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Mi chiamo Kingsley, ho 22 anni e ho lavorato in un albergo della costa sud del Camerun. Guadagnavo trentamila franchi Cfa al mese, circa 50 euro: un salario medio nel mio paese, che mi permetteva di mangiare tutti i giorni. (Olivier Jobard)
Voglio andare in Europa da quando ho 16 anni. Ho fatto una scuola di calcio a Yaoundé perché volevo diventare un professionista. In quel modo avrei potuto guadagnare per me e la mia famiglia. Ho tre fratelli e quattro sorelle, io sono il più grande. (Olivier Jobard)
Mio padre Clément fa il contadino e lavora sette giorni su sette. Mia madre vende il pesce affumicato. Abitiamo in una casa molto semplice. (Olivier Jobard)
Ho preso il treno a Yaoundé per avvicinarmi alla frontiera col Niger. Abbiamo viaggiato tutta la notte fino ad arrivare a Ngaoundéré. (Olivier Jobard)
Mi hanno consigliato di proteggermi dal caldo e dalla sabbia. Così ho comprato un foulard. (Olivier Jobard)
Arrivati ad Agadez, in Niger, eravamo in molti ad aspettare il prossimo furgone con cui avremmo attraversato il deserto del Sahara. Ho parlato con altri camerunesi che aspettavano da sei o sette mesi e per la prima volta mi sono sentito scoraggiato. (Olivier Jobard)
Dopo sette giorni di attesa siamo saliti su un furgone. Eravamo in trentacinque. Avevo paura di cadere ma soprattutto di essere derubato durante il viaggio. (Olivier Jobard)
Nel deserto la vita è nelle mani di dio. Un camerunese che viaggiava con me aveva perso tutto, uno dei trafficanti l’aveva ingannato. Non aveva più niente da magiare, né per continuare né per rientrare. Così gli ho pagato il viaggio. (Olivier Jobard)
In Marocco ho comprato dei documenti falsi dove hanno messo una mia foto. La mia nuova identità era: Amirou Diallo, senegalese. Più tardi mi hanno fermato e interrogato. Mi sono sbagliato a rispondere sull’altezza e sono stato arrestato. (Olivier Jobard)
Dopo qualche giorno nel deserto ci hanno mostrato la barca con la quale avremmo viaggiato. Era di legno grezzo e piena di fori. Bisognava ripararla. (Olivier Jobard)
Abbiamo portato la barca in mare. Quando sono salito gli altri erano già seduti, uno sull’altro. Le prime onde siamo riusciti a superarle, alla quinta si è ribaltata. Ho fatto il possibile per uscire dall’acqua gelata. Sono tornato indietro due volte per aiutare gli altri. Alla fine avevamo perso due persone. (Olivier Jobard)
Una volta riparata la nave siamo ripartiti per un secondo tentativo. Molti erano spaventati e pensavano di tornare indietro. Eravamo ventisei questa volta, alcuni non sapevano nuotare, erano molto spaventati dall’oceano che faceva oscillare la barca. (Olivier Jobard)
Dopo 18 ore di viaggio, senza vedere niente né a destra né a sinistra, la guardia costiera spagnola ci ha fermato. Stranamente eravamo sollevati. Non erano gentili con noi, ma almeno eravamo tutti vivi. (Olivier Jobard)
Dopo trenta giorni di detenzione sono stato rilasciato a Malaga. Dai miei documenti non hanno potuto scoprire che ero camerunese. Ora sono libero e in possesso di un documento rilasciato dalle autorità spagnole. (Olivier Jobard)

Diario di un viaggio 

Nel 2004 il fotografo francese Olivier Jobard ha seguito il viaggio di Kingsley Abang, 22 anni, dal Camerun fino all’Europa, la meta sognata dall’età di 16 anni.

In sei mesi hanno percorso in camion il deserto attraversando Nigeria, Niger e Algeria e poi dal Marocco hanno traversato l’oceano fino alle isole Canarie. Nel percorso sono morti molti compagni di viaggio. Oggi Kingsley vive a Parigi, lavora e si è costruito una famiglia.

Olivier Jobard sarà al festival di Internazionale a Ferrara dal 2 al 4 ottobre 2015, dove terrà un workshop di fotografia documentaria.

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