George Orwell, scrittore britannico del ventesimo secolo noto principalmente per i suoi romanzi distopici, ha contribuito in maniera sostanziale anche alla riflessione sull’uso della lingua nei contesti politici e giornalistici. Nel suo saggio La politica e la lingua inglese, Orwell critica aspramente la qualità dei testi scritti nel suo tempo, individuandone due vizi principali.
Il primo è l’aridità delle immagini, che si manifesta attraverso l’uso eccessivo di parole astratte, scelte da chi scrive per conferire ai propri testi un tono formale e autorevole. Queste parole, spesso lunghe e di origine latina, denotano concetti che non hanno un corrispettivo tangibile nel mondo. “Giurisdizione” e “autorevolezza” sono esempi di parole astratte, mentre “occhiali” e “scrivania” sono parole concrete. Le ricerche in ambito cognitivo e psicologico mostrano che i bambini, mediamente, imparano le parole concrete prima di quelle astratte, e che anche gli adulti le riconoscono più in fretta e le ricordano più facilmente. Questo potrebbe dipendere dal fatto che evocano immagini mentali specifiche che ne facilitano la memorizzazione.
Le parole astratte, invece, sono più complesse e difficilmente stimolano delle vivide rappresentazioni visive nella mente di chi legge o ascolta, a meno che non ci si avvalga di metafore efficaci e creative. Orwell, tuttavia, mette in guardia dall’uso delle metafore, soprattutto da quelle che hanno perso il loro potere evocativo, risultando bizzarre e comunicativamente inutili. Un’espressione come “essere tra l’incudine e il martello”, comunemente usata per descrivere chi si trova in una posizione complicata, difficilmente riuscirà a evocare ancora immagini mentali efficaci.
Il secondo vizio che Orwell attribuisce ai testi “scritti male” è la mancanza di precisione, cioè l’uso di parole troppo generiche, che descrivono categorie di concetti molto ampie o sono applicabili a una vasta gamma di contesti e di oggetti. Per esempio i termini “utensile” o “cibo” si riferiscono a cose concrete, ma raggruppano diversi esemplari: un utensile può essere una forchetta, un martello o una cesoia.
Nella lingua d’uso, a seconda del contesto comunicativo e del tipo di interlocutore, si tende a modulare il linguaggio su un livello di specificità adeguato. In una conversazione tra esperti di un determinato settore, per esempio, si useranno parole specifiche appartenenti a un lessico specialistico. In contesti informali, testi divulgativi o per bambini è invece normale trovare parole più generiche. Se il livello di specificità non soddisfa le aspettative, di solito ci si annoia (perché è troppo generico) o ci si infastidisce (perché è troppo specifico e quindi poco comprensibile).
Ma quale sia la relazione tra la concretezza e la specificità, resta una domanda aperta. Può darsi che i termini più generici siano anche più astratti rispetto ai termini specifici? “Utensile” è più astratto di “forchetta” anche se entrambi i termini sono riferibili a entità concrete? “Cibo” è più astratto di “risotto”?
Per trovare una risposta il progetto di ricerca Abstraction, finanziato dall’Unione europea e sviluppato dall’università di Bologna, ha ideato uno strumento originale da cui estrarre misure di specificità di migliaia di parole in lingua italiana e inglese: un gioco linguistico, sotto forma di applicazione gratuita per telefoni cellulari. L’obiettivo è profilare le parole in modo sistematico, distinguendole tra: generiche e astratte (come arte, libertà, emozione); specifiche e concrete (bassotto, arancia rossa, giallo canarino); generiche ma concrete (sostanza, colore, entità); e specifiche ma astratte (pop-art, risentimento, libertà di stampa).
L’app si chiama Word Ladders e i giocatori possono sfidarsi, individualmente o in gruppo, allenando le proprie competenze lessicali con lo scopo di costruire scale di parole più lunghe possibili, a partire da una parola iniziale fornita dal gioco. Grazie a questa app, una volta profilate le parole, sarà più facile analizzare i loro effetti comunicativi e capire cosa faccia di un testo un buon testo, relativamente alla scelta dei termini in esso contenuti. ◆
Marianna Marcella Bolognesi è ricercatrice presso il dipartimento di lingue, letterature e culture moderne dell’università di Bologna.
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