Questo articolo è uscito il 5 marzo 2022 a pagina 7 del numero 17 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.

A settembre del 2014, allo scoppio della guerra del Donbass tra il governo ucraino e i separatisti filorussi, Pavel Gubarev, all’epoca governatore della sedicente Repubblica popolare di Donetsk, annunciava trionfante su Facebook: “Un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia”. A suo dire, l’italiano era arrivato con una motivazione precisa: “I nazisti ucraini sono filoamericani. Uccidendoli combatto contro gli Stati Uniti”.

Andrea Palmeri, 41 anni, è un militante neofascista di Lucca: conosciuto con il nome di Generalissimo, è stato a lungo il capo del gruppo ultras di estrema destra Bulldog; in quella veste si è reso responsabile di varie aggressioni a sfondo politico, collezionando denunce e procedimenti penali.

Nell’estate del 2014, mentre era sottoposto alla misura di sorveglianza speciale, Palmeri è andato via da Lucca per poi riapparire nel Donbass. Una foto pubblicata su Facebook lo ritraeva a torso nudo con un kalashnikov, di fianco a due miliziani. Da allora non è più tornato, e nel frattempo la Repubblica popolare di Luhansk gli ha concesso la cittadinanza per meriti ottenuti sul campo.

Dal 24 febbraio, quando è cominciata l’invasione russa dell’Ucraina, Palmeri ha pubblicato diversi aggiornamenti sui social network. Il primo marzo ha scritto che “purtroppo la situazione sta sfuggendo di mano ed è pericolosa” poiché “l’Europa sta riempiendo l’Ucraina di armi letali, l’informazione è invasa da propaganda russofobica e fake news”.

Cambiare vita

Per la giustizia italiana Palmeri è un latitante. Il 28 settembre del 2021 il tribunale di Genova l’ha condannato in primo grado a cinque anni di reclusione: secondo l’accusa, avrebbe reclutato persone per farle combattere nelle milizie filorusse in Donbass.

L’inchiesta era stata avviata nel 2013 a La Spezia, dopo che alcuni neonazisti avevano imbrattato i muri della chiesa del Sacro Cuore con scritte che inneggiavano all’ex capitano delle Ss Erich Priebke.

Palmeri è il più noto foreign fighter italiano in Ucraina, ma non è l’unico. Attualmente, secondo alcuni giornali italiani, almeno altri tre cittadini italiani stanno combattendo con le milizie filorusse.

Uno è Massimiliano Cavalleri (nome di battaglia Spartaco), 46 anni, che in un’intercettazione dell’inchiesta sui reclutatori, dice: “Se io torno indietro mi viene voglia di prendere la pistola e cominciare a sparare a destra e a sinistra”. Poi ci sono Gabriele Carugati (Arcangelo), 32 anni, figlio dell’ex segretaria della Lega di Varese, ed Edy Ongaro (Bozambo), che si definisce un “internazionalista antifascista impegnato a lottare contro le ingiustizie nel mondo”.

Nell’ultimo post pubblicato sul suo profilo Facebook, Ongaro afferma che “massacrare i civili novorussi non ha mai portato fortuna a chi arrivava da ovest, subumani bastardi nazisti strumento imperialista da sempre”.

Il combattente italiano Gabriele Carugati a Donetsk, in Ucraina, 2015 (Alfredo Bosco, Luz)

Secondo il rapporto Career break or new career? Extremist foreign fighters in Ukraine, del Counter extremism project (Cep), i combattenti stranieri in Ucraina sono circa 17mila. Il ricercatore Kacper Rękawek ha calcolato che la stragrande maggioranza (15mila) viene dalla Russia, il resto da paesi occidentali.

Francesco Marone, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), stima che nel corso degli ultimi otto anni i combattenti partiti dall’Italia sarebbero circa sessanta. Un flusso tutt’altro che trascurabile: in Europa solo la Germania e la Serbia hanno numeri più elevati, rispettivamente 150 e 100.

