La rivoluzione di Rodčenko
L’addio alla pittura di Aleksandr Rodčenko (1891-1956), uno dei padri del costruttivismo, avviene in maniera piuttosto eclatante e definitiva. È il 1921 e l’artista russo si esibisce con tre tele monocromatiche: Puro colore rosso, Puro colore blu e Puro colore giallo e afferma: “È tutto finito. Colori di base: ogni piano è piano e non c’è rappresentazione”. Dal 1924 si dedica a nuove forme d’arte che possano essere “strumenti di progresso sociale” come il collage, il fotomontaggio e la fotografia.
L’esperienza artistica di Rodčenko fa parte delle avanguardie della prima metà del novecento e rappresenta un momento straordinario di innovazione. Negli anni venti sperimenta prima con il fotomontaggio, che considera un mezzo di comunicazione eccellente per raggiungere anche la popolazione analfabeta. Successivamente comincia a usare una fotocamera Leica con cui documenta scene di vita quotidiana, a cui dà però un’interpretazione nuova scegliendo inquadrature oblique e punti di vista insoliti. Rodčenko non si ferma davanti alla realtà ma usa la fotografia al servizio di una rappresentazione dinamica delle sue costruzioni intellettuali.
Il suo linguaggio è diventato così influente da creare un repertorio di figure retoriche visive a cui si sono ispirate le generazioni successive. Con Rodčenko la fotografia documentaria è diventata arte.
Dal 1928 la burocrazia culturale del regime di Stalin, che scredita il pensiero liberale nell’arte, accusa l’artista di essere un formalista borghese. Non più sostenuto dal governo e dall’ideologia sovietica, Rodčenko si limita a realizzare reportage commissionati da giornali statali e dagli anni trenta torna alla pittura.
Alla sua produzione come fotografo è dedicata la mostra Aleksandr Rodčenko. Fotografia, curata da Ol’ga Sviblova, all’interno dell’evento Avanguardia russa in cui è allestita anche la mostra Capolavori dalla collezione Costakis. Le opere sono esposte a Villa Manin, a Passariano di Codroipo (Udine), fino al 28 giugno 2015.