione di alimenti artificiali. “L’Italia è la prima nazione che dice no alla carne sintetica, con un atto formale e ufficiale”, ha affermato il ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida presentando il provvedimento in conferenza stampa.

In realtà, il disegno di legge vieta la produzione e la vendita di un alimento di cui non sappiamo quasi niente. La ricerca per la “carne sintetica” – nota anche come carne “artificiale”, “colturale” o “coltivata” – è ben avviata, ma ancora lontana dal permetterne una produzione stabile e su larga scala, e con tutta probabilità bisognerà aspettare diversi anni prima di poter consumare prodotti di questo tipo sulle tavole europee. Al momento la vendita di carni coltivate è autorizzata soltanto in due paesi, Israele e Singapore, mentre in Italia è attiva una sola start up che si occupa di carne colturale.

Sembra quindi che il governo abbia approvato un disegno di legge urgente per bloccare sul nascere lo sviluppo di un settore promettente vietando l’importazione di prodotti che comunque non sarebbero reperibili sul mercato europeo.

Un processo biologico

“La produzione di carne coltivata parte da una biopsia con cui vengono estratte alcune cellule da un animale, in modo semplice e indolore. Queste vengono fatte proliferare e differenziare in una coltura, in modo che si possano creare dei tessuti muscolari sovrapponibili alla carne tradizionale”, spiega Carlotta Giromini, docente nel dipartimento di medicina veterinaria e scienze animali dell’università Statale di Milano. “Non si parla quindi di tessuti o cellule geneticamente modificate, perché il punto di partenza è sempre un animale”.

La carne sintetica, quindi, “di sintetico non ha nulla, tutto il processo è biologico”, conferma Diego Mora, docente e coordinatore del dottorato di ricerca in scienze per i sistemi alimentari sempre alla Statale di Milano. La produzione di carne coltivata prevede anche l’uso di bioreattori o fermentatori, cioè macchinari che ricreano un ambiente adeguato alla crescita di sistemi biologici. Nonostante siano spesso indicati (impropriamente) come poco sicuri, oggi i bioreattori sono usati in molte produzioni alimentari di uso quotidiano, come la birra o il vino; nella produzione di tutti i microrganismi usati come probiotici negli integratori; e come responsabili dei processi fermentativi nelle produzioni casearie, negli insaccati e nei prodotti da forno lievitati.

“Nel caso della coltivazione di cellule animali, così come per la produzione di microrganismi di impiego alimentare, sono usati bioreattori sofisticati, con controlli sui parametri chimico-fisici, sulla temperatura o sulla somministrazione dei nutrienti”, spiega Mora. La tecnologia di base quindi è la stessa, ma “in tutti gli altri casi l’uso dei bioreattori viene accettato, mentre quando si parla di carne il prodotto finale è considerato sintetico. È una contraddizione”, afferma il docente. “L’avversione della politica italiana per questa tipologia di produzione è prettamente ideologica, non ha niente di scientifico”.

I punti da sciogliere

Secondo i suoi sostenitori, la carne colturale porterebbe benefici da due punti di vista: etico e ambientale. In primo luogo, infatti, permetterebbe di produrre carne e derivati senza causare sofferenza agli animali. Inoltre, sarebbe possibile evitare gli allevamenti intensivi, che richiedono molta energia, consumo di suolo ed emettono enormi quantità di gas inquinanti.

Gli oppositori, invece, sostengono che anche la carne colturale potrebbe avere un impatto ambientale non trascurabile. “I vantaggi ambientali sono dubbi, anche perché i bioreattori sono macchine energivore e producono anidride carbonica”, sostiene Giuseppe Pulina, presidente dell’associazione Carni sostenibili e docente presso la facoltà di scienze agrarie e veterinarie dell’università degli studi di Sassari. Inoltre, gran parte delle proteine e degli amminoacidi essenziali consumati dagli esseri umani provengono da alimenti di origine animale, e sarebbe difficile sostituire quantità così grandi di nutrienti facendo affidamento esclusivamente sulla produzione con bioreattori, aggiunge Pulina.

Un altro aspetto dibattuto della carne colturale consiste nel fatto che al momento non abbiamo un quadro completo dell’impatto che questa potrebbe avere sulla salute umana. “Ciò non vuol dire che debbano esserci necessariamente effetti negativi, ma semplicemente che ancora non possiamo saperlo”, chiarisce Pulina. Lo stesso principio è stato sottolineato anche dal ministro per la salute Orazio Schillaci, che nella conferenza stampa per la presentazione del disegno di legge sugli alimenti sintetici ha precisato che il provvedimento si basa sul “principio di precauzione”. “Non esistono evidenze scientifiche relative ai possibili effetti dannosi dovuti al consumo di cibi sintetici”, ha detto il ministro, ma il governo Meloni vuole comunque “preservare la salute dei cittadini e il patrimonio agroalimentare della nostra nazione”.

Da sapere
Bistecche alternative

Carne coltivata
Impropriamente chiamata sintetica o artificiale, la carne coltivata o colturale è prodotta a partire da cellule prelevate dagli animali che vengono nutrite e fatte crescere in laboratorio. Si possono coltivare in vitro oppure utilizzando dei bioreattori simili a quelli usati per la produzione di birra o yogurt, vaccini e insulina. Alla fine del procedimento si ottiene un prodotto di origine animale con cui preparare i tagli di carne.

