Questo articolo è uscito il 26 febbraio 2022 a pagina 10 del numero 16 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.
Lo spiaggione si estende per decine di metri verso il centro del fiume. I pilastri di cemento spiccano a vista, scoperti fino alle fondamenta. Sotto al ponte tra Boretto e Viadana, dove il Po segna il confine tra Emilia-Romagna e Lombardia, e tra le province di Mantova e Reggio Emilia, la siccità si mostra con sconcertante evidenza. Dove una volta c’era l’acqua, ora c’è la sabbia. Ragazzi e ragazze camminano sul letto del fiume. Una coppia passeggia con un cane, lanciando in lontananza pezzi di legno. L’animale corre a recuperarli, contento di scorrazzare su un territorio che normalmente gli sarebbe precluso.
A riva si vedono i resti semiabbandonati della Jolanda, la nave immaginaria costruita con rami, tronchi e altri oggetti portati giù dalla corrente da Alberto Manotti, l’eccentrico pensionato che anni fa si è autoproclamato “re del Po”. L’uomo non c’è, ha avuto un incidente cadendo dal pontile della sua scultura. Ma la Jolanda sembra oggi una cattedrale nel nulla, lontanissima dall’acqua, quasi un monumento a un tempo passato in cui il grande fiume ancora scorreva pieno e imponente.
Dopo due mesi e mezzo quasi senza pioggia, il Po è esangue. “Ha una portata di 430 metri cubi al secondo e un livello di 2,90 metri sotto lo zero idrometrico, molto al di sotto della media stagionale”, dice l’ingegnere Alessio Picarelli, responsabile all’Agenzia interregionale per il fiume Po (Aipo).
La sede dell’agenzia a Boretto si occupa di fare rilievi idrografici e dare indicazioni sulla navigabilità. Da qui, e da altre sette stazioni, partono ogni giorno i meatori, gli operai addetti al controllo della profondità del fiume. L’Aipo dirama poi un bollettino per segnalare le condizioni di navigabilità. È quindi un osservatorio privilegiato sulle cosiddette magre, i periodi in cui il Po va in sofferenza, come quello decisamente straordinario di questi giorni, visibile a occhio nudo sullo spiaggione di Boretto.
“Ci sono state deboli precipitazioni nei giorni scorsi, ma non sono state sufficienti a invertire il trend”, continua Picarelli. La mancanza di piogge, sommata all’assenza di neve sui rilievi montuosi, sta mettendo a dura prova il grande fiume. Quest’inverno si sta registrando il quantitativo minore di neve degli ultimi vent’anni, ne è caduta il 50 per cento in meno rispetto alla media stagionale. Inoltre i ghiacciai alpini, serbatoi di acqua fossile, sono sempre più ridotti. Se poi nemmeno piove, tutto il sistema entra in crisi. Una situazione con cui probabilmente dovremo fare sempre più i conti nel prossimo futuro.
Mancanza di visione
“Queste portate si registrano normalmente in agosto”, sottolinea ancora l’ingegnere. “Ma con un dato aggiuntivo: in estate si fanno i prelievi per l’agricoltura, ora no”. Detto in altri termini: lo stato del fiume è perfino più grave rispetto alla stagione estiva, quando i consorzi di bonifica pompano acqua per destinarla all’irrigazione dei campi e fanno diminuire le portate.
“Già da anni i modelli climatici predittivi ci parlavano della possibilità di un inaridimento della pianura padana. È quello che sta avvenendo, anche se è presto per dire che si tratta di un dato strutturale”, aggiunge Picarelli. “La situazione può cambiare ed è quello che auspichiamo. Siamo ancora in inverno e non è escluso l’arrivo di piogge o nevicate”.
Ora piangiamo per la secca, poi avremo paura delle piene. Ma il fatto è che il fiume è stato abbandonato a se stesso
Non è la prima volta che il livello del Po scende fuori stagione. È successo nel 2020, prima ancora nel 2017. “Ma di siccità invernali così marcate non se ne sono viste mai”, dice Giuliano Landini. E se lo dice lui, c’è da prestargli ascolto. Nato e cresciuto da queste parti, è la memoria vivente del fiume, di cui conosce ogni angolo e ogni segreto.
