Questo articolo è uscito il 19 marzo 2022 a pagina 19 del numero 19 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.
Ho appuntamento con Sergio Scandura sotto l’imponente colonnato razionalista del palazzo di giustizia di Catania. Nei paraggi c’è un ristorante romano di cui vuole provare la gricia (“un piatto semplicissimo e pazzesco”, dice). Scandura, storico corrispondente di Radio Radicale, arriva a bordo del suo scooter, si toglie il casco e subito mi indica una finestra dell’Hotel Excelsior, sul lato opposto di piazza Verga: “Lì Marco Pannella stabilì il quartier generale della lista civica laica e verde, nel 1988, con cui volle fare di Catania un caso nazionale”.
Catania era la città italiana con il più alto tasso di criminalità minorile, e tra le prime per numero di omicidi; l’impegno del leader radicale, spiega Scandura, fu determinante per l’elezione del primo sindaco non democristiano nella storia della città, Enzo Bianco. È cominciata quel giorno la carriera giornalistica di Scandura, all’epoca un giovane militante del Partito radicale: “Quando fu eletto Bianco il consiglio comunale esplose in un boato. Presi un microfono e mi misi a raccogliere le reazioni. Al direttore le interviste piacquero, e mi assunse”.
Fare il cronista in Sicilia negli anni novanta significava essere testimone della storia d’Italia: il maxi processo a cosa nostra, l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi che si era ribellato al racket del pizzo, le stragi di mafia. “Arrivai in via D’Amelio due ore dopo l’esplosione”, racconta ricordando l’attentato in cui furono uccisi il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Spulciando tra le sue interviste nello sterminato archivio di Radio Radicale ci si trova di tutto, da Rita Borsellino, sorella del magistrato, al cantante e compositore Franco Battiato.
Ma è nell’ultimo decennio, da quando la Sicilia è diventata uno dei principali approdi dei flussi migratori verso l’Europa, che Scandura sembra aver trovato la sua vocazione. Nel piccolo mondo di chi lavora o fa ricerca nel campo delle migrazioni, si è trasformato in una specie di celebrità internazionale, grazie a una sua peculiare passione: il tracciamento di navi e aeroplani.
Maestro di giornalismo
“Oggi il Mediterraneo centrale è un buco nero”, dice. “Dal 2019 non riceviamo più comunicati ufficiali sulle operazioni di ricerca e soccorso”. In questo contesto, i tracciati aerei che Scandura condivide ogni giorno su Twitter sono una fonte fondamentale per chi fa soccorsi in mare. Le sue mappe del Mediterraneo, su cui s’intrecciano arzigogolate linee fluorescenti che descrivono le traiettorie di voli militari e civili, hanno qualcosa di artistico. E un insostituibile valore informativo: in mancanza di comunicati ufficiali, le orbite dei voli di Frontex, l’agenzia europea di sorveglianza delle frontiere, permettono di intuire la presenza di un barcone di migranti lì dove gli aerei girano in tondo.
L’attività di tracciamento richiede molto tempo e si scontra con gli sforzi delle autorità di frontiera per offuscare i propri movimenti. Nell’aprile del 2020 i tracciati di Scandura mostravano diversi aerei europei che sorvolavano un barcone da cinque giorni. Quando, alla fine, è intervenuta la marina maltese, quindici passeggeri erano morti, di sete o annegati; in spregio alle leggi internazionali, i superstiti sono stati riconsegnati a una motovedetta libica. Subito dopo Frontex ha oscurato i suoi voli sui principali portali di tracciamento, affermando di voler evitare che “i criminali, come i trafficanti di droga”, venissero a conoscenza di quelle informazioni.
“Più di vent’anni fa, in una riunione alla radio, Pannella disse: dovremmo mettere delle boe con delle telecamere per vedere che cazzo succede nel Mediterraneo”, ricorda Scandura, facendo una perfetta imitazione del leader radicale. “Per me non è stato un politico, ma un grande maestro di giornalismo”.
Far luce sul Mediterraneo è diventata per Scandura una missione. Nelle settimane successive al nostro pranzo, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, mi ha mandato messaggi con le sue scoperte: il mega yacht dell’oligarca russo Sergei Galitsky che, in fuga dalle sanzioni europee, intercetta un barcone di profughi; o i droni della Nato che sorvolano l’Ucraina: “Quelli l’Europa ce li vuole far vedere, invece quello che si muove in Libia deve rimanere nascosto”.
La responsabilità dell’Italia
Scandura divide la sua giornata tra i portali di tracciamento e i moli del porto, dove racconta gli sbarchi in diretta. A cinque anni dagli accordi con la Libia stipulati dal governo di Paolo Gentiloni per bloccare i flussi migratori, ne fa un bilancio impietoso: “Volevano fermare i trafficanti: oggi i migranti che arrivano in Italia hanno fatto cinque o sei tentativi di scappare dalla Libia. Ogni volta che vengono riportati indietro, per uscire dai centri di tortura pagano un altro riscatto, un altro biglietto per il viaggio: gli affari dei trafficanti si sono moltiplicati”. E mentre in mare si continua a morire, “le navi Diciotti e Dattilo della guardia costiera restano inutilizzate qui in porto a Catania”.
Scandura ritiene che sui soccorsi in mare l’Italia debba farsi carico delle sue responsabilità: s’infuria per i tentativi italiani di far sbarcare le navi di migranti a Malta o in altri paesi del Mediterraneo, quando il diritto internazionale stabilisce che il luogo di sbarco dei naufraghi debba essere il porto sicuro più vicino. Che quasi sempre è in Italia: “Un paese del G7!”, ripete.
Perfino i vertici delle ong di ricerca e soccorso, dice, “assecondano i ritornelli del ministero dell’interno sull’Italia, poverina, lasciata sola dall’Europa, mentre danno addosso a Malta, un foruncolo geografico”. Malta, più piccola del comune di Brindisi, si fa carico di un’area di ricerca e soccorso grande quanto il Regno Unito. “E in Germania ci sono 500mila migranti che per il trattato di Dublino avrebbero dovuto fare domanda di asilo in Italia”. Quando gli uffici di comunicazione delle ong attaccano genericamente l’Europa sorvolando sulle responsabilità dello stato italiano, Scandura li rintuzza con un hashtag che li fa imbestialire: #TrattativaStatoONG.
Del resto Scandura è uno che quando sei a Catania per pochi giorni, e sogni arancini e melanzane fritte, ti porta a mangiare cucina romana: l’esatto contrario di accomodante. Finiamo di mangiare, ci fumiamo una sigaretta, ci lamentiamo del mestiere. Vedo Scandura che si fa sempre più grigio in volto. In senso letterale: mi accorgo che sto diventando grigio anch’io. Sono le ceneri dell’Etna che ha ricominciato a fumare. Ne resto affascinato – non avevo mai visto un vulcano attivo – e in cerca della chiosa poetica per quest’intervista gli chiedo come sia vivere alle pendici di un vulcano: “Una rottura di coglioni, passi la giornata a pulire casa dalla cenere”.
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