L’eruzione del vulcano Stromboli, in Sicilia, il 2 ottobre 2019. (Fabrizio Villa, Getty)

Le eruzioni vulcaniche esplosive possono essere così violente e improvvise da sorprendere la maggior parte delle reti di monitoraggio. Questi fenomeni rappresentano una sfida dal punto di vista scientifico, ma anche un serio pericolo, soprattutto per quei vulcani le cui pendici sono abitate o che sono visitati da migliaia di turisti.

Le esplosioni improvvise del vulcano Ontake in Giappone, nel 2014, e di quello sull’isola di White Island in Nuova Zelanda, nel 2019, pur essendo costantemente monitorati, hanno causato più di ottanta vittime tra gli escursionisti.

Uno dei vulcani esplosivi più famosi al mondo è lo Stromboli nelle isole Eolie, in Sicilia. Le sue deboli ma spettacolari esplosioni, che lanciano a qualche centinaia di metri di altezza lava e scorie incandescenti, si ripetono ogni 10-20 minuti da migliaia di anni a un ritmo quasi costante. Questa incessante moderata attività esplosiva è unica nel suo genere e permette di osservare da vicino un vulcano in eruzione. Per questo lo Stromboli è diventato un punto di riferimento internazionale nello studio della dinamica esplosiva. Gran parte delle innovazioni tecnologiche e delle metodologie oggi normalmente usate negli osservatori vulcanologici sono state sviluppate e/o calibrate sullo Stromboli.

Due eventi esplosivi molto più violenti della media, nel luglio e nell’agosto del 2019, hanno interrotto questa attività moderata, generando colonne eruttive di diversi chilometri di altezza, incendi, onde di tsunami, e ricoprendo di cenere e lapilli i villaggi sulla costa. Queste esplosioni violente coinvolgono porzioni profonde del sistema magmatico (fino a circa sette chilometri di profondità) e si ritiene quindi che seguano processi dinamici differenti dall’attività ordinaria.
L’uso di sensori molto sensibili capaci di misurare angoli di qualche milionesimo di grado hanno mostrato che queste esplosioni violente sono precedute da una debole ma chiara deformazione del suolo.

L’intero edificio vulcano inizia a “gonfiarsi” (inflazione) circa dieci minuti prima dell’esplosione seguendo un andamento di tipo esponenziale per effetto dell’espansione dei gas durante il processo di risalita del magma nel condotto di alimentazione. Durante l’esplosione la deformazione si inverte perché il vulcano si “sgonfia” (deflazione) in conseguenza del rilascio di gas e frammenti lavici nell’atmosfera.

L’analisi di migliaia di dati, raccolti in oltre quindici anni di ricerca dal Laboratorio di geo­fisica sperimentale (Lgs) dell’università di Firenze in collaborazione con numerosi ricercatori e ricercatrici di altre università italiane e straniere, ha permesso di stabilire che il vulcano si deforma in maniera identica seguendo cicli di inflazione/deflazione a ogni singola esplosione, dalle più deboli alle più violente.

Maggiore è la violenza dell’esplosione, maggiore è l’ampiezza e la durata dell’inflazione, ma il suo andamento nel tempo rimane invariato. Questo indica che il processo esplosivo segue sempre la stessa dinamica e permette di distinguere le deformazioni del suolo che precedono le esplosioni dai segnali prodotti da altre sorgenti naturali (pressione atmosferica, temperatura, marea, pioggia, terremoti, ecc.). Questa singolarità del processo di deformazione ha permesso lo sviluppo del primo sistema al mondo di allertamento in tempo reale per le eruzioni vulcaniche esplosive. ◆

Maurizio Ripepe è ricercatore in geofisica presso il dipartimento di scienze della Terra dell’università degli studi di Firenze.

M. Ripepe et al, Ground deformation reveals the scale-invariant conduit dynami­­cs driving explosive basaltic eruptions, Nature Communications (2021I

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