La cotoletta, insieme al risotto, è il biglietto da visita di Milano. Peccato che quella che si crede sia una cotoletta, in realtà non lo è. Come spiega Giovanni Traversone, della Trattoria del nuovo macello: “I milanesi credono sempre di sapere tutto, vengono qui e ti dicono: ma cos’è questa, la vostra non è quella vera”. Già, perché quella che normalmente si crede sia cotoletta è in realtà un’orecchia d’elefante. Anzi, uregia d’elefant. Di dimensioni ciclopiche, molto impanata e molto fritta.
Spiega Traversone: “L’orecchia d’elefante prende spunto dall’austriaca Wiener Schnizel, che è senz’osso, fatta con vitello o maiale e rosolata nello strutto. Non ha bisogno di una particolare qualità, perché è fritta e c’è più pane che carne. Per la salute non è il massimo: una di 25 centimetri ha un uovo, un panino e mezzo e un bel mezzo bicchiere di burro bruciato o di olio. Io uso un quarto di quegli ingredienti”.
Quella del Nuovo macello (32 euro con l’osso, 30 senza) è una natura morta spettacolare, che vede spuntare un osso tondeggiante, sinuoso e sensuale, da un cubo di carne alto tre centimetri, morbido, succulento, rosato dentro, forse anche un po’ troppo. Il segreto è la frollatura, il procedimento di invecchiamento della carne dopo la macellazione: “Noi facciamo frollare la bestia intera per 40 o 50 giorni, nella cella frigorifera. Grasso e pelle impediscono ai batteri di proliferare. La carne si prosciuga dall’acqua in eccesso e diventa più saporita. Abbiamo tre macellai che ci fanno frollare la carne, anche perché serviamo 35, 40 cotolette al giorno”.
Anche il resto degli ingredienti sembra banale ma non lo è. L’olio, naturalmente, è bandito. Il burro è di panna di centrifuga ed è chiarificato, cioè privato dell’acqua e delle proteine del latte, perché così può raggiungere temperature più alte senza bruciarsi. Anche il pane è fatto apposta: meglio evitare pancarrè e simili, che si bruciano subito. La cotoletta è fatta con carne di vitelli di sei o sette mesi.
Piccolo excursus storico. Nella denominazione comunale (DeCo) si cita Pietro Verri che, nella sua Storia di Milano del 1783 parla di “lombos cum panitio”, lombate di vitello impanate. È la cotoletta? Diversi esperti rispondono: no, è la scaloppina. C’è chi rispolvera una ricetta francese del 1735 e il trattato La science du maître d’hôtel cusinier del 1749, che parla di cotolette impanate e fritte.
Gli invasori napoleonici l’avrebbero diffusa a Milano mentre a Vienna sarebbe arrivata grazie a Maria Luigia, duchessa austriaca di Parma e moglie di Napoleone. Vero? Possibile. A rinsaldare l’ipotesi di un’origine francese, il nome: cotoletta deriverebbe da côte o côtelette, carne di vitello prelevata dalla costola con l’osso. Vero? Possibile. Fine dell’excursus che, evidentemente, non ha sciolto alcun dubbio.
Milanesità d’altri tempi
Riprendiamo il nostro viaggio da un tempio storico della città, la Trattoria milanese dal 1933 di via Santa Marta. Ambiente caldo, tavoli ravvicinati, camerieri di una certa età, con camicia bianca e papillon, ruvidi e al tempo stesso gentili come si addice a certa milanesità d’altri tempi. Qui la cotoletta è bassa. Chiediamo dello chef e arriva Ahmed Metwly, egiziano di 62 anni, quaranta dei quali trascorsi qui. Anche in Egitto esiste una specie di cotoletta, si chiama boftek ed è condita con una salsa di cipolla e yogurt.
In Santa Marta, invece, ci arriva una cotoletta grande, dalla forma irregolare, con l’osso. È adagiata su una foglia di radicchio e adornata da una fetta di limone molto anni ottanta. Orecchia d’elefante? “No, è una cotoletta vera e propria, fatta con carré di vitello olandese e pane grattugiato fatto appositamente. E battuta, ma non troppo”. Metwly spiega un trucco: “La carne non si mette direttamente nell’uovo: va prima nel pane grattugiato, poi nell’uovo e poi di nuovo nel pane”. Il burro è tedesco e lo chef ci aggiunge un po’ di olio, “giusto un filo, perché così non si brucia il burro”. E la cotoletta alta? “Ogni tanto me la chiedono e gliela faccio. Ma per me la cotoletta alla milanese è questa”.
