I siciliani sanno come fronteggiare quel corridoio di mare che unisce Messina con Villa San Giovanni: fanno il check in sotto bordo e attendono in fila sulle loro auto, per poi essere inghiottiti da uno dei traghetti disponibili ventiquattr’ore su ventiquattro. Scorre tutto liscio, a eccezione dei giorni di grande mobilità festiva, quando le code si allungano, oppure se gli aliscafi per i soli passeggeri vanno in avaria o scioperano.
Che questo rito cominciato nel 1901 possa essere infranto grazie alla costruzione del ponte sullo stretto, con tanto di riattivazione dell’azienda Stretto di Messina ora in liquidazione, sono in pochi i siciliani a crederci davvero, sia tra chi spera che l’opera venga realizzata, sia tra chi si professa contrario. Non solo perché l’erario italiano ha sborsato un miliardo di euro dal 1971 a oggi per non realizzarlo mai, quel ponte, ma soprattutto perché la mobilità di persone e merci in Sicilia sconta un ritardo almeno trentennale, piuttosto difficile da comprendere per chi nell’isola non si sposta per lavoro. Da settimane il vicepremier Salvini definisce il ponte “opera non più rinviabile” e “strategica” forte anche dell’assist che gli arriva dalla commissaria europea ai trasporti, Adina Valean, che ha dichiarato che il ponte sullo stretto potrà essere cofinanziato, almeno in una prima fase, dall’Unione europea. “È un primo passaggio storico”, dice Salvini, che però nel 2015, da leader della Lega, non riteneva il ponte prioritario.
Senza collegamenti diretti
La domanda che circola in queste settimane è: perché concentrarsi sul ponte se poi l’alta velocità in Sicilia è una chimera, i treni sono più lenti e più vecchi, le linee sono soprattutto a binario unico e non elettrificate?
Da decenni l’isola è bersaglio di bollettini istituzionali che annunciano il rilancio delle infrastrutture che però si realizzano tardi, o in versione parziale, o addirittura mai.
In Sicilia sono 173 le località servite con 1.369 chilometri di linea ferrata. Solo 791 sono elettrificati, con un doppio binario per 223 chilometri e a binario unico per 568 chilometri.
Il rapporto Svimez 2022 dice che il divario tra nord e sud è particolarmente rilevante per la parte ferroviaria e per quella autostradale, meno per la rete stradale di rango nazionale e regionale, “ma sono i fattori prestazionali e localizzativi delle medesime reti a penalizzare molto il Mezzogiorno soprattutto in termini di accessibilità ai bacini di destinazione per la mobilità delle persone (e ai bacini di mercato per la mobilità delle merci)”.
Basti pensare che lo scorso novembre è partito il primo aereo da Catania per Trapani; il tragitto impiega una quarantina di minuti e il biglietto costa dai 60 euro in su. Una scelta apparentemente bizzarra, e certo non economica, per colmare una distanza in linea d’aria di 233 chilometri ma che fa comodo ai turisti, dal momento che per raggiungere Trapani in treno, partendo da Catania, si impiegano circa otto ore tra coincidenze con altri treni e bus, e porzioni di strada da percorrere a piedi. Le due città che si trovano agli estremi opposti dell’Isola non possono contare su un collegamento diretto, neppure in bus.
Il vecchio treno regionale che collega Palermo a Catania impiega, a seconda delle fasce orarie, fra le tre e le cinque ore, con prezzi oscillanti tra 14,90 e 33,90 euro a corsa. Si fa prima con un bus regionale che impiega circa 2 ore e 50 minuti.
