Oscar va tutte le mattine al parco. È una strana vacanza che dura da mesi: arrivato dal Perù a Roma, a 7 anni Oscar dovrebbe essere a scuola e invece vive un tempo sospeso, tra l’altalena la mattina e i videogiochi il pomeriggio. Il sogno sta diventando un incubo e sua madre non sa a chi lasciarlo quando lavora.
Oscar non è un’eccezione. A Roma molti minori stranieri (in particolare quelli arrivati per ricongiungimento familiare) rimangono mesi a casa. In Italia ogni bambino ha il diritto-dovere all’istruzione. Lo dice la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, ratificata dall’Italia nel 1991, lo affermano la costituzione e la legislazione successiva, che fissa l’obbligo scolastico fino a 16 anni. Ma per le famiglie migranti un banale passaggio amministrativo è un’odissea, un diritto diventa una faticosa conquista.
Il problema è denunciato da anni da Rete ScuoleMigranti, un organismo di coordinamento di 87 associazioni che insegnano italiano agli stranieri nel Lazio: vanno da gruppi di volontariato di quartiere a realtà consolidate come le Scuole Popolari o la Comunità di sant’Egidio. Antonella Priori, docente di italiano a stranieri e attivista della Rete, sui respingimenti scolastici ha scritto e raccolto dati. “Le famiglie spesso non hanno informazioni sul sistema scolastico italiano”, dice. “Se non incontrano un’associazione che li aiuta, possono tenere i figli a casa anche un anno. Se vanno di persona nelle scuole più vicine a iscriverli spesso ricevono dei dinieghi. Lo scopriamo quando le mamme vengono la mattina ai corsi di lingua e portano i bambini”.
La difficoltà di iscriversi
Avvolta dal suo velo e da un elegante vestito a fiori, seria e composta, Mim è una bambina di 9 anni, arrivata a febbraio dal Bangladesh a Tor Pignattara, a Roma. Siamo nel quinto municipio, dove la presenza di stranieri è molto alta (il 17,7 per cento della popolazione). Sono cinesi, filippini, rumeni, egiziani e soprattutto bangladesi, che arrivano legalmente per ricongiungimento familiare. I genitori di Mim hanno provato a iscriverla a due scuole elementari ma erano piene. Sono passati mesi, poi hanno incontrato l’associazione AltraMente, che a settembre ha trovato finalmente una classe per lei.
AltraMente è ospitata nei locali di una scuola, l’istituto comprensivo di via Laparelli. Solo una porta separa le aule dell’associazione da quelle della scuola, ma quel confine – che segna simbolicamente l’ingresso nel nuovo paese, la possibilità di un percorso di integrazione e di cittadinanza – può diventare una barriera. Un’altra associazione di Tor Pignattara, Asinitas, si rivolge in particolare alle donne straniere: le operatrici raccontano di quanto sia difficile, in un quartiere ad alta pressione demografica, trovare un posto a scuola.
Giovanna Salerno insegna inglese alla Rosa Parks, le medie della Pisacane, una scuola simbolo di accoglienza e integrazione. È felice di lavorare in una scuola multiculturale, ma conferma: “I ragazzi arrivano tutto l’anno, abbiamo sempre accolto tutti, con un grande impegno. Vengono qui perché sanno che difficilmente mandiamo via un alunno, ma ci sono limiti di capienza. Ora siamo anche noi in difficoltà”.
A Tor Pignattara incontro anche Halida e Jamal, due gemelli di 14 anni della Guinea. Arrivati regolarmente nel maggio del 2022 per ricongiungimento familiare, sono entrati alle medie Rosa Parks nove mesi dopo. Il padre non ha cercato una scuola subito e spiega perchè: “Voglio il meglio per i miei figli, lo studio è importante. Ma il permesso di soggiorno arriva dopo mesi, pensavo che senza non ci si potesse iscrivere”.
Il fatto è che molti genitori migranti conoscono poco la lingua e le norme italiane. Non sanno che in Italia l’istruzione, oltre ad essere un diritto, è un obbligo. Papia Atkar, di origine bangladese, operatrice legale e responsabile del settore immigrazione per Arci Roma, segue decine di persone al mese. “Non c’è un’informativa chiara per chi arriva. Eppure per i ricongiungimenti familiari sarebbe semplice: informazioni in più lingue sul sistema scolastico italiano, da consegnare all’arrivo o meglio prima, nel paese di origine. La digitalizzazione delle iscrizioni non aiuta, non sempre chi arriva ha le competenze”.