A volte, quando si ha il dubbio su cosa scegliere, si dovrebbe decidere di non scegliere. È quello che ha fatto Paolo Reina, nella sua Antica trattoria del gallo. Costeggiando il Naviglio grande, in pochi minuti si arriva a Gaggiano, in questa elegante trattoria di campagna, famosa anche per cotechino e pollo alla diavola. Nel menù ci sono due opzioni, “battuta” o “alta”. La prima privilegia la croccantezza, la seconda la morbidezza. Quella bassa ha un aspetto signorile, battuta in modo da formare sagome romboidali, con cristalli di sale e un osso meno appariscente di quello del Nuovo macello.
Buona croccantezza, dimensioni perfette. Servita con un’insalatina di finocchi, a rinfrescare. Spiega il patron e chef Paolo Reina: “Abbiamo pensato che non era il caso di continuare a opporsi a chi la vuole bassa. Ma io adoro quella alta, morbida, succosa. La nostra è battuta ma non è orecchia: quella è una striscia di carne con pane bruciacchiato, peggio se vestita con rucola e pomodorini. Gli anziani di qui lo sanno che si faceva alta. E, tra l’altro, se ne mangiava una all’anno, non come ora”.
Anche se il prezzo è spesso oggetto di indignazione sui social, la cotoletta è uno dei piatti con minori ricarichi in assoluto. Ogni vitello può dare 16 cotolette, carré che si fa dalla prima all’ottava costola della parte centrale della schiena. Traversone, del Nuovo macello, dice: “Noi l’abbiamo in menù perché porta clienti. Ma quasi non ci guadagniamo”. Reina concorda: “Il costo è quasi inaffrontabile. La carne costa moltissimo. E poi c’è il burro: noi usiamo 300 grammi di burro francese”. Nei ristoranti si paga 25-30 euro, nelle trattorie 15-20. Felix Lo Basso la fa pagare 45 euro, Cracco 48. Non è solo una questione di prezzi, ma anche di disponibilità. “Usare vitello italiano con i nostri numeri è impensabile”, spiega Reina: “Lo prendiamo dai Paesi Bassi, come quasi tutti. C’è una sorta di monopolio”.
Solo su prenotazione
Ci sono altre due trattorie che vanno citate. Sono l’Osteria alla Grande, dove si serve una cucina rustica, piena di sapori, in un posticino da visitare, a Baggio. La loro cotoletta ha fetta di limone, radicchio e patate al forno: 15 euro, ottimamente spesi.
Altro giro in trattoria, Da Martino, una saletta castigata in via Farini e tanta qualità senza fronzoli: qui la cotoletta è di maiale, eppure sempre un gran bel mangiare.
Da Ratanà, la splendida villetta nel cuore del nuovo quartiere di Porta Nuova, di fronte al Bosco verticale, la cotoletta non è in menù. Va prenotata 48 ore prima. Cesare Battisti, un maestro della cucina milanese e non solo, spiega: “Non ci stiamo dietro. Per farla bene, ci vuole tempo”.
Altro che bene: la sua cotoletta è perfetta. La migliore provata. È alta un dito e mezzo, quattro etti di vitello piemontese di sanato – cioè nutrito solo con latte materno e non acqua e latte in polvere – e burro di malga di Domodossola. Il tocco magico qui è la salvia, rosolata con il burro. E per chi si vuole far del male, portano a tavola un bricchetto pieno di burro spumeggiante.
Ratanà
Via de Castillia 28
Prezzo: 30 euro
ratana.it
Trattoria del nuovo macello
Via Lombroso 20
Prezzo: 30 e 32 euro
trattoriadelnuovomacello.it
Trattoria milanese dal 1933
Via Santa Marta 11
Prezzo: 24 euro
Tel. 02 8645 1991
Antica trattoria del gallo
Via privata Gerli 3, Gaggiano
Prezzo: 26 euro
trattoriadelgallo.com
Osteria alla grande
Via delle Forze armate 405
Prezzo: 15 euro
osteriaallagrande.com
Da Martino
Via Farini 8
Prezzo: 14 euro
damartino1950.com
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