Meccanico, motorista sulle draghe, prima ancora corridore spericolato di motonautica di cui ha vinto tre volte il titolo mondiale, questo sessantenne dalla parlata turbinosa è il capitano della Stradivari, la più lunga nave da crociera di tutte le acque interne, come sottolinea con un certo orgoglio. Al timone della sua creatura ancorata al porto di Boretto, è sconsolato. Osserva il fiume e scuote il capo: “Siamo in piena emergenza climatica, è bene chiamare le cose con il loro nome”.
Sono anni che il capitano denuncia una mancanza di visione rispetto al più grande fiume italiano. “L’attuale scenario climatico ci mostra in modo evidente le debolezze del sistema. Ora piangiamo perché il Po è in secca. Poi magari avremo paura delle piene. Ma il fatto è che il fiume è stato abbandonato a se stesso. Io faccio un’osservazione: perché la Senna, il Danubio, l’Elba, tutti i grandi fiumi europei, anche con portate molto minori rimangono navigabili e il Po invece va in sofferenza?”.
Landini cita quello che da anni è il suo cavallo di battaglia, che si riassume in un’unica parola: bacinizzazione. Ovvero un piano di sbarramenti, con dighe, centrali idroelettriche e conche di navigazione. “Questo permetterebbe di avere il fiume sempre navigabile e di non sprecare l’acqua quando ce n’è in abbondanza. Da uomo di fiume, come lo erano mio padre e mio nonno, posso assicurare che non se ne verrà fuori finché non si provvederà una volta per tutte a gestire l’acqua tramite dighe sul Po”.
Serbatoio da sfruttare
Un vecchio progetto prevedeva cinque sbarramenti. Ne è stato costruito uno solo, a Isola Serafini in provincia di Piacenza, con una conca e una centrale idroelettrica. Gli altri sono rimasti nel cassetto. E si è scelto di mantenere il fiume a corrente libera.
“La bacinizzazione costa troppo e produrrebbe danni importanti a livello ambientale”, ribatte Meuccio Berselli, segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po (Adbpo), l’agenzia dipendente dal ministero della transizione ecologica che si occupa della gestione delle risorse idriche del bacino padano.
Nel suo ufficio di Parma, a due passi dalla stazione ferroviaria, Berselli parla dei dati attuali con preoccupazione: “Siamo di fronte a una situazione anomala: non solo non piove e non nevica, ma le temperature più alte della media stagionale fanno aumentare l’evapotraspirazione (la quantità d’acqua che evapora dal terreno e traspira attraverso le piante). A questo si aggiunge che anche i grandi laghi di deposito sono a un livello insolitamente basso”.
L’autorità ha il compito di mediare tra i diversi portatori di interesse che aspirano a utilizzare l’acqua del fiume. Compito tutt’altro che semplice in periodi di scarsità come questo, quando è quasi inevitabile che sorgano problemi. “Se la situazione non cambia ci potrebbero essere conflitti tra il comparto agricolo, che comincerà a breve a chiedere prelievi, e i produttori di energia idroelettrica”.
L’aumento delle temperature medie negli ultimi anni ha fatto anticipare la stagione irrigua, che una volta non cominciava prima di aprile, e l’ha fatta allungare fino a metà settembre. L’agricoltura richiede più acqua, che dovrà essere sottratta alle imprese energetiche.
“La legge prevede una precisa scala di priorità per l’uso delle acque pubbliche: prima il consumo umano, poi l’uso agricolo, infine quello energetico. Ma non è sempre facile mettere d’accordo i vari attori”, sottolinea il segretario. Che aggiunge un altro elemento: “Se si riduce la produzione di energia idroelettrica, bisognerà compensare la mancata produzione mediante l’uso di combustibili fossili, aumentando le emissioni di gas serra”. Sembra un cane che si morde la coda: più l’acqua è scarsa, più se ne richiede l’uso. Più si usa in un certo modo, più si esacerbano le cause della scarsità. Una situazione che trae origine da un problema antico.