Pendolarismo senza regia
Una situazione di particolare disagio la vivono proprio i circa cinquemila pendolari dello stretto di Messina che sono tornati protagonisti degli studi sulla mobilità, da quando nel fondo complementare al Pnrr sono stati stanziati dieci miliardi di euro per le prime tratte di un nuovo progetto di alta velocità ferroviaria tra Salerno e Reggio Calabria. Il Pnrr prevede risorse per la riqualificazione delle stazioni ferroviarie e dei terminali marittimi – segnala il rapporto Pendolaria 2022 di Legambiente – e destina 60 milioni a Rete ferroviaria italiana spa per l’acquisto di tre nuove navi passeggeri per l’attraversamento dello stretto, e 20 milioni per le navi che traghetteranno i treni con alimentazione ibrida. Per le flotte private sono, inoltre, disponibili 35 milioni per rinnovare i mezzi. Per i collegamenti di lunga distanza è previsto l’acquisto di 12 treni Frecciarossa da quattro vagoni ciascuno capaci di traghettare direttamente dalla Sicilia risparmiando nei tempi.
Peccato che chi si sposta, soprattutto per lavoro, “paga ancora l’assenza di una regia per le coincidenze tra navi, autobus, treni, che allunga i tempi degli spostamenti, l’assenza di collegamenti in alcuni orari e i costi cresciuti notevolmente nel corso degli anni”, insiste il rapporto di Legambiente. Manca, insomma, un progetto per rendere più semplice la vita e gli spostamenti tra Messina, Reggio, Villa San Giovanni, Tremestieri. I pendolari sullo stretto considerano il ponte “strumento trainante per lo sviluppo a 360 gradi delle infrastrutture e mezzo per riportare dignità al sud”.
Ma per il presidente del Comitato pendolari siciliani, Giosuè Malaponti, il benestare al ponte sullo stretto avrebbe senso solo se “l’ammodernamento viario e ferroviario fosse contemporaneo alla realizzazione del ponte stesso. E se si curassero le coincidenze per ridurre i tempi di spostamento. In caso contrario, saremmo costretti ad attendere ancora, come negli ultimi 21 anni, da quando cioè fu stilato l’Accordo di programma quadro 2001 tra l’allora ministro dei trasporti Lunardi e il nostro presidente della regione, Totò Cuffaro. Quella fu una rivoluzione annunciata e mai eseguita. Stiamo ancora spettando la famosa ‘cura del ferro’ e nel frattempo la mobilità regionale è sempre più anemica”.
A sentire Malaponti, il pendolare siciliano non è poi così danneggiato dalla qualità del viaggio; negli anni il materiale rotabile è stato parzialmente rinnovato dalla regione siciliana grazie ai fondi europei e dal 2021 viaggiano i nuovi 25 treni elettrici Etr 104 Pop, ai quali, dallo scorso 20 dicembre, si sono aggiunti anche 22 nuovi treni elettrici bidirezionali ibridi Blues di nuova concezione. Il problema è che le infrastrutture sono state migliorate solo in alcune direzioni e troppe vetture diesel hanno superato i 40 anni di età. I treni bimodali, che possono funzionare sia in versione elettrica sia diesel, in alcuni tratti come la Siracusa-Gela-Caltanissetta, oppure, spostandosi sul fronte occidentale siciliano, la Piraineto- Castelvetrano-Trapani, non potranno essere messi in servizio da subito se non si migliorerà l’infrastruttura esistente.
Orientarsi nelle mappe siciliane di nuove linee ferrate con o senza appalto, di collegamenti interrotti per destino o per cattiva manutenzione, di investimenti assegnati e non sfruttati o in recupero, oppure nuovi di zecca, significa ripercorrere la babelica storia della gestione di soldi e potere nell’isola. L’idea di collegare una volta per tutte l’isola al continente tramite il ponte per azzerare la distanza fisica tra le due Italie, potrebbe apparire accessoria rispetto alla necessità di collegare la Sicilia a se stessa.
In Sicilia ci sono ancora casi di collegamenti diretti e importanti interrotti da un decennio, come quello tra Palermo e Trapani via Milo chiuso nel 2013; fu sbarrato per condizioni di degrado diffuso non più risolvibili con interventi di manutenzione. Sono previsti 255 milioni di investimenti anche al fine di recuperare 50 minuti di tempo nel percorso, ma siamo ancora alla fase di gara per l‘affidamento dell’appalto. Al momento la chiusura dei vari lavori è prevista per il 2025.
