“Vivo nella mia testa, non ho niente da dire di me”. Esordisce così Antonia Caruso, mettendo subito in chiaro che la strada sarà tortuosa. Trentanove anni, attivista transfemminista, formatrice, è riluttante a parlare di sé – “no, non scriverò mai il romanzo di formazione della mia vita” – non per un vezzo snobistico, ma per una ragione politica.
Parlare della sua transizione sarebbe riduttivo: “Sembra che le persone trans non possano parlare d’altro che delle persone trans. Se una persona trans parla di depressione si dà per scontato che il coming out risolverà tutti i suoi problemi di salute mentale. Non è così, sono trans e posso prendere comunque degli stabilizzanti per l’umore perché, per esempio, le condizioni di vita durante la pandemia sono state difficili”.
Caruso ha vissuto e studiato a Roma, poi nel 2017 si è trasferita a Bologna dove nel 2020 ha lanciato il progetto editoriale Edizioni Minoritarie. Bologna è la città italiana dove la comunità lgbt+ è più inserita nelle istituzioni, più visibile.
A pochi numeri civici dalla trattoria dove pranziamo – siamo da Fantoni, in via del Pratello, la trattoria del giro alternativo bolognese – c’è il centro sociale della Pace, e poco più in là, in una traversa, Igor, la magnifica libreria lgbt+ di Bologna. “Facciamo le riunioni dei collettivi al centro della Pace perché non ci sono più spazi sociali autogestiti a Bologna. Comunque in questa città si sta bene, anche se tendenzialmente io sto molto a casa”.
Il 25 febbraio è uscito LGBTQIA+. Mantenere la complessità, un libro in cui Caruso si fa “portavoce fantasiosa” della comunità. Scritto in una forma volutamente frammentaria, è una specie di antimanuale che cerca di spiegare cosa c’è dietro questa sigla, ma evitando le categorie troppo rigide. “Ho l’ansia per le presentazioni del libro, non mi piace parlare in pubblico”, dice.
Un modello superato
Pessimista, idiosincratica, ironica, Caruso cerca di essere indulgente con gli eccessi della rainbow positivity, quella visione del mondo lgbt+ “stolidamente positiva, priva di ombre e contraddizioni” tipica di una certa sinistra. E preferisce le azioni concrete.
È convinta che serva innanzitutto una legge per le persone trans. L’ultima risale al 1982, mi fa notare mentre finiamo di mangiare il primo. “Cosa farei se potessi legiferare? Tasserei i ricchi, e con quei soldi finanzierei iniziative a favore della salute mentale. Poi risolverei la questione dei documenti per chi non si riconosce nel sesso assegnato alla nascita, che a oggi nel nostro paese è complicatissima. Per non parlare della genitorialità trans, che è un buco nero legislativo”.
Fino al 2015, in base alla legge 164 del 1982, la riassegnazione di sesso e genere anagrafico sui documenti era consentita solo dopo l’intervento chirurgico genitale. Nel 2015 la corte di cassazione ha stabilito che per ottenere un nuovo nome all’anagrafe non è necessario l’intervento chirurgico, ma per ottenere i documenti servono un avvocato e almeno due o tre anni di tempo. E il giudice può sempre dare parere negativo.
“La diagnosi di incongruenza di genere, che viene fatta da esperti, psichiatri e psicologi, costa tra i 500 e i mille euro, ai quali vanno aggiunti due o tremila euro per l’avvocato. Nel frattempo la vita va avanti tra molti ostacoli: trovare lavoro senza documenti adeguati è difficile; in aeroporto è molto probabile che ti perquisiscano come un uomo quando sei una donna e viceversa; non hai diritto alle esenzioni né accesso a servizi gratuiti come per esempio il pap test. Gli uomini trans incontrano difficoltà simili: una volta cambiato il genere anagrafico non hanno più diritto ad accedere ai servizi gratuiti, anche se hanno ancora un utero e una vagina”.
Il nodo è la mancata distinzione tra sesso e genere: il nostro sistema fiscale e sanitario è ancora basato su un modello binario. “Se presupponi che una persona segnata come maschio non possa avere una gravidanza (né interromperla), nelle strutture e a livello burocratico si crea un vuoto”, spiega Caruso.
Corpi veri
Passiamo al dolce, e alla questione spesso dimenticata del carcere. Le donne transgender sono detenute quasi sempre nelle sezioni maschili o in quelle speciali per gli autori di reati sessuali; solo a Firenze sono detenute nel reparto femminile.
“I diritti d’autore del mio libro sono interamente devoluti all’associazione Antigone, che si occupa di carceri, giustizia e diritti umani”, sottolinea Caruso, e qui le scappa un sorriso soddisfatto.
Certe leggi fanno pensare a delle “strumentalizzazioni politiche, se non addirittura a strumenti di ricatto”, dice. Spesso invece la cultura popolare è più avanti del parlamento: nei libri, nelle serie tv, nei film si moltiplicano i personaggi o i protagonisti transgender. Ma non sono quasi mai narrazioni complesse, osserva Caruso, spesso si tratta di racconti “scialbi e scontati”.
“A volte poi si cade nella sovra-interpretazione, come nel caso di Drusilla Foer, il personaggio di scena interpretato da un uomo che è stato una delle presentatrici di Sanremo: è diventata testimonial di qualcosa che non è. Ma prendiamo Pose, la serie tv di Netflix: è un melodramma che mescola gli stilemi dei film degli anni ottanta sovvertendone la matrice romantica eterocisgender. Niente di sovversivo, e le attrici trans sono tutte bellissime, troppo perfette, però mette al centro il discorso di classe. Ben diversa è la serie spagnola Veneno, dove si vedono i corpi sfatti, anziani, le trans vere. La mia serie preferita comunque è Transparent, in cui la transessualità è uno degli ingredienti narrativi, non l’unico”.
Minoritaria è il nome del progetto editoriale di Caruso e minoritaria è anche la sua vocazione culturale. “Non si può avere una prospettiva di lotta e di governo insieme, si rischia di appiattire tutto sul piano dei diritti. Per dire, non è sbagliato puntare al matrimonio egualitario, ma non dovrebbe essere l’unica prospettiva”.
I produttori e gli editori sembrano considerare l’elemento trans o queer una sorta di valore aggiunto: “Fa figo parlare di minoranze che hanno sofferto. Anche se il personaggio non fa niente, c’è già una storia. Il rischio a cui accennavo prima”: parlare di vicende personali dimenticando le questioni importanti. Che è poi il motivo per cui non leggerete mai le memorie di Antonia Caruso.
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Trattoria Fantoni
via del Pratello 11a, Bologna
1 gramigna funghi e salsiccia €10,00
1 tagliatella al ragù €10,00
1 crema al mascarpone €4,00
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2 calici di Sangiovese €8,00
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