Carne stampata
Si produce usando le stampanti in 3D. O partendo da ingredienti vegetali, con il vantaggio che il procedimento di stampa permette di imitare meglio la struttura muscolare degli animali, dando maggiore consistenza al prodotto finito; oppure combinando insieme ingredienti vegetali e cellule prelevate dagli animali e cresciute in laboratorio.

Carne vegetale
È prevalentemente a base di soia o farina di legumi (piselli, fagioli), combinati con cocco, oli vegetali o barbabietola rossa per ricreare la sensazione di grasso e riprodurre il colore della carne. Non contiene ingredienti di origine animale.


D’altra parte, in Italia un atteggiamento di generale diffidenza e contrarietà nei confronti di possibili innovazioni in ambito alimentare non è nuovo. Era successo con il Nutriscore, un sistema nato in Francia che classifica i prodotti alimentari in base alle loro caratteristiche nutrizionali e, di conseguenza, spesso attribuisce valutazioni negative a eccellenze italiane come il prosciutto di Parma e l’olio extravergine di oliva. Per questo ciclicamente il Nutriscore è criticato da molti esponenti politici, come il leader della Lega Matteo Salvini. Più di recente, l’attenzione della politica si è spostata sul ricorso agli insetti dopo il via libera dato dalla Commissione europea alla commercializzazione di vari prodotti derivati.

Da anni poi Coldiretti, la principale associazione italiana del settore agricolo, porta avanti una battaglia contro la “carne sintetica” che ha ricevuto l’appoggio di molti esponenti politici, provenienti soprattutto dal centrodestra. Nel dicembre del 2022, l’associazione ha avviato una raccolta firme per vietare l’uso di questa tecnologia sottoscritta, tra gli altri, anche dal ministro Lollobrigida e dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni.

La ricerca avanza

Nonostante i tentativi del governo italiano “la ricerca non può essere fermata”, sostiene Maria Caramelli, responsabile della sezione di neuroscienze all’Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, sottolineando anche che all’estero il settore della carne coltivata sta già attirando investimenti per miliardi di dollari.

Inoltre, incentivare l’innovazione nel settore della carne coltivata non significa necessariamente eliminare i metodi di allevamento tradizionali. “Nell’ambito della produzione animale l’Italia ha una tradizione consolidata, che non si deve perdere, anzi: deve essere valorizzata proprio per affiancare la ricerca scientifica nell’ambito della carne colturale e avere dei prodotti ancora migliori”, ha sottolineato Giromini, dell’università degli studi di Milano. “L’Italia potrebbe avere un ruolo chiave in questo ambito, ma la ricerca deve essere affiancata da una comunicazione efficace e oggettiva, senza demonizzazioni”.

Nuovi alimenti, nuovi controlli

Nell’Unione europea, la carne colturale è considerata come un novel food, una categoria che include tutti gli alimenti che non erano consumati in modo significativo prima del 1997 e di cui fanno parte, per esempio, anche le farine di insetti. Secondo le normative, un’azienda interessata a vendere un novel food deve ricevere l’approvazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e della Commissione europea, seguendo un processo che prevede controlli estesi e rigorosi volti ad assicurare che l’alimento non presenti rischi per la salute. Al momento, nessun prodotto considerabile come “carne colturale” è stato approvato dall’Efsa o dalla Commissione, e quindi questi alimenti non sono disponibili per il consumo in nessun paese europeo.

Secondo Caramelli, però, presto i paesi più avanzati nel settore, come quelli dell’Europa del nord o i Paesi Bassi, potrebbero presentare la domanda di autorizzazione e avviare quindi la procedura di valutazione delle autorità europee. Secondo un rapporto del Good food institute, nel 2021 erano attive in tutto il mondo 107 aziende specializzate nel settore della carne colturale, soprattutto negli Stati Uniti, in Israele, nel Regno Unito e a Singapore.

In Italia, l’unica startup a occuparsi esclusivamente di carne colturale è la BrunoCell, nata nel 2019 in Trentino-Alto Adige. “Ci occupiamo soprattutto di ricerca: la nostra attività principale consiste nel collaborare con varie università e sviluppare conoscenze che possano portare a brevetti nell’ambito della carne coltivata”, spiega una portavoce dell’azienda. Al momento, BrunoCell “non ha interesse per la produzione o la commercializzazione di un prodotto al pubblico”, ma vuole “sviluppare tecnologie utilizzabili da altre aziende o persone interessate al settore”.

In merito alla nuova proposta del governo, BrunoCell non ha dubbi: “Esiste già una regolamentazione europea che si occupa di certificare la sicurezza degli alimenti”. Inoltre, la legge rischia di bloccare sul nascere un settore che invece “potrebbe portare ricerca, innovazione e posti di lavoro”.

Intanto molti paesi vanno avanti. Nel novembre del 2022, la Food and drug administration degli Stati Uniti ha dato un parere positivo riguardo alla sicurezza del pollo “artificiale” prodotto dall’azienda Upside Food, e a marzo del 2023 lo stesso giudizio è stato dato alla carne colturale della startup Good Meat. Prima di entrare sul mercato, entrambe le compagnie dovranno sottoporsi ad altri controlli e ricevere l’autorizzazione anche del dipartimento per l’agricoltura.

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