Per supportare le famiglie straniere la Comunità di sant’Egidio ha aperto in più quartieri degli sportelli dedicati alla scuola. Visitarli dà la misura del problema. In una mattina di settembre, in quello di Trastevere ci sono centinaia di persone in fila, in prevalenza latinoamericani, che non sanno come fare l’iscrizione o hanno avuto dei rifiuti.
Ma la disinformazione non è l’unico ostacolo e lo dimostra la storia di Halida e Jamal. Inseriti a scuola, i gemelli si sono molto impegnati nello studio e in pochi mesi hanno raggiunto un livello base di italiano. Halida vorrebbe lavorare in campo sanitario e Jamal vorrebbe fare il meccanico. Dopo l’esame di terza media, il padre ha provato a iscriverli a un istituto professionale ma gli hanno detto che le classi erano piene. Hanno rischiato di perdere altri mesi. È servito l’intervento dell’ex insegnante delle medie, che ha parlato con la segreteria, per scoprire che due posti c’erano.
Dinieghi, respingimenti: ma può una scuola dire di no a un ragazzo straniero? Sì, come a qualsiasi alunno, se le classi hanno raggiunto il numero massimo. “Il problema – spiega Antonella Priori – è che capita sempre agli stranieri. Perché arrivano in tutti i mesi dell’anno, mentre le domande di iscrizione si presentano a febbraio, ed è più facile che le classi siano piene. Ma anche perché, accanto a scuole che spalancano le porte, ci sono quelle che non li prendono volentieri. Danno risposte come ‘la preside non c’è, torni un’altra volta’ o ‘lasci la mail, la ricontattiamo noi’. Poi spariscono. Il genitore aspetta la mail per mesi e intanto è tutto tempo perso per il bambino”. Secondo la normativa, la scuola deve dare una motivazione scritta del diniego, ma non succede quasi mai.
“Ci sono anche scuole a migranti zero, c’è un problema di razzismo“, continua Priori. “I genitori pesano. Ci sono state le cosiddette fughe bianche: se ci sono troppi bambini stranieri, i genitori italiani scelgono un’altra scuola”. È il fenomeno della segregazione scolastica, comune a molte città: nella stessa zona alcune scuole hanno moltissimi stranieri, altre quasi nessuno, con effetti negativi sia per l’apprendimento sia per l’integrazione.
Poca informazione, condizionamenti della cultura di origine, limiti oggettivi di spazio e docenti, difficoltà ad accogliere, razzismo nascosto. Un groviglio intricato di cause e un unico risultato: i minori restano a casa, il divario culturale ed educativo si allarga. Per questo nel 2021 ScuoleMigranti ha creato l’Osservatorio Discol (diniego scolastico), che aiuta le famiglie per le iscrizioni e raccoglie dati sul problema. In meno di due anni Discol ha registrato a Roma 220 casi di respingimenti, che coinvolgono persone di 36 nazionalità in tutti gli ordini di scuola, dai nidi alle superiori.
La nostra è un’ambizione: che il volontariato si trasformi in politica pubblica
Da Tor Pignattara al quartiere Gianicolense, dall’altra parte della città, i problemi sono simili. Qui incontro Mariangela Pierro, un’ex insegnante dai capelli grigi e dai modi gentili, attiva nell’associazione Monteverde Solidale. Come lei, altri volontari, quasi tutti pensionati, insegnano italiano a bambini e adulti migranti. È solo grazie a persone come loro (sono centinaia che lavorano dietro le quinte) che a Roma un minore straniero entra in classe. Nel parco di largo Ravizza conosco, in un’afosa giornata di luglio, Hasan e i suoi familiari, anche loro bangladesi. Dopo Romania e Filippine, il Bangladesh è il terzo paese di provenienza dei cittadini stranieri nella capitale, con più di 33mila persone.
La moglie Nila e i tre figli, che hanno dai due ai 12 anni, lo hanno raggiunto a febbraio da un piccolo villaggio. Nila non parla italiano. Chiedo ad Hasan di tradurre, ma lei resta in silenzio, stretta ai bambini, e il dialogo è condotto dall’uomo. Dopo avere fatto l’ambulante e l’operaio, Hasan lavora in cucina in un ristorante, mentre Nila rimane tutto il giorno a casa con i figli: i due più grandi aspettano da mesi un posto a scuola.
La condizione di Nila è comune a molte donne migranti. È la “trappola della cura”: per lei sarà difficile trovare un ruolo diverso da quello di madre. I suoi figli vivono una condizione di deprivazione economica (dormono in cinque in una stanza, non possono permettersi una giornata di mare o una pizza) ma anche di povertà educativa. Parlano poco italiano, hanno perso mesi preziosi per la crescita e la socializzazione, passano il tempo a giocare sul telefono.
