Nel racconto fantastico La biblioteca di Babele (1941), lo scrittore argentino Jorge Luis Borges racconta di una biblioteca universale che “si compone di un numero indefinito di gallerie esagonali” coperte da scaffali ricolmi di libri dall’aspetto identico e dal contenuto ermetico. “Gli idealisti”, continua Borges, “sostengono che le sale esagonali siano una forma necessaria dello spazio assoluto o, per lo meno, della nostra intuizione dello spazio. Argomentano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale”.
Qualche anno fa, leggendo queste righe prima di addormentarmi, rimasi piacevolmente sorpreso. Poco tempo prima, nel 2014, il premio Nobel per la medicina e la fisiologia era stato conferito agli scopritori delle cellule griglia (grid cells) nella regione ippocampale del cervello di alcuni roditori. Ognuno di questi neuroni si attiva quando il roditore che si muove in uno spazio passa attraverso alcuni punti. Questi punti di attivazione non sono disposti a caso, ma distribuiti ai vertici di esagoni regolari. Non triangoli, non pentagoni, ma esagoni.
Le cellule griglia e altri neuroni nell’ippocampo sono importanti, nei roditori come negli esseri umani, per la formazione di mappe mentali del mondo circostante, un fenomeno neurale e psicologico che allora mi apprestavo a indagare.
In poco tempo apparve chiaro come queste mappe siano qualcosa di più di un gps neurale. Gli stessi neuroni che segnalano dove ci troviamo nello spazio (per esempio a sudest di piazza Duomo) possono segnalare anche dove ci troviamo nel tempo (per esempio in mattina inoltrata).
Le stesse geometrie esagonali, osservabili negli umani con una risonanza magnetica funzionale, si attivano quando navighiamo mentalmente una rete sociale (fatta di persone e organizzata per ruoli, mansioni e attitudini) o un qualsiasi “spazio problema” delimitato da precise dimensioni: quale automobile posso comprare dato un certo budget, una famiglia numerosa e tenendo d’occhio consumi ed emissioni?
Come nella biblioteca universale immaginata da Borges, dove la conoscenza poteva essere rappresentata nella sua interezza attraverso un codice formato da ventidue lettere chiamato scrittura alfabetica, queste geometrie neurali potrebbero fornire parte del codice che il nostro cervello utilizza per strutturare, ricordare ed esplorare ciò che conosciamo.
Da un punto di vista evolutivo, è possibile che i processi neurocognitivi sviluppati dai mammiferi per navigare lo spazio siano stati riciclati per organizzare e navigare le nostre memorie più astratte.
Non è un caso che il morbo di Alzheimer, che sembra intaccare proprio le aree cerebrali contenenti cellule griglia fin dagli esordi della malattia, si manifesti provocando disorientamento spaziale nonché mnemonico.
Le applicazioni dei risultati di queste ricerche spaziano dal campo clinico all’intelligenza artificiale, ma dal punto di vista della ricerca di base (senza la quale queste scoperte non sarebbero state possibili), offrono la possibilità di studiare i nostri pensieri con una precisione geometrica che forse soltanto Borges avrebbe potuto immaginare.
Roberto Bottini è professore associato presso il centro interdipartimentale mente cervello (CIMeC) dell’università di Trento.
R. Bottini, C.F. Doeller, Knowledge across reference frames. Cognitive maps and image spaces, Trends in cognitive sciences (2020)
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