Non mancano gli interventi disomogenei che da un lato rassicurano sulla volontà di proseguire i cantieri per elettrificare le linee o quanto meno per fluidificarle attraverso l’eliminazione dei vecchi passaggi a livello, e dall’altro restituiscono infrastrutture frammentarie. Sono per esempio cominciati i lavori per la ricostruzione del ponte ferroviario crollato l’8 maggio 2011 che da allora interrompe l’intera tratta Caltagirone-Gela. Si rimetterà in sesto il viadotto crollato ma non l’intera linea: l’ultimazione dei lavori è prevista entro l’anno prossimo, ma un monitoraggio ha fatto emergere criticità anche in altri viadotti per i quali è ora in corso la progettazione degli interventi di ripristino, che non si prevedono di lieve entità.
Situazione analoga si prospetta per l’attesa velocizzazione della linea ferroviaria Catania Siracusa, che rappresenta un importante collegamento tra le due importanti città della Sicilia orientale. Mentre sta per completarsi la prima fase, resta da realizzare la cosiddetta “variante di Gornalunga” che prevede un nuovo viadotto in affiancamento all’attuale per garantire un idoneo franco idraulico. La gara è stata da poco aggiudicata.
Per la velocizzazione della Siracusa-Ragusa-Gela si attende ancora la riduzione del numero di passaggi a livello, il rinnovo del parco rotabile e le aperture domenicali e festive assicurate per tutto l’anno.
Sembrano finalmente procedere a ritmo normale i lavori per il raddoppio dei binari sull’itinerario regionale Palermo-Catania-Messina. I cantieri sono stati aperti sulla tratta Fiumefreddo-Taormina/Letojanni e Taormina-Giampilieri con l’obiettivo di accorciare i tempi di percorrenza sulla tratta Messina-Catania; ma se tra i due estremi opposti dell’isola, cioè dalla occidentale Palermo alle orientali Catania e Messina si traccia finalmente un percorso veloce, nelle direzione inversa al momento manca il raddoppio.
Il tratto Patti-Castelbuono sembra essere stato dimenticato da tutte le strategie di sviluppo del trasporto ferroviario in Sicilia e ciò rappresenta una strozzatura per l’intera linea costiera che collega Messina e Palermo.
“Ma in Sicilia i soldi per le opere pubbliche non sono mai mancati”, conclude Malaponti. “Il vero problema è l’effettiva realizzazione delle infrastrutture in tempi ragionevoli e senza intoppi che sprechino soldi e anni preziosi”.
Tenere sveglia la memoria
Le tifoserie, talvolta feroci, pro e contro il ponte, esistono da sempre, ma con il passare degli anni sono divenute entrambe meno rigide. Chi è stato sempre d’accordo ammette che le infrastrutture di mobilità oramai sono importanti tanto quanto la grande opera, e chi è contro, si è ammorbidito pensando che oggi più che mai la rinascita del sud passa anche dalla mobilità delle merci. Chi invece continua a dire di no al ponte senza se e senza ma sono gli ambientalisti, e non solo per l’impatto ecologico negativo che la struttura avrebbe sulla fragile costa calabrese, sulla zona umida della laguna di Capo Peloro e sull’ecosistema botanico dei monti Peloritani.
Nel 2021 Kyoto Club, Legambiente e Wwf hanno firmato un controdossier per contestare le conclusioni di un gruppo di lavoro incaricato dal governo Conte. Agli esperti era stato chiesto di valutare le possibili alternative per l’attraversamento stabile dello stretto di Messina e la missione è proseguita sotto il governo Draghi. I firmatari del controdossier hanno però contestato l’essenza stessa dei quesiti: secondo loro, agli esperti non sono state chieste le alternative migliori al ponte in termini di costi di realizzazione e manutenzione, tempi, prestazioni, effetti sociali e territoriali, o impatti sulle diverse componenti ambientali, ma solo le alternative tecniche per realizzarlo e basta.
Le tre sigle hanno chiarito che in quel tratto di mare si registra una delle più alte concentrazioni di biodiversità al mondo e che lo stretto rappresenta un importantissimo luogo di transito per l’avifauna. Nel controdossier si ricorda che nel 2005 la Commissione europea si era detta pronta ad aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione della direttiva comunitaria uccelli proprio in relazione al progetto del ponte a unica campata.