Mariangela spiega che quando le associazioni non trovano una scuola si rivolgono all’Osservatorio Discol, dove prestano servizio tre volontari di Scuole Migranti: Danilo Pierleoni, Cinzia Venturini e Anna Nota. Venturini cerca una classe per i figli di Nila ed è sconfortata: ha già provato in sette istituti. Ogni volta la stessa storia: “Vado sul sito ScuolainChiaro, cerco le scuole più vicine, mando la mail e non rispondono, allora chiamo. Mi sembra incredibile che non si riescano a trovare due posti”. Dopo tre rifiuti il caso dovrebbe passare all’Ufficio scolastico territoriale, ma spesso neanche così si risolve. Solo a inizio settembre riesce a fare iscrivere i due fratelli, appena in tempo per l’inizio dell’anno.
Questi alunni non vengono visti come possibilità, solo come un problema
Venturini segue casi in tutta Roma e conferma che un anello debole è il personale scolastico: non c’è un protocollo condiviso di accoglienza. “La cosa sconfortante è che li vedono solo come stranieri, non come minori in età dell’obbligo. Chiedono: sa l’italiano? Come fa a seguire?”. La legge dice che ogni minore, anche se irregolare, deve frequentare la scuola dell’obbligo. Molte scuole sembrano ignorarlo e chiedono documenti non necessari, come la pagella della scuola d’origine o il codice fiscale, allungando i tempi.
Anna Nota, ex dirigente scolastica, si dedica anima e corpo all’Osservatorio. Riferisce con amarezza la frase di una segretaria: “Che li iscrivete a fare, tanto li bocciamo!”. “È un caso estremo”, continua. “Ma questi alunni non vengono visti come possibilità, solo come un problema. Se un ragazzo sa lo spagnolo o il cinese dovrebbe essere una ricchezza”. Spesso si trova posto solo in scuole lontane e si passano ore sui mezzi. Gli ostacoli più grandi sono alle superiori. Chiedono il diploma di terza media, che per legge non è necessario. Si continua, inoltre, a mettere i ragazzi in classi di età più bassa. Fattori che contribuiscono, nel lungo periodo, al ritardo scolastico e agli abbandoni degli stranieri.
“A Roma il problema è sistemico. Un fenomeno sommerso: i casi registrati emergono dove lavorano le associazioni, ce ne sono sicuramente di più”, dice Paola Piva, coordinatrice storica e mente di ScuoleMigranti. “D’altronde le scuole non hanno laboratori permanenti di lingua italiana e questo crea difficoltà oggettive nell’inserimento. Molti insegnanti sono con noi, chiediamo la stessa cosa: un insegnamento stabile di italiano per stranieri, per cui c’è già una classe di concorso. La nostra è un’ambizione: che il volontariato si trasformi in politica pubblica”.
Il sistema scolastico, inoltre, è rigido, non più adeguato alla realtà. La composizione delle classi e il numero dei docenti sono decisi in anticipo, non considerano gli arrivi durante l’anno. Piva spiega che il tema è complesso e dovrebbe essere affrontato coinvolgendo più istituzioni, dalle prefetture all’Ufficio scolastico regionale.
Ma il problema è solo della capitale? Probabilmente no, ma non esiste una ricognizione nazionale. Una gestione diversa e più virtuosa esiste, però, in città come Bologna e Milano. Qui, con un coordinamento tra comune e Ufficio scolastico territoriale, sono state create delle “scuole polo”, che inseriscono gli alunni stranieri secondo un piano razionale. Ora qualcosa comincia a muoversi anche a Roma. “Una situazione indecorosa, inaccettabile, lesiva dei diritti”, l’ha definita l’assessora all’istruzione del comune, Claudia Pratelli, che a maggio ha stabilito un protocollo d’intesa con l’Ufficio scolastico regionale: “Siamo all’inizio, ma vorremmo un organismo centrale che prenda in carico le iscrizioni”.
Pratelli ha adottato delle misure per facilitare l’autonomia delle donne e l’accesso agli asili nido e alle materne comunali per le fasce sociali più basse (in cui rientrano molte famiglie migranti). Ha rivisto i criteri, aumentando il punteggio per le famiglie in cui lavora solo un genitore e ha abbassato le rette dei nidi, rendendoli del tutto gratuiti per chi ha i redditi più bassi. Ma serviranno cambiamenti strutturali nel sistema scolastico per garantire, nei fatti, il diritto all’istruzione ai minori migranti.
Questo articolo è stato realizzato con il sostegno del Journalismfund Europe.
Alcuni nomi di ragazze e ragazzi sono stati cambiati.
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