Alcuni, dice Marone all’Essenziale, sono partiti per cambiare vita: “Hanno deciso di abbandonare l’Italia e ricominciare da un’altra parte”. Altri invece sono andati “per ragioni prevalentemente economiche o professionali: magari facevano già i soldati professionisti, e il conflitto nell’Ucraina dell’est è stato un’occasione di proseguire la carriera o farsi dei contatti utili per lavorare nella sicurezza privata”. Per altri ancora, “l’ideologia sembra essere stata la molla più importante”.

Stando al rapporto di Rękawek, più della metà dei foreign fighters occidentali in Ucraina ha posizioni di estrema destra. La cosa interessante è che i combattenti neofascisti si sono equamente divisi tra gli ucraini e i separatisti.

Alcuni si sono idealmente uniti a Vladimir Putin e alla sua visione del mondo, considerata un bastione di resistenza al “globalismo” e alla corruzione morale delle democrazie liberali occidentali; altri hanno abbracciato il nazionalismo ucraino e il sogno di una “rivoluzione nazionale”.

Il parallelismo con il fenomeno dello jihadismo globale non è convincente

È il caso di un combattente italiano che ha militato nel gruppo estremista Pravy sektor (Settore destro) durante le proteste filoeuropee di Euromaidan e successivamente si è arruolato tra le file del battaglione Azov, una milizia nata nella primavera del 2014 dalla fusione di due gruppuscoli di estrema destra guidati da Andriy Biletsky (chiamato dai suoi il Führer bianco).

Durante la guerra del Donbass il battaglione Azov è stato in prima linea nella battaglia di Mariupol e ha contribuito alla riconquista della città, venendo poi premiato con l’inquadramento nella Guardia nazionale ucraina. Due rapporti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno accusato il battaglione di uccisioni indiscriminate di civili, saccheggi e torture.

Il combattente italiano Massimiliano Cavalieri a Donetsk, in Ucraina, 2016 (Alfredo Bosco, Luz)

In un’intervista del 2015 al Corriere della Sera il volontario raccontava che nel battaglione c’erano “tanti svedesi, tanti russi, ma anche francesi, slavi e sette italiani”. Elogiava perfino i connazionali schierati con i filorussi: “Si muovono con lo stesso spirito che ha spinto me, quindi li rispetto”.

Oggi la situazione del 2014 e 2015 potrebbe replicarsi su scala più grande. Il ministero della difesa ucraino ha creato una Legione internazionale, e il presidente Volodymyr Zelenskyj ha incoraggiato le persone ad arruolarsi per esprimere “sostegno verso il nostro paese”. Hanna Maliar, viceministra della difesa, ha annunciato sui social network che le richieste sono già migliaia.

L’ambiguità dei governi

Finora i governi dei paesi europei hanno tenuto un atteggiamento ambiguo. La ministra degli esteri del Regno Unito, Liz Truss, ha addirittura incoraggiato i propri cittadini ad andare, attirandosi le critiche del Partito conservatore. Il ministero degli esteri belga invece ha sconsigliato ai propri cittadini di andare in Ucraina.

Le autorità italiane non si sono ancora pronunciate ufficialmente sul tema. A livello giuridico la situazione è complessa: combattere all’estero non è reato, lo diventa solo se si combatte per un’organizzazione terroristica.

Il decreto che ha introdotto questa nuova fattispecie penale è stato approvato a febbraio del 2015 dopo l’attacco terroristico alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo, ed è ritagliato sul terrorismo di matrice jihadista.

In questo caso, però, il parallelismo con il fenomeno dello jihadismo globale non è convincente. “In Ucraina non ci sono, né da un lato né dall’altro, organizzazioni che sono programmaticamente impegnate in attività terroristiche su scala internazionale”, sostiene il ricercatore.

“E formazioni come Azov, per quanto si possano iscrivere in una visione di estrema destra transnazionale, hanno poco a che vedere con l’agenda globale del gruppo Stato islamico”.

Ma effettivamente, accanto a persone che hanno a cuore la causa ucraina potrebbero mobilitarsi anche gli estremisti. “Le ragioni per cui già ci erano andati, compresa la presenza di battaglioni di estrema destra, non sono venute meno”, spiega Marone.

Questo articolo è uscito il 5 marzo 2022 a pagina 7 del numero 17 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.

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