Fino a oggi il Po è stato concepito come un serbatoio da sfruttare, non come un ecosistema da tutelare. Berselli è contrario alla bacinizzazione auspicata da Landini, ma è d’accordo con lui sul fatto che il fiume sia stato lasciato in uno stato di abbandono. “Una cosa sorprendente, se si pensa che nel bacino padano vive un terzo degli abitanti del paese, si genera il 40 per cento del pil nazionale, il 35 per cento della produzione agricola e il 55 per cento di quella idroelettrica”.
Il segretario auspica un rapido cambio di passo. E da questo punto di vista il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenta un’opportunità unica. “Sono stati stanziati 357 milioni di euro per la rinaturazione del fiume, cioè per ripulire le aree golenali (lo spazio tra l’argine e il letto del fiume quando è in magra) da detriti e specie vegetali invasive, riforestarle e riqualificarle come ecosistemi virtuosi”.
Berselli parla di una vera e propria trasformazione del Po, che dovrebbe passare per l’apertura di vie commerciali di navigazione e di centri di produzione di energie rinnovabili in cave dismesse. Tutti investimenti, aggiunge, “che dovrebbero andare di pari passo con campagne di risparmio idrico, in campo sia civile sia agricolo”.
Un problema strutturale
“Al di là dell’attualità di questi giorni, i dati degli ultimi anni ci indicano che la siccità sta diventando un problema strutturale. Le sfide dei cambiamenti climatici impongono una nuova visione e un nuovo modello di sviluppo che non può più passare per un uso irrazionale della risorsa”, gli fa eco Francesco Vincenzi, imprenditore agricolo e presidente dell’Associazione nazionale delle bonifiche, delle irrigazioni e dei miglioramenti fondiari (Anbi).
Le organizzazioni agricole sono molto impegnate nel proporre soluzioni per quello che per loro è un problema fondamentale, quasi vitale. “Per far fronte alla crescente carenza, è necessario lanciare un piano infrastrutturale che passi per l’adeguamento dei canali irrigui e per la messa in sicurezza della risorsa idrica”, aggiunge Vincenzi. Il Pnrr prevede lo stanziamento di 880 milioni di euro proprio per rendere più efficiente il sistema irriguo e costruire serbatoi di contenimento.
“Questi mini-invasi dovranno consentire di conservare l’acqua in un’ottica multifunzionale, sia per l’agricoltura sia per l’energia. Se teniamo conto che a oggi ne tratteniamo appena l’11 per cento, capiamo quanto sia urgente realizzare queste opere”.
Tutti sembrano d’accordo sull’assurdità di lasciar scorrere via una risorsa che diventa ogni giorno più scarsa. “Ma sarebbe anche necessaria una riflessione sul modello agricolo prevalente in pianura padana”, sottolinea Paolo Pileri, professore di pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano e responsabile scientifico di VenTo, progetto di dorsale cicloturistica lungo il Po.
“C’è una contraddizione che è utile mettere in evidenza: gli agricoltori si lamentano di un ecosistema che è andato in tilt, ma sono gli stessi agricoltori che in parte lo hanno mandato in tilt. Faccio un esempio: nella parte centrale del Po, ci sono enormi estensioni di mais, coltura che richiede molta acqua. Questo mais non è usato per l’alimentazione umana, ma per fare biogas. Ha senso sprecare acqua che non c’è per produrre energia invece di cibo?”.
Berselli è in parte d’accordo con l’analisi. “Penso che sarebbe giusto rivedere il meccanismo di sussidi agricoli premiando di più chi fa prodotti per l’alimentazione umana o animale piuttosto che biomassa per la produzione energetica”.
Il segretario generale mantiene un approccio moderato, cercando di trovare una quadra tra i vari interessi non sempre coincidenti. Riconosce la difficoltà della situazione, ma si dice moderatamente ottimista sulle prospettive future. “Oggi il tema ambientale è diventato prioritario: tutti sanno che è imprescindibile. E i cambiamenti climatici di cui vediamo gli effetti dovranno necessariamente fare da stimolo per cambiare approccio”.
A bordo della sua motonave, il capitano Landini è più scettico. “Da anni si parla di grandi progetti. Ma poi non succede nulla. E così continuiamo a trovarci in queste situazioni”, dice indicando la grande lingua di sabbia che si estende a dismisura sotto il ponte tra Viadana e Boretto.
Questo articolo è uscito il 26 febbraio 2022 a pagina 10 del numero 16 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.
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