Kyoto Club, Legambiente e Wwf hanno anche risvegliato la memoria di uno dei più grandi rimossi storici dell’area, e cioè che la Calabria meridionale (tutta l’area di Reggio Calabria) e la Sicilia Orientale (area del messinese), sono comprese nella zona sismica 1, nel più alto rischio di pericolosità. Rischio che diventò realtà in uno dei terremoti più feroci della storia europea – magnitudo 7,1 – che nel 1908 rase al suolo la città di Messina cambiandone per sempre i connotati e uccidendo 80 mila persone.
Rilanciare i collegamenti
Le associazioni sono state durissime: secondo loro la relazione degli esperti incaricati dal ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, non è un’analisi comparativa di tutte le possibili alternative al ponte e non fornisce neppure un quadro di insieme sufficiente per la redazione di un documento di fattibilità per altri progetti. Al contrario, tratta le altre possibilità “come se si trattasse di far atterrare un’astronave in un deserto”. Tra i firmatari del controdossier c’è anche Maria Rosa Vittadini, docente emerita dell’università di Venezia, già direttrice generale per la valutazione d’impatto ambientale (Via) del ministero dell’ambiente e presidente della commissione tecnica Via e valutazione ambientale strategica (Vas). “Oggi non esistono le infrastrutture di collegamento che dovrebbero allargare i benefici del ponte al territorio; ci basta questo per dire che manca un quadro di ragionevolezza delle previsioni”, spiega. “Il ponte a tre campate non è fattibile per motivi biologici perché l’impianto dei pilastri che devono sostenerle, si infilerebbe in strutture biomorfologiche in movimento, non affidabili. Può darsi che optino per questa soluzione, ma manca il progetto preliminare e il percorso dovrebbe ripartire daccapo. Il ponte a campata unica è invece di per sé troppo instabile e costoso, nonché lontano dai centri dove converge il traffico”.
Alla vigilia del vertice dell’8 novembre scorso tra il ministro Salvini e i presidenti della regione Sicilia e della regione Calabria, fissato per discutere di ponte e di opere pubbliche, Legambiente ha infine tentato la carta dell’appello presentando quattro proposte che escludono il ponte e che invece auspicano “interventi concreti a partire da una massiccia cura del ferro e dal potenziamento del trasporto via nave”. Legambiente Sicilia e Calabria hanno chiesto di rilanciare gli investimenti in collegamenti veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della penisola, e di portare le Frecce nei collegamenti tra Palermo, Catania e Roma. Chiedono di potenziare il trasporto via nave lungo lo stretto, poiché per i treni ad alta velocità è fondamentale acquistare moderni traghetti Roll-on/Roll-off (Ro-Ro) lunghi 200 metri, che permettono di far entrare le Frecce senza scomporle e di uscire direttamente nella direzione opposta una volta arrivati a Messina o Villa San Giovanni, dimezzando così i tempi di attraversamento.
“Per entrare nelle navi, le carrozze dei treni vengono separate con manovre complicate”, spiega il presidente di Legambiente Sicilia, Gianfranco Zanna, “che fanno perdere ulteriore tempo. Con i traghetti Ro-Ro, le Frecce di Trenitalia o gli Italo potrebbero entrare direttamente nella nave senza essere smontati e dunque uscire direttamente nel porto di sbarco, grazie a un sistema di doppia entrata dei traghetti”. Bisognerebbe poi riqualificare i terminali e le stazioni che oggi sono in condizione di degrado, ma anche migliorare l’accessibilità e le coincidenze con il trasporto pubblico tenendo conto dei percorsi pedonali e ciclabili, e rinnovare le navi in circolazione. Infine, gli ambientalisti chiedono di rafforzare i collegamenti in treno da Reggio Calabria a Taranto e Bari, sia quelli passeggeri con nuovi collegamenti diretti tramite le Frecce, sia quelli merci. Tutto questo da realizzare prima e soprattutto, a prescindere, dal ponte sullo stretto.
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